Capitolo 3

«Tanti auguri, ragazzo mio».

Il papà si chinò in avanti per abbracciarlo. Arthur si sforzò di produrre un sorriso sincero. Il papà, la mamma, Julie ed Emilie gli si sedettero intorno a semicerchio. Emilie stringeva in mano il suo regalo. Anche i genitori e Julie avevano un regalo ciascuno, ma prima che Arthur potesse aprirli dovevano mangiare la colazione che avevano portato con sé.

«Possiamo aprire i regali adesso?» chiese Emilie impaziente, finito di mangiare. Aveva cinque anni ed era la più piccola delle due sorelle. Julie ne aveva dodici.

«È Arthur che apre i regali oggi» disse la mamma.

Emilie rifletté guardando il pacchetto che aveva in mano. «Ma questo lo posso aprire io per lui» annunciò con un gran sorriso.

La mamma indicò Arthur con la testa. «Devi chiedere ad Arthur se ti dà il permesso».

«Arthur, posso aprire il pacchetto?» chiese Emilie strascicando le parole. «Per piacere» aggiunse in fretta.

«Solo se fai molta attenzione» rispose Arthur.

Emilie si lanciò ad aprire il pacchetto con la massima prudenza, cosa che avrebbe richiesto un certo tempo. Julie gli diede il suo regalo assicurandolo che poteva cambiarlo se non gli piaceva. Era una scatola, ma era fatta apposta per ingannarlo, perché dentro c’era un libro di elettronica con esperimenti del tipo ‘fai da te’. Un’idea creativa, per essere di Julie, e Arthur non fu sorpreso di ricevere un kit di elettronica dai genitori.

«Spero che ti piaccia. Il tizio che lo vendeva ha detto che forse era un po’ complicato per un quattordicenne, ma abbiamo pensato che te la saresti cavata bene» disse il papà.

«Grazie mille. Mi sembra molto bello».

Arthur rimase a fissare la scatola, coi pensieri che gli si affollavano nel cervello. E se Bian Shen si fosse verificato all’improvviso in quel momento? Oppure se fosse successo a scuola? Di colpo si rese conto di quanto avesse il corpo irrigidito e di quanto fosse stato perso nel proprio mondo.

«Grazie mille» disse di nuovo, protendendosi verso la madre per abbracciarla.

«Ti tremano le mani, sai?» fece lei.

Lo vedeva anche lui: tremavano leggermente. La madre gli mise una mano sulla fronte. «Febbre non ne hai».

I Bambini non venivano colpiti dalle malattie. Erano immuni a tutto, e Arthur non era stato ammalato neppure un solo giorno in quel corpo, cosa che la madre di quando in quando menzionava con orgoglio.

«Che strano». Arthur tese le mani davanti a sé e le guardò. Non credeva alle casualità.

«Ti fa male da qualche parte?» domandò la mamma.

Arthur fece finta di controllare. «No, sono solo stanco».

«Sei stato di nuovo alzato fino a tardi ieri?»

«Non stanco per il sonno. Stanco nel corpo. Come se avessi sciato tutto il giorno».

La mamma guardò il papà, che si strinse nelle spalle.

Emilie aveva finito di scartare il regalo, e gli gettò un libro in grembo. «Ecco» disse, sorridendo soddisfatta.

Arthur guardò il libro. Era un romanzo di Umberto Eco, un libro che una volta en passant aveva detto al papà di voler leggere. La mamma si alzò dal letto e sollevò la tenda avvolgibile. Per un attimo tutti socchiusero gli occhi a causa del sole.

«Vedi se ti passa quando ti alzi» disse la mamma.

Non passò. In un attimo di assurdità Arthur chiese al padre se era sicuro che lui fosse nato in quella data. La situazione non avrebbe dovuto inquietarlo così tanto: dopotutto non era che un giorno di ritardo. Un ritardo, però, che non si era mai verificato nel corso di migliaia di anni. Di per sé avrebbe dovuto essere una piacevole sorpresa, ma il corpo non era d’accordo. Non si faceva la comune illusione di avere il controllo, come la maggior parte delle altre persone, e si era trovato in situazioni veramente incontrollabili abbastanza spesso da sapere come gestirle. Ma sapeva anche che tutti hanno bisogno di una certa sensazione di sicurezza, reale o meno. E ora che uno dei pilastri della sua vita stava per crollare, sentiva il suo controllo sparire con una rapidità inquietante.

