Capitolo 29
Fu strano ritornare a Parigi. Era come se non avessero mai lasciato la città. La Biblioteca invece non era come l’avevano lasciata: le stanze erano state riordinate, e sulle scrivanie c’erano dei computer nuovi. Dappertutto aleggiava un profumo di pulito, e il frigorifero era pieno di cibo.
«Incontreremo qualcun altro qui?» chiese Nathaniel, e si guardò attorno scettico prima di sedersi sul letto.
Arthur appoggiò lo zaino su una sedia e accese il computer. «Non credo. Raven mi ha detto che qui al momento c’è solo una redattrice, e abbastanza vecchia».
«Quindi sulla trentina, giusto?»
«Giù di lì».
Arthur sedette alla scrivania e controllò che ci fosse la connessione a internet. I muscoli delle spalle si rilassarono, ma non si sentiva proprio tornato a casa. Che cosa provasse di preciso, non sapeva dirlo. Il viaggio era stato molto piacevole, in primo luogo grazie a Nathaniel.
Sembrava che quest’ultimo avesse raggiunto una certa calma. «Ecco, io ho riflettuto un po’: abbiamo davvero una qualche chance di fermare il señor Loco?» chiese scalciando via le scarpe e stendendosi sul letto. «Voglio dire, supponiamo di trovarlo. E poi cosa facciamo?»
Non era una domanda che Arthur aveva creduto preoccupasse Nathaniel, ma era una delle tante a cui lui stesso andava pensando. «Raven e io ne abbiamo discusso, ma l’unico punto su cui siamo d’accordo è che abbiamo bisogno di più informazioni. Ci sono troppe variabili sconosciute. Non sappiamo nemmeno se possiamo fidarci del Guardiano. Quindi il piano è prima di tutto trovare Paolo, e poi tentare di capire cosa sta succedendo».
«Forse voi avete dei punti deboli? Lo hai chiesto al Guardiano?»
«Sembrerebbe di no, e il Guardiano non è utile. Più di tutto voglio parlare con Paolo. Sono sempre più sicuro che non sia pazzo: non c’è niente nei suoi ricordi che indichi che abbia perso il contatto con la realtà. La cosa più importante, come sai, è che non è in grado di combinare molto senza il sostegno di altri, eppure è proprio questo che mi preoccupa di più».
Nathaniel si tirò su a sedere sul letto. «Spiegati meglio».
«Non capisco cosa ci fa Mercer in tutta questa storia. Anche se Paolo non è pazzo, devono esserci degli altri che lo sono. Certo, al mondo esistono molte sette millenaristiche, ma di solito sono locali, consistono di individui che non sono né intelligenti né dispongono di risorse particolari, e perlopiù finiscono con l’eliminare se stessi. Mercer è intelligente, e con l’aiuto di Paolo si è procurata delle risorse».
«Quindi senza Mercer...» Nathaniel non completò la frase, come se di colpo avesse realizzato cosa stava dicendo.
«Forse». Arthur prese lo zaino e si avviò verso la porta. «Non pensarci troppo. Fino a che non ne sappiamo di più, ci sono infinite possibilità. Buonanotte, ci vediamo domani».
Nathaniel disfò la valigia e aprì la posta. Emma gli aveva mandato le foto della festa di compleano improvvisata che avevano fatto poco prima della sua partenza. Sorrise tra sé e sé al vedere la prima foto. C’erano lui e suo nipote Carl, due anni, entrambi con tanta panna in faccia quanta nel piatto. Era stato un bel weekend. Dopo tre giorni di intense ricerche su internet aveva trovato una vecchia macchina fotografica Leica, che aveva comprato per la sorella. La sola espressione del suo volto quando aveva scartato il regalo era valsa quasi tutto ciò che era accaduto quell’anno fino a quel momento. Emma aveva alternato il pianto al riso, e non si capacitava di come lui fosse arrivato a concepire un regalo del genere. Nathaniel aveva insistito che era solo una questione di gusto raffinato. Oppure di essersi fatto aiutare dagli amici della sorella, buoni ma un po’ impiccioni, però quello non l’aveva detto.
Era strano, come la vita potesse cambiare tanto nel giro di pochissimo tempo. Non era il solo a essersene accorto. A tarda notte, prima di andare a letto, la sorella maggiore aveva tradotto in parole ciò che tutti sentivano: era quasi come trovare una famiglia che non si sapeva di avere. Nathaniel aveva compreso esattamente cosa voleva dire, ma per lui quelle parole avevano anche un retrogusto amaro.
