Una verità fisica

E-mail n. 26

Attraverso le sue dita monde d’ogni suggestione voleva poter percepire la realtà che era in lui e pervenire alla dolce, pura, indefinibile realtà delle sue reni oscure. Toccarlo al buio, senza altro scopo che quello di sentire la realtà del suo corpo: era quello il desiderio che l’animava.

Anche Birkin era in attesa, in un’atmosfera sospesa, incantata, che lei prendesse di lui quella conoscenza che lui già aveva di lei, una conoscenza strana, satura di oscura esperienza.

(Da Donne innamorate, di D.H. Lawrence.)

Mio caro *,

ah, come si fa a tradurre in parole quella scossa elettrica, quella consapevolezza insostenibile del mattino!

Non leggerò mai più questo paragrafo, a meno che, per miracolo, non dovessimo nuovamente incontrarci. A meno che il destino non voglia esaudire le mie preghiere e le nostre strade non tornino a incrociarsi... un’altra volta... una soltanto...

Ti ricordi quella notte a Bonn in cui tu rimanesti a casa e io rientrai da sola, al buio?

All’inizio ero spaventata. Puoi immaginare cosa significa per una donna come me camminare per la prima volta, da sola, lungo una strada straniera? O lungo qualunque altra strada? A ogni passo che facevo, immaginavo che mi avrebbero aggredita, o che sarei caduta, o che la testa mi sarebbe scoppiata e andando in frantumi avrebbe portato alla luce i miei pensieri.

Aburrùs, il Vicolo delle Teste, camminava nella mia testa e mi osservava, pronto a registrare ogni mio comportamento per riferirlo poi ai suoi abitanti.

A un certo punto, la paura si lacerò liberando i miei molti io. Ogni tuo sguardo liberava un mio io nascosto.

Tornai in ospedale, provando un piacere perverso. In qualche modo, io e i miei io ti odiavamo perché mi avevi lasciata sola ad affrontare quella paura, quella passeggiata nel peccato. Il peccato non appartiene al vostro vocabolario, non fa parte del vostro dna, ma per me è il contrario: ogni piacere libera un uguale e contrario senso di colpa, rendendo, talvolta, il piacere insopportabilmente intenso.

A ogni respiro ti ho amato e odiato insieme, mentre tu continuavi a chiedermi: «Va tutto bene? Spero che tu non abbia rimorsi! Sei pentita?»

Io mi limitavo a rispondere: «Mi godo l’attimo, non penso mai a quello seguente, mi abbandono al qui e ora, scorro insieme con la vita e con il patto che io e te abbiamo stretto.»

Ebbi paura di dire che mi abbandonavo a Dio, non avevo più il coraggio di menzionare il nome di Dio dopo che...

Tu pensi che io sia maledetta, adesso? No, non lo pensi... sei convinto che io abbia ragione di volermi arrendere alla vita, io che, dentro di me, mi arrendevo al tuo sapore. Il sapore di te sta avvelenando persino le mie preghiere. Non posso più pregare come facevo un tempo. Sento di aver perso qualcosa, ma non so cosa... non la devozione, bensì il vuoto della vita: adesso prego sentendomi sazia! Sì, sazia di vita... e sazia di te. Come si può chiamare questa cosa? Scissione? Frammentazione!

Ti sono grata per questa gioiosa leggerezza che hai saputo trasmettere alla nostra breve preghiera... quanto è durata? Tre mesi? Quattro?

Ogni volta che mi sentivo schiacciata dal vortice delle emozioni, tu mi facevi volare, alleggerivi il peso che mi portavo sulla coscienza perché potessi volare leggera.

Dicevi che mi ero fatta troppo influenzare dalla storia della cacciata dall’Eden.

Perché rifiuti l’idea che un singolo evento possa aver inciso in modo così definitivo sui nostri destini, causando la nostra cacciata dal paradiso? Quando il corpo scoprì il piacere e i suoi segreti e divenne troppo pesante perché i cieli potessero reggerlo, inevitabilmente precipitò sulla terra... dove noi viviamo cercando il volto che abbiamo perduto in paradiso...

«La vita è tutto tranne che astrazione!» esclamavi con enfasi. «O tu pensi forse che la mia vita qui sia un’astrazione?»

Davvero sei d’accordo con me? Davvero credi anche tu che il nostro destino sia già scritto prima ancora della nostra nascita?

L’abbiamo scritto noi stessi, quando Dio ci ha plasmati! Quel giorno, ciascuno di noi ha tracciato il proprio destino e ha dichiarato che sarebbe stato in grado di viverlo nella realtà.

Neanche la scrittrice più stravagante avrebbe scelto per me una trama così complicata: essere scissa tra Aburrùs e Bonn, in Germania. Comincio a pensare che sia un po’ troppo per le mie sole forze.

Per tutto il giorno ho sentito l’assurdità di questa relazione che ci lega attraverso due continenti... Risate ed esplosioni di passione. Come può resistere questa nostra storia cibernetica quando si confronta con la vita vera, con il risveglio in una città vera accanto a una donna vera, in carne e ossa?

Una donna di pura aria, che gioca focosamente con un uomo reale, circondato da corpi reali in una vita reale: questo sono io!

Quanto potrà durare questo scontro tra l’aria e la vita vera?

Allegato

Questa è la foto della mia stanza rubata. In primo piano c’è il letto con il copriletto color lavanda. L’ho steso per te!

L’ispettore Nasser si innervosì. Gettò via la e-mail e si alzò. Come in trance, prese l’auto e andò all’ospedale di Zàhir. I suoi stessi passi lo portarono all’obitorio. Il responsabile gli aprì la cella e se ne andò, lasciandolo solo.