Perché aveva ancora tanta sete?

Scese in cucina e tirò fuori il latte dal frigo, ma il cartone gli scivolò tra le mani, come se tutte le forze l’avessero abbandonato, e gli atterrò sul piede schizzando latte tutt’attorno. Arthur si fissò le mani. La macchia di latte si allargò sul pavimento, incanalandosi nelle fughe tra le piastrelle. Gli fece venire in mente un vecchio sistema di irrigazione che aveva costruito una volta. Dov’era stato? Persia? Cina?

«Arthur, puoi prepararmi un panino da portar via per il pranzo?» La voce della madre dal corridoio. «Arthur?»

La madre entrò in cucina, mentre Arthur carponi sul pavimento asciugava il latte con una spugnetta e carta assorbente.

«Cos’è successo?»

«Mi è caduto».

La mamma non disse nulla, ma Arthur sapeva che la sua preoccupazione aveva raggiunto il punto in cui non se la sarebbe scrollata di dosso con facilità. «Christian, puoi star dietro a Emilie?» chiese.

«Certo» rispose il papà allegramente.

La madre andò nella stanza della lavanderia, tornò con uno straccio, lo depose sulla macchia di latte e finì di pulire. Arthur si sedette al tavolo e cercò di sembrare spossato, cosa che gli riuscì più facile di quanto avesse creduto. La madre tagliò in fretta alcune fette di pane.

«Posso rimanere a casa oggi?» chiese Arthur.

La madre si fermò e lo guardò. «Non hai febbre». Esitò. «Ti senti davvero così poco bene?»

«Non sono riuscito a tenere in mano un cartone di latte».

«Noi andiamo!» gridò il papà.

«Ok. Torna a letto. Ti telefono più tardi». La madre lo abbracciò e uscì dalla cucina, senza il panino.

«Il pranzo!» le gridò dietro Arthur.

La situazione non gli piaceva per nulla. Probabilmente Bian Shen si sarebbe verificato la notte successiva. Conosceva sua madre: si sarebbe rimproverata per il resto della vita di non aver capito che lui stava male sul serio.

E se non avesse trasmutato?

Non voleva pensarci, ma era difficile non farlo. Era mai accaduta una cosa simile a qualcuno dei Bambini? Non c’era alcuna possibilità di collegarsi al Network. Il suo conto veniva chiuso automaticamente il giorno del suo quattordicesimo compleanno e non veniva riattivato prima di diciotto mesi esatti, quando aveva di nuovo un anno e mezzo. Poteva provare a contattare alcuni degli altri attraverso un normale account MSN o Skype, ma ci sarebbero volute ore prima che fossero disponibili.

Quando alla fine anche Julie uscì, sentì chiudere a chiave la porta. In casa c’era un insolito silenzio. Le mani gli tremavano ancora. Cosa gli stava accadendo? Non c’erano molte certezze nella sua vita, ma il fatto che non aveva mai vissuto il giorno del suo quattordicesimo compleanno era una di queste. Nessuno nel Network discuteva più il perché fossero così, ma non erano mancate le teorie. Vivevano in eterno come bambini, senza alcun motivo apparente. Ma ci doveva pur essere una ragione. C’era sempre una ragione. Qualcuno diceva che se fossero diventati adulti avrebbero governato il mondo, ed era per quello che non gli era mai concesso di crescere. Arthur non avvertiva una grande necessità di governare il mondo, ma per lui e per gli altri Bambini riuscire a diventare adulti era una sorta di Santo Graal. C’erano cose più importanti da realizzare che scalare i vertici di una gerarchia di potere.

Dubitava che gli altri gli avrebbero creduto.