Capitolo 17
Arthur guardava fuori dalla finestra. La pioggia cadeva in goccioloni pesanti così radi che ogni volta che venivano colpiti i fiori parevano ridestarsi da un profondo sonno. Le vacanze estive erano arrivate e avevano portato con sé nubi cariche di pioggia, come per puro piacere di far dispetto. Da tempo non si sentiva così in forma. Il mal di testa era scomparso e dormiva bene. Restava solo una sensazione di inquietudine di cui non riusciva a sbarazzarsi del tutto. A volte era arrabbiato ed esasperato con se stesso. Il peggio era di notte, quando sogni e realtà si mescolavano e producevano mondi che ormai da tempo non sognava più, smettendo di sperare che si sarebbero mai realizzati. Per non parlare di paure che aveva dimenticato, e che venivano risvegliate. Gli era anche venuto il bisogno di fare più sport, con grande sorpresa di Geir. Calcio, basket, jogging, qualsiasi cosa. La sospirata rottura del tran-tran quotidiano portata dalle vacanze estive era diventata un buco che occorreva riempire.
Tutti parlavano di viaggi.
Arthur avrebbe voluto spostare il tempo in avanzamento veloce di lì a quattro anni, direttamente al suo diciottesimo compleanno, quando avrebbe potuto scegliere cosa fare della sua vita. Non aveva paura di fare delle scelte. Quello che lo spaventava era non avere la possibilità di scegliere. Tutti i Bambini si rendevano conto di quanto poco umanamente si comportassero quando era questione di vita o di morte: quando la morte era un semplice concetto, poteva spaventarli solo fino a un certo punto. Ma ora Arthur poteva avvertirlo sulla pelle. La morte era un cacciatore che raggiungeva sempre la sua preda. La questione era quanto tempo ci avrebbe messo stavolta. Era una forma sottile di ansia, ma non era quella che lo tormentava di più in quel momento.
L’irrequietezza rodeva inesorabile la sua pazienza, e Arthur si impegnava più che poteva a combatterla. Le mail giornaliere che lui e Raven si scrivevano erano un valido aiuto. Un giorno sì e uno no si scambiavano nuove idee su ciò che lui avrebbe potuto fare da adulto: Raven aveva suggerito che poteva diventare un politico, anche se non era sicura di quanto sarebbe stato utile in un piccolo paese come la Norvegia. Arthur non aveva la minima inclinazione a fare il politico, a meno che non potesse diventare un supereroe della politica internazionale che parlasse tutte le lingue e potesse riconciliare culture e religioni, ma Raven non aveva fiducia nemmeno nella NATO. Allora era meglio che Arthur diventasse un uomo d’affari dietro ai brevetti sviluppati dai Bambini, e dirigesse Rilchned in un modo che a tutt’oggi era impossibile per loro. Arthur aveva la sensazione che fosse quello il desiderio del Consiglio.
Lui ancora non sapeva cosa voleva.
No, non era del tutto vero. Voleva troppe cose. Così tante che era impossibile realizzare tutto. Si sentiva responsabile nei confronti del Network, ma non voleva neppure farsi manovrare dal sistema. Il Consiglio non aveva detto nulla di specifico, ma non era difficile capire che avevano cominciato a pensarci. C’era qualcosa che Raven non gli diceva, era chiaro. Forse erano incerti quanto lui.
I suggerimenti meno seri erano molto più divertenti: fondare una nuova religione mondiale; diventare una superstar di una portata tale che il mondo non aveva mai visto, una che brillasse nel campo di film, musica, letteratura, ricerca, politica e arte culinaria. L’obiezione di Arthur era che qualunque campo avesse scelto, un ruolo del genere avrebbe probabilmente portato a una morte precoce: era un classico. Raven dovette ammettere che temeva che un giorno Arthur sarebbe stato trovato morto in una stanza d’albergo, la prima vittima al mondo di una overdose di fumetti o qualcosa di simile. Ma tra una proposta spettacolare e l’altra si insinuavano dei pensieri inquietanti. Li discutevano di rado, perché entrambi sapevano di non essere d’accordo su quali mezzi era lecito usare per raggiungere uno scopo. Diventare adulti implicava una serie infinita di scelte, ma le scelte comportavano anche responsabilità. Arthur non si illudeva che le sue scelte non avrebbero avuto conseguenze di vita o morte per altri... forse perfino per molti altri.