Si svegliò a notte fonda, senza ricordare di essersi addormentato. Il piumino giaceva per metà a terra, e il cuscino era più sopra che sotto di lui. Benché gli sbadigli si susseguissero, non c’era verso di riaddormentarsi. Quella sensazione che aveva cominciato a notare negli ultimi tempi gli pervadeva ora l’intero corpo. Una sorta di inquietudine, una forma di tremito che perdurava.
Sedette al computer e fece il login per controllare gli ultimi risultati dei satelliti. Aveva già approntato dei nuovi algoritmi che scartavano i rilevamenti non interessanti e un programma che mostrava i movimenti di Paolo nel tempo. Paolo soggiornava soprattutto a Berna, a Città del Capo, a Gerusalemme e in un luogo nel Galles.
Nathaniel sapeva che Noorah aveva cercato di trovare un legame fra le quattro città, ma invano. Ma c’era poco da meravigliarsi: non avevano nulla su cui basarsi, e anche se con molta fortuna potevano individuare quali areoporti venivano usati, era ancora come cercare un ago in un pagliaio delle dimensioni dell’Empire State Building. Quella metafora era di Raven, ma Nathaniel poteva dirsi d’accordo.
Il Galles era il luogo più interessante, più che altro perché non c’entrava nulla con gli altri: non c’era nessuna grande città nei dintorni, il posto più conosciuto era il Parco Nazionale di Brecon Beacons. Non sembravano esserci altro che fattorie nella zona interessata. In altre parole non c’era un’alta densità di popolazione, ed era poco probabile che Paolo e Mercer facessero parte della popolazione locale. Secondo Raven quello era il posto migliore, e forse l’unico, dove avevano l’opportunità di procurarsi informazioni. I piccoli dettagli che Arthur ricavava dai ricordi erano troppo vaghi, ma con un volto e un nome, veri o falsi che fossero, avevano degli elementi da cui partire.
O così si poteva almeno sperare.
In mancanza di sonno l’alternativa era il cibo, e Nathaniel scese in cucina. Dal frigorifero emanava un odore non proprio appetitoso: i colpevoli probabilmente erano alcuni formaggi. Una caraffa di succo di frutta era la cosa più invitante, assieme a degli affettati che si ricordava dall’ultima volta.
Trovò un bicchiere e un coltello affilato, tagliò spesse fette di salame e le divorò. Avrebbe potuto mangiare qualunque cosa contenesse del sale. Il succo era freddo e con della fantastica polpa di frutta che gli rimase impigliata fra i denti.
La porta della cucina si aprì con uno schianto che gli mozzò il respiro per qualche istante.
Gli apparve Arthur, in boxer, con i capelli spettinatissimi e occhi che quasi non si volevano aprire.
«Acqua» provenne alla fine dalle labbra troppo secche.
Arthur si sedette al tavolo e seppellì la faccia tra le braccia.
Nathaniel si alzò e andò a prendere un bicchiere dalla madia.
«Non ti starai ammalando di nuovo, vero?»
Arthur borbottò qualcosa.
«Eh?»
«Il maledetto condizionatore era programmato male».
Nathaniel riempì il bicchiere d’acqua e glielo posò davanti.
Arthur allungò una mano senza guardare, e lo afferrò. Ci volle un po’ di tempo prima che sollevasse la testa e bevesse. «Ancora».
A poco a poco Arthur si riprese, e preparò una colazione coi fiocchi.
Rimasero seduti a discutere a lungo dopo che ebbero finito di mangiare.
«Allora decidiamo stasera?» chiese Nathaniel.
«Se Raven non ha delle idee rivoluzionarie, suppongo di sì».
«E abbiamo la speranza di trovare Paolo nel Galles» continuò Nathaniel.
«Rwy’n teimlo fel tynnu blewyn o’i drwyn».
«Eh?»
«Gallese celtico. Una volta ho vissuto lì».
«Ma non parlano inglese?»
«Anche. Non sono rimasti in tanti a parlare il gallese. Non lo so».
Il cellulare di Nathaniel emise un bip. Lui lo aprì e lesse il messaggio. La notte lui ed Emma avevano discusso di politica, e ora lei aveva finalmente trovato il tempo di mandargli il nome di alcuni libri che secondo lei Nathaniel doveva leggere.
«Devo chiederti una cosa» disse Arthur, e si appoggiò all’indietro sullo schienale della sedia. «Ti senti pronto per andare nel Galles?»
«Perché non dovrei?»
«Non hai mai parlato di quel che è successo poco prima che lasciassimo Parigi. L’episodio di quei ragazzi».
