Capitolo 34

«Tieni, metti questo sotto la testa prima di bere».

Arthur riconobbe la voce. Qualcosa di morbido gli fu sospinto sotto la testa, e lui la sollevò rigidamente. Le sue labbra entrarono in contatto con un caldo bordo metallico. Un liquido freddo si riversò nella sua bocca, risvegliando la lingua. Arthur deglutì e la gola gli bruciò, ma il corpo sapeva ciò di cui aveva bisogno: avvertì ogni singolo movimento dell’acqua mentre questa gli percorreva le viscere, e sentì il freddo attanagliarlo dal di dentro. Udì che la tazza veniva riempita di nuovo. Un po’ per volta i pensieri riacquistarono chiarezza.

Si tirò su a sedere e aprì gli occhi.

«Rimettiti giù. Devi riposare e bere acqua».

Arthur capì di colpo che era Nathaniel a parlare, ma la voce era stranamente monotona. La stanza era piena di polvere che turbinava nella luce fioca. La faccia e le mani di Nathaniel erano pulite, ma i suoi vestiti sembravano essere stati usati come stracci per la polvere. Su una delle pareti c’era un buco delle dimensioni di una piccola porta. Dappertutto erano sparsi pezzetti di cemento, e sembrava che la gran parte del muro danneggiato fosse stata semplicemente polverizzata.

«Il Guardiano...» cominciò Arthur, senza trovare le parole per completare la frase.

Nathaniel annuì e gli porse la tazza.

«Dov’è? Dove sono Paolo e Mercer?»

«Non lo so».

Arthur guardò le dita di Nathaniel. Erano sane. Su di lui non c’era traccia di ferite.

«Le tue ferite sono scomparse, cosa è successo?»

Lo sguardo di Nathaniel vacillò, e il viso gli si irrigidì per un istante.

Arthur provò a muovere la gamba. Non c’era alcun dolore.

«Ferite? Quali ferite?» chiese Nathaniel, guardando a terra. La sua mano tremava un po’, ma la voce conservava il tono monotono. «Devi stare calmo e bere molta acqua. Se no corri il rischio di subire gravi danni».

Arthur cercò di alzarsi, ma crollò prima di arrivare a metà del movimento. Nathaniel lo sostenne, Arthur spalancò entrambe le braccia e per un pelo non colpì Nathaniel in faccia.

«Hai sentito quello che ti ho detto? Devi stare calmo e bere molta acqua».

«All’inferno!»

Nathaniel non si curò del suo scoppio d’ira. Arthur capì che c’era qualcosa di spaventosamente sbagliato. Incrociò lo sguardo di Nathaniel, e fu come guardare un robot. Non un’unica emozione gli si poteva leggere in faccia. Solo uno sguardo freddo e meccanico che pareva volerlo analizzare.

Arthur si sforzò di ricordare.

Cos’era accaduto?

C’erano troppe cose che non avevano senso. Aveva sparato a Mercer, tre volte. Uno dei proiettili l’aveva colpita in testa, ma lei era ancora viva. Cosa ci faceva lì il Guardiano? Come poteva essere lì? Sempre che fosse lui, beninteso. Chiunque fosse, li aveva salvati da Mercer. Quell’essere si era sacrificato per salvarli. Erano stati in pericolo di vita, e non sapere perché se ne rendeva conto lo rendeva furioso.

«Ti ricordi il Guardiano?» chiese.

Di nuovo, lo sguardo di Nathaniel vacillò, come se cercasse un appiglio su cui far riposare gli occhi.

«Mi ricordo un uomo. Un uomo anziano, o forse no. Aveva i capelli grigi. Mi ha aiutato a rimettermi in piedi. Ha detto che tutto sarebbe andato bene».

«Ti ha fatto qualcosa? Ti ha aggiustato la mano?»

«Perché avrebbe dovuto?» Nathaniel sembrò sorpreso, ma scrollò la mano come se ci fosse passata sopra una mosca.

«Cosa ha detto?»

«Che tu devi riposare e bere molta acqua».

«Tutto qui?»

«Ha detto che sarebbe andato tutto bene, e che avrebbe spiegato ogni cosa». Nathaniel parlava come se stesse leggendo un testo.

No, era più come se un testo venisse recitato attraverso di lui. Era tutt’altro che tranquillizzante.

Arthur fece scorrere lo sguardo sul proprio corpo, e trovò il buco del proiettile nei pantaloni. La stoffa tutt’intorno era rigida per il sangue. La strappò con cautela ed esaminò la gamba: la pelle era impiastricciata di sangue, ma non c’era nessuna ferita. Al posto di un’apertura slabbrata c’era una macchia grigia. Ci strofinò sopra un dito. Era tutto normale, solo se premeva in quel punto gli faceva male, come se fosse stato un livido.

Ci volle molto tempo prima che riuscisse ad alzarsi in piedi.

 

 

Quando uscirono dalla stanza la polvere aveva cominciato a posarsi, ma non aveva coperto le tracce di sangue che conducevano verso la porta. Le tracce li condussero attraverso il fienile e fuori sull’aia, tra il fienile e l’abitazione. I due uomini che avevano portato dentro Nathaniel giacevano quasi l’uno sopra l’altro di fronte all’entrata dell’abitazione. Uno di loro stringeva in mano una pistola. I corpi erano contorti: ricordavano più delle sculture che degli uomini veri, i volti tranquilli e rilassati. Era come se dormissero, ma il sangue secco che usciva loro da naso e orecchie spazzò via ogni dubbio.