Salì nella sua stanza e controllò i soliti siti web. Il manga Naruto della settimana era pronto. Girò lo schermo e si sistemò per bene con il piumino e i cuscini dietro la schiena. Per una volta tanto, aveva grandi aspettative. Si sarebbe finalmente svelata l’identità dell’eroe? A metà dell’episodio l’immagine cominciò ad apparire strana. Linee di diversi colori attraversavano lo schermo. Solo per brevi istanti, ma davano abbastanza fastidio. Arthur arrestò il filmato, ma le linee rimasero sullo schermo. Poi si estesero a tutto il resto. Il mondo era uno schermo televisivo di cattiva qualità. Arthur balzò in piedi dalla sorpresa, solo che il corpo non gli obbedì.
La stanza si divise in strani colori e forme.
Qualcosa gli si staccò nella testa. Ora poteva finalmente arrivare a placare un prurito che a malapena sapeva di avere. Le immagini giunsero più veloci di quanto lui riuscisse a formulare i pensieri in parole. I ricordi sfilarono a velocità frenetica come pedine di domino in caduta libera. Arthur chiuse gli occhi, per ripararsi dalla luce accecante, ma non servì a nulla. Ciascun istante gli si presentò con tale chiarezza che era come se avesse potuto entrarci dentro e vedere ogni singolo dettaglio, come se i ricordi potessero essere riavvolti avanti e indietro e arrestati in qualunque punto.
Respirò pesantemente nell’aria rarefatta.
«Bentornato».
Arthur non ebbe bisogno di aprire gli occhi per sapere chi era. Diverse parole, tutte con lo stesso significato, gli stavano sulla punta della lingua, ma non riuscì ad aprire la bocca. Davanti a lui, il Guardiano annuì, le labbra congiunte in un mezzo sorriso.
Arthur si mosse più rapido di quanto credeva fosse possibile.
Il Guardiano bloccò il suo calcio senza sforzo con la mano, molto prima che il movimento potesse acquistare forza. Arthur girò su se stesso, tutto il corpo più rapido e forte di quanto fosse verosimile. Avvertì la potenza nella rotazione, la concentrazione della forza nella gamba. Avrebbe potuto staccare la testa da un corpo con un calcio simile, ma era troppo tardi per fermarsi.
La mano del Guardiano scattò così veloce che nemmeno la vide, e gli bloccò il piede, che afferrò come fosse una pallina. Arthur rimase appeso in aria a testa in giù.
Il Guardiano lasciò la presa.
Arthur piombò a terra malamente, impossibilitato ad attutire la caduta.
«Non credo di meritarmi questo benvenuto» disse il Guardiano.
La sua voce era secca come la polvere e la ghiaia appiccicate sul corpo di Arthur.
«Va’ all’inferno». Gli faceva male una spalla, ma non sanguinava da nessuna parte.
«Sembra che almeno ti ricordi di me».
«Se ti aspetti che mi prostri al tuo cospetto, hai davvero sbagliato i calcoli».
«Evidentemente» fece il Guardiano, ridacchiando.
Arthur si rialzò, sputò e si stropicciò gli occhi.
«Bian Shen: non è così che lo chiamate quando cambiate corpo? Non siete stati creati stupidi, quindi suppongo che tu capisca che c’è un nesso tra quello che ti sta capitando ora e il fatto che hai compiuto quattordici anni. Non ho più esperienza di te in questo campo, quindi fammi tutte le domande che vuoi e andiamo avanti. Stavolta non rifiuterai le conoscenze che acquisirai qui».