Nathaniel si sentì contrarre le labbra. Si guardò le mani senza saper bene cosa dire. «Cosa c’entra con il Galles?»
«Tu cosa credi?»
Non gli piacque il tono di Arthur. Gli ricordava troppo quello di Raven. «Non lo so. Sei tu il cosiddetto esperto».
Arthur non sembrò curarsi del suo sarcasmo. «Non è molto probabile che accada qualcosa di simile, ma se ci dovessero capitare guai, è bene sapere se tu sai gestire la situazione».
«E che cosa dovrei gestire? Non sono qua per essere una specie di guardia del corpo».
«Perché hai raccolto il coltello?»
La sedia di Nathaniel raschiò il pavimento quando fu spinta con forza all’indietro. Lui aveva inteso alzarsi in piedi, ma non fu possibile. Il corpo si ricordava come si era irrigidito quella volta, ed era stato sufficiente a farlo vacillare. Non riuscì nemmeno a guardare Arthur negli occhi.
«Era una brutta situazione. Io ho fatto delle cose sgradevoli, ma non credo sia quello che ti tormenta di più, vero?»
La mano di Nathaniel si richiuse. Le sensazioni riaffiorarono vivide, e per un attimo si ritrovò in quella via. Poté addirittura sentire di nuovo le urla.
Le parole gli sgorgarono fuori suo malgrado. «Non ricordo di aver raccolto il coltello. Tutto quel che ricordo è la paura. Paura, e poi rabbia. Non mi faceva star male il fatto che tu li avessi aggrediti in quel modo, anzi in quel preciso momento ho sentito che se lo meritavano, ma al tempo stesso mi ha dato la nausea. Però non potevo muovermi».
«Non è una reazione insolita».
«Chi se ne frega di cosa è insolito!»
«Cosa ti tormenta di più: la sensazione che volevi far loro del male, o il fatto di non esserci riuscito?»
Nathaniel sbatté la palma della mano sul tavolo e guardò Arthur, ma non trovò lo sguardo che si era aspettato.
«Scusami. Non c’era bisogno di chiederlo. Ma è importante per me sapere cosa hai pensato».
La sedia di Nathaniel scricchiolò quando lui si appoggiò all’indietro. «Non avrei potuto far nulla anche se lo avessi voluto».
«Questo può succedere a tutti, e in un certo senso è la reazione migliore».
«E se succede di nuovo qualcosa di simile?»
«Di questo non devi preoccuparti».
«Non devo preoccuparmi? E se succede qualcosa nel Galles? Non è forse il motivo per cui mi hai chiesto se ero pronto a partire?»
«Il modo migliore di gestire un rischio è evitarlo nel modo più assoluto. Non si ripeteranno situazioni del genere».
«Come se potessi prevederlo! Sarò anche giovane paragonato a te che sei vissuto per migliaia di anni, ma non sono un completo idiota».
«Va bene, non litighiamo. Cos’è che vuoi tu?»
Nathaniel esitò, ma non perché non conoscesse la risposta.
«Non avere paura» fece, guardando per terra. «Combattere come hai fatto tu».
«Posso aiutarti con la paura, se è davvero quello che vuoi. Combattere è più difficile, ma qualcosa possiamo riuscire a fare».
Nathaniel annuì, sempre con lo sguardo puntato a terra, ma alla fine alzò gli occhi.
Arthur sorrise e si avvolse la forchetta intorno alle dita con un’eleganza che avrebbe inorgoglito un prestigiatore. «Aspetta a ringraziarmi prima di aver saputo cosa comporta».
Nathaniel non capì cosa voleva dire, ma qualsiasi cosa doveva essere meglio di quella sensazione di impotenza.
Entrarono nella Biblioteca, e insieme spostarono i mobili così da fare spazio al centro della stanza. Quando Nathaniel vide cosa Arthur aveva portato con sé dalla cucina, non fu più tanto sicuro di voler realizzare il suo desiderio. Arthur depose su un tavolo una serie di coltelli, compreso un comune coltello da burro. Uno di quelli l’aveva usato Nathaniel, ed era appena stato affilato, abbastanza da poter tagliare un dito senza problemi.
Arthur prese in mano il più piccolo dei coltelli taglienti. «Ci sono molti modi per combattere, ma prima di tutto c’è una cosa che devi imparare. È anche la più difficile».
Veloce come il lampo, puntò il coltello verso il viso di Nathaniel, fermandosi solo a pochi centimetri dall’occhio.