Nathaniel li guardò per un attimo, poi si accucciò e si allacciò le stringhe di una scarpa come se niente fosse accaduto. C’era senza il minimo dubbio qualcosa che non andava in lui.

Arthur si chinò sopra gli uomini e frugò loro nelle tasche. Prese quello che trovò, e dovette usare tutta la sua forza per strappare la pistola dalla mano di uno di loro. Se la ficcò nella tasca posteriore dopo aver controllato la sicura.

Trovarono i ricercatori dentro l’abitazione. Due di loro erano seduti, riversi sopra sopra un tavolo, con i volti incollati a un laghetto di sangue. Il terzo giaceva sul pavimento, raggomitolato con le mani intorno alla testa.

Nathaniel li guardò senza batter ciglio, e cominciò a rovistare dentro cassetti, valigie e armadi.

Arthur si sedette su una sedia e lo guardò. «Cosa stai facendo?»

«Tu cosa credi? Qui devono pur esserci informazioni su cosa stessero architettando».

«Te lo ha detto il Guardiano di farlo?»

«Il Guardiano? No. Mi ha chiesto di fare in modo che tu stessi tranquillo e che bevessi molta acqua. Be’, perlomeno sei seduto. Vuoi ancora acqua?»

In effetti Arthur era ancora assetato, ma non era quello l’importante.

Nathaniel buttò all’aria dei vestiti che erano dentro una valigia, si bloccò e guardò Arthur. «Perché mi fissi così? C’è qualcosa che non va?»

«Non lo so. Tu come ti senti?»

«Come al solito».

«E cosa vorrebbe dire?»

«Non riesco a capire cosa mi stai chiedendo».

Arthur era incerto se fare ancora domande, ma c’era almeno una cosa alla quale voleva avere una risposta. «Quindi non ti fa male da nessuna parte? Niente danni?»

Lo sguardo di Nathaniel era vuoto come prima. «Di che razza di danni parli?»

«Niente. Che ne dici di usare quei sacchi lì per mettere dentro la roba?»

Nathaniel annuì e depose i sacchi sul tavolo. Ci mise dentro tre computer portatili e alcuni effetti personali, bloc notes e libri. Arthur rimase seduto, era tutto quello che riusciva a fare. Nathaniel voleva esaminare tutte le stanze della casa, ma secondo Arthur sarebbe stato meglio tornare più tardi. Ciononostante, Nathaniel insistette per fare almeno un rapido giro prima di andarsene. Arthur non osò lasciarlo andare solo, e facendosi sorreggere riuscì ad accompagnarlo.

Fortunatamente per la maggior parte le stanze erano vuote e sembravano quasi non essere state usate. Solo il soggiorno e la cucina rivelavano che qualcuno ci aveva abitato: un lieve sentore di rosmarino sminuzzato di fresco proveniva da una ciotola accanto a diversi vasetti di spezie. Sul tavolo c’era una pentola, e l’acquaio era pieno di piatti. Non sembrava esserci alcun segreto nella casa, eccetto ciò che i muri dovevano aver visto e sentito.

Alla fine, Arthur si sedette sull’unica poltrona del soggiorno, col mal di testa che gli martellava dal di dentro.

«Puoi andare a prendere la macchina?» chiese a fatica.

Vide Nathaniel annuire e scomparire.

Fu il sapore di ferro la prima cosa che registrò.

Solo quando si passò la lingua intorno alle labbra capì che stava sanguinando dal naso. Si strinse le narici, non prima di aver fermato il sangue, poi avvertì il noto senso di vertigine. Non si stupì quando si rese conto che il suo corpo si stava afflosciando.

 

 

Nathaniel sollevò con delicatezza Arthur dal sedile posteriore dell’auto.

C’era voluto molto tempo per ripulirsi da tutte le macchie di sangue, per non parlare del colore sulla faccia di Arthur, ma Nathaniel non si era dato per vinto finché quasi tutto non era scomparso. È vero, non erano stati molto prudenti mentre ispezionavano la casa, eppure non riusciva a capire come avessero fatto a insozzarsi di sangue a quel modo. Per fortuna avevano diversi indumenti di ricambio. Arthur pesava molto più di quanto si era immaginato pesassero i quattordicenni. Con cautela, lo adagiò sul letto.

Non fu per niente sorpreso di notare che l’uomo era nella stanza. Stava seduto sul pavimento con gli occhi chiusi stringendo tra le mani qualcosa che assomigliava a una tavoletta, e non sembrò accorgersi della loro presenza.

L’oggetto aveva emanato uno strano alone di luce quando l’uomo era entrato nella stanza del fienile. Ne aveva staccato un pezzetto e aveva invitato Nathaniel a mangiarlo. Il frammento gli si era sciolto sulla lingua, senza alcun particolare sapore.

«Siete qui. Bene». L’uomo si alzò dal pavimento e si sedette a fianco di Arthur. «Stenditi anche tu, Nathaniel».

«Perché?»

«Vorrei effettuare alcune analisi su entrambi, ed è meglio se sei disteso mentre lo faccio, ok?»

Era un buon motivo.

Nathaniel si tolse le scarpe e si distese sul letto a fianco di Arthur. «Che tipo di analisi?»

«Credo che sia meglio se dormi ora, e ne parliamo dopo».

Nathaniel sbadigliò e chiuse gli occhi. L’uomo gli aveva sorriso, ma lui era sicuro che in realtà fosse triste.