Arthur non era sicuro di cosa intendesse il Guardiano con ‘questo campo’. «Dove siamo?»
«A voler essere precisi non siamo in nessun luogo. Il tuo corpo è ancora dov’era prima. Questo posto esiste in te e tra di noi, come parte del canale che usiamo per comunicare».
«E che cos’è?»
«Tu potresti chiamarlo telepatia, ma non lo è. È più semplice paragonarlo a un’onda radio».
«Cosa vuoi da me?»
Il Guardiano allacciò le mani dietro la schiena e fissò per un attimo l’aria. «È una lunga storia. La versione corta è che ho bisogno del tuo aiuto».
«Sentiamo quella lunga».
«È più facile se posso mostrarti».
Arthur si strinse nelle spalle. «E allora mostrami».
Il Guardiano gli tese la mano. Arthur la sfiorò appena con la punta delle dita.
«Chiudi gli occhi».
Arthur obbedì solo dopo che il Guardiano ebbe chiuso i suoi. Poteva avvertire l’energia che scorreva verso di lui. Dalle loro dita puntate le une contro le altre si allargò un fascio di luce, ed era come se un fiotto di acqua calda gli scorresse sul dorso della mano. Nel flusso sorse un impulso, qualcosa che lo sospinse in avanti. Si lasciò condurre in un certo senso, senza sapere del tutto cosa stesse facendo.
«Guarda» disse il Guardiano, afferrandogli forte la mano.
Arthur vide il mondo da una posizione impossibile. Vide il globo terrestre al tempo stesso da tutte le angolature, senza inizio né fine, e nessuna mappa era più affidabile. Non c’era nord, sud, est o ovest. Apparvero dei fili argentati, che si allungavano da luoghi apparentemente casuali sulla Terra come lunghe ragnatele di nebbia che vibravano all’unisono, e si raccoglievano tutti in un punto molto al di sopra del mondo, in un gomitolo che lentamente attirava i fili dentro di sé.
«Ogni filo che vedi è uno di voi» disse il Guardiano.
Ce ne dovevano essere diverse centinaia. Il punto di vista si avvicinò alla Terra, verso il continente europeo. Un filo era più scuro di tutti gli altri, e Arthur lo seguì fino al luogo in cui aveva abitato per gli ultimi quattordici anni.
«Questo sono io» disse il Guardiano. Di colpo si trovarono a guardare direttamente la sfera dove si raccoglievano tutti i fili. «Io sono parte di quella macchina che fa in modo che la vostra coscienza si sposti in giro per il mondo».
«Quindi tu sei una macchina?»
«Non provo sentimenti nel modo in cui li provi tu, ma posso pensare bene quanto te».
«Un’intelligenza artificiale, dunque?»
«Non c’è nulla di artificiale nella mia intelligenza».
Arthur non era in vena di sofismi filosofici. Guardò la sfera bianca che risucchiava a sé ogni filo, e si accorse che non c’era nessun filo che ne usciva. Forse accadeva solo in occasione di Bian Shen?
«Dov’è questa macchina?» domandò.
«Non si trova in un solo luogo, è sparsa tutt’intorno. Non ho intenzione di dirti dove. E no, non può essere scoperta né distrutta».
«Allora non c’è nessun problema con la macchina?» chiese Arthur.
Ogni cosa intorno a loro si fece bianca, e Arthur riconobbe se stesso e il Guardiano. Una stanza fu calata sopra le loro teste, e un attimo dopo avevano un pavimento sotto i piedi. Davanti a loro crescevano delle colonne, distribuite in modo simmetrico come filari di alberi. Avevano una superficie metallica che scintillava in tutte le possibili sfumature di colori. Erano almeno due volte più alte del Guardiano.
Quest’ultimo cominciò a camminare, e Arthur lo seguì. C’erano diversi metri tra una colonna e l’altra.
Erano fantastiche.