Nathaniel avvertì il proprio corpo reagire molto prima che riuscisse a formulare un pensiero. Si sbilanciò all’indietro senza alcun controllo e cadde di peso sul pavimento. «Ma che diavolo?!»
Arthur appoggiò il coltello sul tavolo e tese una mano a Nathaniel per aiutarlo a rialzarsi. Sul suo volto non c’era neppure l’ombra di un sorriso. «I must not fear. Fear is the mind- killer. Fear is the little-death».4
La voce di Arthur era monotona.
Nathaniel afferrò la mano tesa e sentì che i muscoli del braccio gli tremavano. Sapeva di aver già sentito quelle parole, ma non riusciva a risalire alla loro origine. Per contro, mai prima d’ora le aveva capite tanto bene.
La sua rabbia scomparve, scacciata dalla comprensione di ciò che Arthur voleva insegnargli.
«La paura può distruggere anche il guerriero più forte e più addestrato. Ma il cervello è in molti sensi una macchina avanzata, una macchina che si può programmare. Tutto quello che serve è un motivatore, e ce ne sono molti: per esempio ostinazione, orgoglio, dolore, amore e ovviamente paura. Solo uno di questi si adatta a ciò che posso insegnarti».
«Intendi dire il dolore!»
Arthur annuì. «Certi nervi reagiscono automaticamente al dolore ben prima che tu ne sia cosciente. Il dolore è così fondamentale per tutti i nostri sensi che è in grado di soverchiare tutte le altre impressioni nel sistema nervoso».
Nathaniel accettò la logica di Arthur, ma delle immagini si stavano già imponendo alla sua attenzione: la lama del coltello sulla sua pelle, l’apertura di una ferita. Il tutto pervaso da una spaventosa sensazione che gli stava invadendo il corpo.
La mano aperta di Arthur gli sferrò uno schiaffo sulla guancia con un colpo secco.
Le immagini scomparvero, pungenti formicolii gli si propagarono come fuoco a tutta la faccia, e la voce di Arthur si mescolò al fischio nelle orecchie, mentre lui lo guardava negli occhi: «Bene. Senti la tua rabbia, usala».
Per Nathaniel l’unico modo per sfogare la sua rabbia era suonarle ad Arthur. Ma la mano di quest’ultimo si mosse più in fretta di quanto Nathaniel riuscì a vedere, e due dita si fermarono davanti ai suoi occhi, prima che lui avesse avuto alcuna possibilità di reagire. Ma non indietreggiò. Il suo sguardo oltrepassò le dita e si piantò su Arthur, che ora aveva una sorta di sorriso sulle labbra.
«Yoda era un dilettante» disse.
Si girò, prese con sé i coltelli e si portò al centro della stanza.
Nathaniel rimase dov’era, e la sua attenzione venne tutta assorbita da un unico pensiero: non era forse quello il modo per generare dei mostri?
L’addestramento al combattimento cominciò in modo più piacevole di quanto si fosse aspettato Nathaniel. Arthur utilizzò il coltello da burro per mostrargli come poteva combattere contro qualcuno armato di coltello quando lui non ce l’aveva. La lista dei trucchi sporchi noti ad Arthur appariva infinita, cosa abbastanza comprensibile: essere un bambino doveva fornire una meravigliosa ispirazione per combattere in modo tenace ed efficace.
Lui, purtroppo, non era quello che si dice un talento di natura. Il suo corpo era lento, e l’equilibrio nulla di cui vantarsi, ma ricordava ciò che gli veniva detto.
A conclusione dell’allenamento, Nathaniel doveva combattere seriamente contro Arthur armato di un corto bastone ricavato dal manico di una scopa, mentre Arthur brandiva un coltello.
«Ogni volta che fai solo un mezzo tentativo» lo avvertì Arthur, «ti taglio».
Nathaniel non gli credette. Fu un errore che gli costò due tagli, più che sufficienti a far scattare l’ansia, ma Arthur non gli lasciò il tempo di pensarci.
Quando terminarono Nathaniel sanguinava un po’, ma nessuna delle ferite era profonda. Si sedettero su uno dei divani, entrambi col fiato grosso.
«Come ci riesci?» chiese Nathaniel. «Io ho cercato sul serio di colpirti, ma tu sapevi sempre cos’avrei fatto, anche se io ho usato tutti i trucchi che mi hai insegnato».
«Lunga pratica. Più un altro trucco, che non è possibile insegnare».
Nathaniel riconobbe il tono, quel tono che indicava come quello fosse tutto ciò che gli era dato di apprendere. «Ma funziona, questa roba? Mi aiuterà sul serio?»
