Capitolo 10

La casa era silenziosa. Ben presto non avrebbe più potuto vedere la luna attraverso la finestra, e voleva dire che era arrivato il momento giusto. Aveva fatto stancare i suoi genitori fin quasi all’esaurimento. Era stato divertente tenerli svegli per diversi giorni, o piangendo e urlando oppure parlando e ridendo ad alta voce con se stesso nel bel mezzo della notte. I genitori erano soliti svegliarsi al minimo rumore, ma ora non più.

Non sopportava quei primi anni. Guadagnare faticosamente il controllo sul corpo, aspettare prima di poter parlare, venir nutrito a vasetti di omogeneizzati che facevano vomitare, ed essere costretto a portare vestiti scomodi che pizzicavano e pungevano. Non aveva pietà, e i genitori scontavano tutto ciò a caro prezzo. Era una guerra psicologica, combattuta tramite semplici condizioni. Se credevano che la pappa d’avena gli facesse venire il mal di pancia, che lo credessero pure, purché smettessero di dargliela. Quelli inoltre erano genitori alle prime armi, cosa che ben di rado migliorava la situazione: bastava un suo colpo di tosse a farli diventare quasi isterici. Si chiese che cosa avrebbero fatto se lo avessero scoperto quella notte. Era un rischio, ma doveva correrlo. Più ci pensava, più gli appariva ovvio. Se il suo sospetto era fondato, era un problema di dimensioni indefinibili. Era quasi sollevato di non poter contribuire ad affrontarlo.

Si tirò su, così da reggersi in piedi nel lettino.

La ringhiera era alta, e c’era un bel salto fino al pavimento. Il suo controllo fisico non era sufficiente per farlo atterrare con grazia: con un po’ di fortuna sarebbe caduto sul sedere, ma probabilmente sarebbe atterrato di schiena. Non sarebbe stato molto piacevole, ma quello che lo preoccupava di più era il rumore. Fece un respiro profondo e scavalcò piano la ringhiera. Piombò giù di faccia; e avrebbe avuto voglia di pronunciare diverse parole mentre si rotolava di nuovo sulla pancia. Una volta, in futuro, doveva ricordarsi di ringraziare i genitori per il tappeto sul pavimento.

Gattonò silenzioso in corridoio. Era immerso nell’oscurità, e la porta dei genitori era aperta a spiraglio. Il russare del padre era del tipo sommesso, ma irritante abbastanza per chi rimaneva sveglio a sentirlo. Il cancelletto di sicurezza non era chiuso, per fortuna. Non lo chiudevano mai di notte. Gattonò fino alle scale, si girò di centottanta gradi e scivolò senza un suono lungo i gradini. Scendere era divertente, salire era peggio.

Sperava che il computer portatile fosse là dove il padre l’aveva lasciato la sera precedente. Altrimenti poteva andare tutto in malora, non aveva la possibilità di usare il computer dell’ufficio. Solo la costruzione di una scala di libri avrebbe richiesto ore, e se i genitori lo scoprivano era impossibile prevedere cosa sarebbe accaduto. Il pc stava sullo scaffale. Premette un tasto, e la macchina si accese come previsto. Emise un sospiro di sollievo e sorrise quando la password fu accettata. Nel corso degli anni era entrato in possesso di molte informazioni segrete, perché nessuno pensava che un bebè potesse capire quello che dicevano. Se avesse trascritto tutto, avrebbe avuto almeno cinque libri in testa alle classifiche di vendita, per non parlare di tutti i libri di storia che avrebbero dovuto essere riscritti. Il Network gli mancava. Tutto ora era diventato molto più semplice: si ricordava gli inizi, quando potevano passare molti decenni tra una risposta e l’altra, se si aveva fortuna. Adesso poteva usare un telefono o un computer, e la comunicazione era istantanea. Si collegò a un account amministratore: diversi messaggi lo attendevano nell’inbox, e ci volle molta forza di volontà per non aprirne nemmeno uno. Compose un nuovo messaggio, digitando lettera per lettera. Il testo ce l’aveva pronto in testa da molti giorni. La vita di Nathaniel Wilkins avrebbe preso una piega interessante nel prossimo futuro.

Una mezz’ora più tardi aveva finito, e aveva perfino potuto leggere alcuni degli altri messaggi. Il computer era al suo posto e si stava spegnendo, quando udì il cigolio di una porta. Riconobbe la madre dal suono dei passi, che si diressero in bagno. L’acqua dello sciacquone scrosciò attraverso i tubi, i rubinetti del lavandino vennero aperti e chiusi. Poi si udirono di nuovo i passi, e lui trattenne il respiro. Ovviamente la madre sarebbe andata a controllare.

Maledizione. Contò i secondi.

«Derek!» il grido della madre perforò il silenzio della casa.

Non poté evitare di trovare la cosa un tantino divertente, malgrado tutto. Cosa doveva fare adesso? Gattonò fino alla libreria e tirò fuori uno dei libri per bambini dallo scaffale alla sua portata. Al secondo piano si era scatenato il caos: la madre urlava al marito, correvano da una stanza all’altra, e finalmente si precipitarono giù per le scale. Lui si sedette con il libro davanti a sé, borbottò soddisfatto e fece un grande sorriso quando lo videro. Non ebbe nemmeno bisogno di simulare una risatina: la madre scoppiò a piangere dal sollievo, mentre lo sollevava e lo stringeva troppo forte. Il padre era più pallido di come lo era stato durante il parto.

Lui sperò di evitare di essere messo a dormire in camera con i genitori.

Era una speranza stupida.