Erano vive, pulsanti. Dai fusti emanavano sensazioni di gioia, dolore, fascinazione, calma e tutto il resto, quasi come odori diversi.
«Quando ho detto che la macchina non può essere distrutta, intendevo dire dagli uomini. Non avete la tecnologia per farlo».
Arthur si fermò. Ma il Guardiano proseguì, e Arthur dovette affrettarsi per raggiungerlo. Aveva finalmente deciso cosa gli avrebbe domandato, quando scorse la colonna. Era completamente nera.
Arthur poté avvertire la sensazione di vuoto dentro di sé in modo altrettanto tangibile di quanto lo registrasse la vista. Un brivido gli percorse la schiena. Per la sua evidente diversità, la colonna strideva con tutto ciò che la circondava, eppure Arthur se ne sentì stranamente attratto. E se le colonne erano i Bambini, e quella nera era lui? E se era quello il motivo per cui Bian Shen non si era verificato? E se stava per morire?
Il Guardiano si fermò davanti alla colonna nera e la toccò.
Arthur non sapeva cosa si era aspettato che succedesse, ma trasalì quando il Guardiano accarezzò la colonna con la mano e richiamò alla vita alcune strisce.
«Ogni colonna è uno di voi».
Arthur si avvicinò di un passo. Ora vide che la colonna non era del tutto nera. Dappertutto c’erano delle piccole strisce di colore, ma sia al tatto che alla vista la colonna pareva sostanzialmente morta.
«Questo è il luogo in cui io analizzo e controllo la vostra esistenza» disse il Guardiano. «Le diverse strisce di colore rappresentano i vostri ricordi, e sulle altre colonne vedi il risultato di ricordi di oltre mille anni. Ma su questa colonna puoi notare che manca qualcosa».
«Cosa significa?»
«Ho perso il contatto con uno di voi».
«Me?»
Il Guardiano volse lo sguardo a terra. «No, non so chi sia, e ciò fa parte del problema. Ogni colonna rappresenta i ricordi di uno di voi, non è i vostri ricordi. Puoi pensare a questo luogo come il mio campo di lavoro. I ricordi vengono prelevati dal sistema così che io possa vederli, senza influenzarli».
«Quindi la persona in questione non ha perduto la memoria?»
«No, il ragazzo non l’ha perduta».
«Ragazzo? Come sai che è un maschio?»
Il Guardiano lasciò scorrere la mano su una delle poche strisce colorate sulla colonna nera, e questa ebbe un barbaglio di vita. «Ho accesso ad alcuni ricordi, così so che è un maschio. So anche un po’ di altre cose, che è il motivo per cui ti ho tirato fuori dal ciclo e ti ho fatto venire qui».
«Fuori dal ciclo? Cosa vuoi dire? Fuori da Bian Shen? Posso morire?»
Il Guardiano lo guardò negli occhi per un breve attimo. «Non diventerai di nuovo adulto se muori. Non adesso».
Era una mezza risposta, che conduceva ad altre domande che Arthur non sapeva se voleva fare.
«Cosa siamo veramente? Perché esistiamo?»
«Siete senz’altro esseri umani. Alla domanda del perché esistete si può rispondere in molti modi, perché non è una domanda sola. Tu, invece, sei diventato qualcos’altro perché ti ho risvegliato, ma non sei ancora niente di più di quello che un qualsiasi essere umano può diventare».
«Cosa dobbiamo fare, allora? Tu dici che mi hai risvegliato, che diventerò adulto. In altre parole, tutti noi possiamo diventare adulti» disse Arthur, incerto se stesse facendo una domanda o esprimendo un fatto. «Ma qual è la condizione?»
Arthur avrebbe giurato che il Guardiano per un attimo emanasse una sensazione di orgoglio, ma per il resto era triste. «Non lo so. Non ho accesso a quel genere di dati».
«Cosa sai, allora? Chi ci ha creato? E perché?»