«Non è facile a dirsi. C’è solo un test che può appurarlo, e speriamo che ti sia risparmiato. Due cose devi ricordarti. Primo: se intendi combattere, combatti. Secondo: usa altre emozioni contro la paura. Ma ricordati che la rabbia è un’arma a doppio taglio: la rabbia controllata, la rabbia del giusto, è un’arma immensa. La rabbia incontrollata è distruttiva».
Nathaniel si passò il dito su una delle ferite. Il dolore era sordo, come se più che un taglio fosse un livido. Poteva avvertire l’angoscia, ma era lì perché lui voleva che ci fosse. Andava bene così. C’erano anche altri sentimenti che si erano insinuati dentro la sua coscienza: era orgoglioso, e un tantino sollevato. Aveva fede nel suo saper reagire, nel non essere paralizzato dalla paura, ed era quello che contava.
I loro cellulari emisero un bip quasi in contemporanea.
Si collegarono al sistema di teleconferenza, dove Raven li stava già aspettando.
«Buonasera». La sua voce al telefono sembrò ancora più acuta.
«Ciao» risposero Arthur e Nathaniel in coro, poi si lanciarono un’occhiata vuota.
«Non vedo alcun motivo per cui non dovreste partire per il Galles appena possibile, a meno che non abbiate obiezioni».
«No» disse Arthur.
«Nei sistemi informatici non ho trovato un modo per aiutarvi a cercare Mercer e Paolo» proseguì Raven, «ma ho fatto una lista dell’attrezzatura e ho inventato una storia che spieghi il motivo per cui siete nel Galles. Potete usarla quando parlate con la gente. L’ho mandata a te, Arthur».
Arthur aprì la sua posta in arrivo.
«Ho allegato le informazioni per contattare una persona che può procurarvi gli articoli meno accessibili».
Nathaniel inarcò le sopracciglia e guardò con aria interrogativa Arthur, che inclinò la testa di lato e si strinse nelle spalle. Ci volle del tempo per decrittare il messaggio.
«Dovete riconsegnare la macchina a noleggio. Comprate una macchina usata, qualcosa di comune. Avete letto la lista?»
«La sto leggendo ora» disse Arthur, e girò lo schermo in modo che anche Nathaniel potesse vedere.
«La storia fornisce una spiegazione per tutta questa attrezzatura?» domandò Nathaniel esitante.
«Non ci portiamo dietro tutto nel Galles» lo tranquillizzò Arthur.
Per un po’ la linea tacque.
«A voi la scelta» disse infine Raven.
Poi raccontò loro cosa aveva scoperto su quella zona, e che cosa potevano domandare senza destare sospetto. La storia non era un capolavoro, ma probabilmente sarebbe bastata se avessero incontrato dei chiacchieroni. Arthur e Nathaniel dovevano fare delle ricerche sui propri genitori senza avere molti fatti su cui basarsi.
«E il Consiglio? Hai pensato di coinvolgerli di più, in qualche modo?» domandò Arthur.
«No. Non ha senso fino a che non abbiamo qualcosa di concreto» rispose Raven.
«Sono d’accordo» convenne Arthur, sollevato di poter evitare di pensare a ulteriori problemi.
«Ah, un’altra cosa: sto meditando di sparire» aggiunse Raven.
«Nel senso che verresti da noi?» chiese Arthur, e sorrise dell’espressione a dir poco scettica dipinta sul viso di Nathaniel, che aveva alzato allarmato gli occhi dallo schermo. Dover convivere con Raven tutti i giorni non era in cima alla lista dei suoi desideri.
«Sì, perlomeno più avanti. Prima devo avere la conferma di un po’ di cose».
«Ovviamente c’è posto per un’altra sorellastra in famiglia: non sarà difficile notare la somiglianza» disse Arthur, e lanciò a Nathaniel un cioccolatino.
«Appunto» convenne Raven seria.
«Vedo che Nathaniel già si rallegra all’idea» continuò Arthur.
«Intendi dire che ci sono tutte le premesse per un bell’amore fraterno di vecchio stampo?» disse Raven.
Arthur sentì che stava sorridendo. «Appunto» replicò.
Nathaniel scosse la testa, ma non senza un sorriso sulle labbra. Arthur con la mano fece il gesto di una chiacchiera inarrestabile quando Raven, scorrendo la lista, cominciò a entrare molto nei dettagli. Nathaniel simulò un colpo di tosse per evitare di ridere. Era quasi irreale. Le cose procedevano, in un modo o nell’altro.
Restava da vedere in che direzione.