Accendino

Nel silenzio sceso in quella stanza in fondo a un corridoio dell’Intercontinental Hotel, il collaboratore di Khàlid Sabkhani si sentiva perduto. Lanciò sul letto la busta che lo sheikh gli aveva consegnato, con dentro la ricevuta del bonifico bancario fatto a suo nome. Un versamento a tanti zeri, così tanti che mentre li leggeva gli si era appannata la vista e gli era sfuggito un sussulto. Sabkhani, che lo guardava con un sorrisetto sarcastico, aveva creduto che si fosse messo a piangere. Ma non era così! Lui spesso faceva il tragico, ma era troppo arido per versare anche una sola lacrima. Tutti quegli zeri superavano i suoi sogni più arditi. E non finiva lì! Grazie a Sabkhani, la sua carriera sarebbe stata rilanciata, e lui avrebbe raggiunto il gradino più alto, diventando capo della sezione investigativa. Con Sabkhani la vita era tutta ascensori che salivano in alto e grattacieli di vetro e acciaio che svettavano ancora più in alto. Con Sabkhani la sua vita sarebbe stata un’infinità di zeri! Del resto lo zero era il logo delle sue società, conosciute ovunque... Bastava un piccolo cenno di Sabkhani perché il mondo si mettesse a girare in un altro modo. Del resto anche lui, l’ispettore Nasser Qahtàni, aveva passato tutta la vita a girare, ma da quel giorno avrebbe ricavato in cambio soldi a palate.

Prese dall’armadio la valigetta Samsonite, la aprì e controllò che i fogli, che conosceva a memoria, ci fossero ancora. La chiuse e uscì dall’albergo portandosela dietro. Aveva le spalle pesanti, eppure tutta la stanchezza accumulata nei giorni precedenti non era niente rispetto al gusto di marcio che si sentiva in gola, come se un topo vi avesse fatto il nido per andare a morirci. Un suo respiro profondo avrebbe potuto appestare l’aria e uccidere i passanti.

La Land Rover sgommò allontanandosi dal parcheggio dell’albergo. Nasser guidò senza una meta precisa, lasciandosi la città alle spalle, e all’altezza di Medina nord si fermò sulla corsia d’emergenza. Scese e andò ad aprire l’altra porta anteriore. Si sentiva stordito. Prese dal sedile la valigetta e la aprì. Con mano tremante, come un innamorato che stringe l’amata, prese la cartellina blu e si accovacciò sulla sabbia che copriva l’asfalto, accanto al cofano. La aprì, con la sensazione che gli si chiudesse la bocca dello stomaco: quei fogli contenevano il suo cuore, che ora batteva all’impazzata. Gli sembrava di essere sulle montagne russe, lanciato a tutta velocità verso il giro della morte ma destinato a tornare poi al punto di partenza, all’unica donna da cui si era sentito attratto: da lei si era fatto stringere il collo con parole simili a una corda, per lei si era lanciato nel vuoto.

Nasser tremò sfiorando quelle e-mail dopo una così lunga separazione.

«Oh... che donna esasperante» gemette, appoggiando la fronte sulla lamiera bollente del cofano. «Perché non ti ho bruciata subito? Perché ho disobbedito a Sabkhani? L’ho fatto solo per te! Solo per te ho osato trasgredire l’ordine di distruggere le tue e-mail. Ma perché siamo incapaci di cambiare la nostra natura? Io sono un traditore e tale resterò sino alla fine dei miei giorni. Morirò da traditore! Alla fine, tu mi hai spinto a sfidare me stesso, mi hai messo di fronte a una scelta: fuggire con te o inseguire Yusuf... E io ho scelto il conto in banca. Perché non sono stato capace di affrontare e sconfiggere la mia viltà? Perché non sono riuscito a diventare un uomo migliore, Aisha?»

Quel nome gli squarciò il petto e lo fece ululare come un lupo ferito.

«Tutto ciò che ho fatto l’ho fatto per te, Aisha» disse.

Con l’accendino diede fuoco alla prima e-mail. Le sue lacrime, copiose, bagnavano la sabbia arroventata. I suoi singhiozzi si trasformarono in un urlo, mentre le e-mail venivano divorate una dopo l’altra dalla fiamma.

Il Collare Della Colomba
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