«Non li chiamo con un nome. Per me, come per te, sono i creatori. Non so da dove vengono, dove sono, e se torneranno. Hanno creato me, voi, e hanno proseguito oltre. La mia funzione è di controllare. L’ho fatto fino a che la mia programmazione mi ha dato un ordine diverso».
«Ma che cosa è cambiato? Che cosa fai tu ora?»
«È difficile tradurlo in parole. I nostri creatori viaggiarono a lungo per l’universo, e vi trovarono altre forme di vita. Una delle loro molte esperienze fu che nessuna forma di vita raggiungeva il loro livello, cosa che li stupì e li deluse. Solitamente le forme di vita si estinguevano molto tempo prima che entrare in contatto con loro potesse divenire interessante. I creatori giunsero alla conclusione che il motivo, nella maggior parte dei casi, era la stessa forma di vita. Altre volte entravano anche in gioco delle casualità, legate ai cicli naturali, ma quelle semmai erano eccezioni».
«Intendi dire che si autodistruggevano?»
Il Guardiano annuì. «Possiamo dire così. Man mano che una forma di vita raggiungeva una tecnologia sufficientemente avanzata, aveva la possibilità di autodistruggersi, come ce l’avete voi oggi. Si possono fare progressi tecnologici anche se le condizioni della società non sono stabili: voi stessi sapete bene quali progressi sono avvenuti a causa delle guerre. E anche in tempi di pace si verificano crisi, casualità che possono precipitare il mondo in un mare di problemi. Nel corso del tempo si manifesterebbero troppo spesso eventi che porterebbero al collasso totale».
Arthur non sapeva cosa pensare. Non c’era alcun motivo per fidarsi del Guardiano. D’altra parte, non riusciva nemmeno a trovare nessuna ragione per cui dovesse mentire.
«Forse tu hai capito qual è la funzione dei Bambini?» chiese il Guardiano.
Arthur non aveva formulato i propri pensieri in modo preciso, ma l’idea in sé era evidente.
Il Guardiano gliel’aveva quasi già rivelato: i creatori desideravano stabilità.
«Noi siamo storia, in senso letterale» rispose. «Probabilmente non è un caso che siamo esistiti prima delle più antiche civiltà. Nessuno conosce il genere umano meglio di noi. Siamo una sorta di valvola di sicurezza: a un certo punto diventeremo adulti, e con la nostra esperienza faremo sì che l’umanità sopravviva alla catastrofe che ha davanti. Noi facciamo i baby-sitter per qualcuno che desidera molti compagni di gioco».
Dalla colonna nera provenne un barbaglio, e apparve una nuova striscia di colore. Il Guardiano ci appoggiò una mano.
«È un incarico che comprendi?» domandò.
«Ma Dio mio, che differenza farebbe? Posso scegliere di uscire da questa situazione? No».
La rabbia lo assalì all’improvviso. Non aveva chiesto lui questo destino. Nessuno dei Bambini l’aveva chiesto. Sapeva comunque che non avrebbe scelto diversamente, ammesso che ci fosse stata la possibilità di scegliere, e tuttavia la sensazione di essere sfruttato era schiacciante.
«È un’arroganza assurda. Con quale diritto si sono proclamati dei?»
La faccia del Guardiano divenne una maschera senza espressione. «Tu presupponi troppo. Devo dunque concludere che non desideri aiutarmi? Preferisci piuttosto rinascere?»
Arthur fu sul punto di mettersi a saltellare per il nervoso. «Risparmiami le domande cretine, sai benissimo che non ho alcuna scelta».
«No. C’è sempre una scelta. E tu lo sai. La scelta non è meno reale anche se tu neghi che sia così».
«È un’idiozia pura. Voglio dire, io non posso mica diventare...»
«Sì che puoi. Il fatto è che non vuoi, e sai bene qual è la differenza».
Arthur sapeva che il Guardiano aveva ragione, e la sua rabbia era diretta tanto contro se stesso quanto contro il Guardiano e ciò che egli rappresentava.
Si fissarono negli occhi, e alla fine Arthur dovette distogliere lo sguardo.
«Lasciami sottolineare che non ti ho detto tutto. Possiamo parlarne di più, ma prima è importante farti capire cosa c’è in gioco. Prelevare uno di voi dal ciclo è la mia ultima risorsa, e lo posso fare solo se l’intera vostra esistenza è in pericolo. È l’ultima spiaggia».
«Mi sembrava che tu avessi detto di aver perso uno di noi, e non che stavamo per morire».
«Non hai capito bene. È vero che anche i Bambini sono in pericolo, ma quando ho detto voi, intendevo il genere umano».
«Cosa?!»
«Uno di voi ha intenzione di distruggere l’umanità».
Arthur sorrise, ed era sul punto di fare una risata. «Ah, ah, certo. Sembra molto probabile».
«La probabilità non riguarda cose che sono già accadute».
Decifrare l’espressione del Guardiano era impossibile.
«Quindi uno di noi avrebbe pensato di uccidere tutti gli esseri umani sulla Terra? E come dovrebbe accadere?»
«Questo non lo so. È quello che tu devi scoprire, e fermare».
«Aspetta, fammi capire: tu sai che uno di noi ha intenzione di uccidere ogni singolo essere umano, ma non sai come? È semplicemente ridicolo».
«Perché ridicolo?»
Arthur allargò le braccia. «Perché non ha nessun senso! Punto primo, perché questa persona dovrebbe volere una cosa simile? Punto secondo, se non hai nessuna indicazione di come intende raggiungere il suo scopo, capisci bene che diventa impossibile valutare l’entità della minaccia».
Il Guardiano chiuse gli occhi e rimase a lungo in silenzio. «Posso mostrarti cosa intendo» disse alla fine, quando li riaprì.
«Ah, sì?»
«Quando comunichiamo in questo modo, ho la possibilità di farti vedere i ricordi degli altri. Posso trasferire un ricordo dentro la tua mente, fartelo rivivere».
«Non capisco del tutto».
«Quello che voglio dire è che quando riceverai un ricordo, sarà tuo. Non è come vedere delle foto o un film: te lo ricorderai, come se fossi stato tu a vivere realmente quell’esperienza».
«E perché mai dovrei volerlo? E poi sembra una forma di stupro mentale». I Bambini avevano discusso della possibilità di una simile tecnologia in futuro, e non avrebbe mai portato a nulla di buono.
«Perché è l’unico modo in cui puoi comprendere».
«Stronzate. Forse tu sei una macchina senza empatia, ma non esiste una situazione che io non possa comprendere, non dopo tutte le vite che ho visto e vissuto. Non ho bisogno di entrare nella psiche degli altri per capirli. Ho provato di tutto, perfino la pazzia. Credimi, capirò, se solo me lo puoi spiegare».
«Non vuoi nemmeno prendere in considerazione l’ipotesi che tu ti stia sbagliando?»
Arthur ci pensò su. Era bravo a comprendere le persone: aveva la capacità di mettersi nei panni degli altri, di capire cosa sentivano e cosa pensavano, perfino gli altri Bambini. Ma non poteva dimenticare che in quel preciso momento stava parlando con un’entità diversa da un essere umano, e che le regole dell’eternità erano cambiate. Eppure si trattava di uno di loro, non di un marziano.
«Sì, ma lo trovo altamente improbabile. In ogni caso non voglio invadere la mente altrui».
Gli occhi del Guardiano si illuminarono di un baleno innaturale. «Allora spero che mi capirai in seguito». Si mosse così veloce che Arthur non fece in tempo a reagire. Gli imprigionò entrambe le mani nelle sue con una presa ferrea, come se fossero state murate nel cemento. Arthur lo sentì arrivare, anche se non lo poteva vedere. Era come un ago che penetrava attraverso barriere che lui non sapeva di avere. Poi tutto si fece nero.