Nell’aria ghiacciata e violacea, aveva l’impressione di ondeggiare in un cubo di irrealtà, con le dita tremanti, ma non di paura bensì di spaventoso desiderio – quel desiderio che lo aveva accompagnato per le strade della città, e poi per le corsie dell’ospedale, fino a quella cella che il responsabile dell’obitorio aveva aperto per lui e a quel corpo inerme e incellofanato che adesso aveva di fronte.

Non osava scoprire il viso, ma volle toccare i polpastrelli; era sicuro che quelle dita custodissero un codice, un messaggio cifrato.

In lui proruppe un gemito: sono stanco, infinitamente stanco! Avrebbe voluto che lei lo raggiungesse nel più profondo di quella stanchezza e la cancellasse, che lo sfiorasse con le sue labbra. Quando sollevò il lenzuolo, scoprendo la spalla, Nasser avvertì un alito di vento, un soffio indefinibile. Una nuvola perlacea di coinvolgente tristezza si diffuse, come un lamento, nell’obitorio, accecandolo, avvolgendolo. Sentì i propri capelli scricchiolare e incanutire, poi la nuvola scivolò via, lasciandolo vuoto e straordinariamente leggero.

Faticosamente, riprese il controllo di sé. Gli occhi lucidi fissavano la perfezione di quella figura, di quella morte. Pensò all’affermazione: il corpo della donna è la morte stessa. Adesso ne aveva la conferma. Posò lo sguardo offuscato su quei seni dai capezzoli scuri, poi lo fece scendere fino al triangolo scuro e al... era arrivata un’erezione, aveva la gola secca e gli sembrava di masticare pezzi di vetro.

Rimase fermo a lungo, cercando di rievocare altri silenzi altrettanto assoluti, quelli che avevano inghiottito le sue emozioni e i corpi femminili che durante l’adolescenza lui aveva nascosto nel suo subconscio: non corpi, ma abaya nere che coprivano masse informi. All’improvviso Nasser si sentì tutt’uno con l’assoluto silenzio di quella donna morta, un silenzio che stava scavando in lui una ferita profonda quanto quella mortale che aveva scavato in lei.

Quando se ne andò dall’ospedale, non fu lui a muoversi: si sentiva trascinato dalla glaciale tristezza scaturita dall’assoluto silenzio della donna. Desiderava andare in un posto fresco, fuggire dal caldo della Mecca che minacciava di sciogliere quel silenzio avvolgente. Ma dove poteva rifugiarsi?

Il caldo lo punzecchiò: «Sei patetico, fai di tutto per continuare a illuderti. Bastava girarla per riscontrare la presenza di eventuali cicatrici, o richiedere un’autopsia per appurare la presenza di eventuali protesi nel bacino. Invece, per l’ennesima volta hai dimostrato quanto sei vigliacco!»

Nasser si fermò dov’era, come fulminato.

«Davvero sono un vigliacco? No, non è per vigliaccheria, lo faccio solo per non tagliare il filo che mi lega a questo amore, per non rinunciare all’illusione di una passione che riempia il vuoto della mia vita: un deserto assoluto!»

Entrando in casa, sentì che il freddo gelido della morte lo aveva preceduto; ma si trattava della morte oppure di quella spaventosa tristezza che l’aveva avvolto quando aveva sollevato il lenzuolo e scoperto il cadavere?

L’unica cosa certa era la voce femminile che di notte gli sussurrava all’orecchio quel che aveva letto in una e-mail di Aisha.

P.S. 1

Sei serio quando dici che puoi amare una donna come me? Capisci cosa significa? Lo sai quanti uomini devi essere? Tanti quante sono state le volte in cui mi sono innamorata, dall’adolescenza.

Lo sai per quante notti il mio cuore ha battuto all’impazzata? Provavo nostalgia, ma non sapevo per cosa. Supponevo di rimanere insonne per un’infatuazione, e poi mi addormentavo. Sai quante sono le scene d’amore che ero sicura fossero state pensate esclusivamente per me nei libri che leggevo, nelle canzoni che ascoltavo, nei film che vedevo? Puoi essere tutti questi uomini e queste scene d’amore? Puoi amarmi di questo molteplice amore?

Un amore che è come un mucchio di cambiali, che io pretendo di incassare per essere risarcita di ogni amore che mi è passato accanto senza che io potessi viverlo, negli anni più belli della mia vita, pigiata com’ero in quel pullmino giallo, facendo la spola tra la scuola e questa mia stanza rubata, bendata come un falco per evitare che mi spaventassi vedendo qualcosa che non dovevo vedere.

Forse per te sarebbe molto più facile amare una donna che avesse riscosso di volta in volta tutte le sue cambiali, e che, una volta giunta a te, non pretendesse di essere risarcita di tutto ciò che non ha avuto in precedenza.

Non ridere di me! So di essere all’antica, avrei dovuto vivere in un’epoca in cui le persone ancora si suicidavano per amore.

In questa nostra epoca non c’è più spazio per tutto questo!

Aisha

P.S. 2

Sul mio letto ho trovato un dono della madre di Giamìla, la yemenita: indumenti intimi ornati con gelsomino di Gizzàn appena raccolto.

Le donne di Gizzàn usano ornare in questo modo la loro biancheria.

Mi sono spogliata, ho indossato quegli indumenti intimi e mi sono messa a camminare, sentendo i fiori schiacciarsi sulla mia pelle e lasciandomi dietro una scia profumata di gelsomino.

Un giorno ti donerò, mio caro *, dei boxer di gelsomino, perché tu possa sentirne l’incredibile, sensuale freschezza, perché tu possa avvertire quell’invito a dedicarsi a carezze più intime e profonde.

Mi sono immaginata avvinta alla tua schiena: i fiori si schiacciavano sotto il tuo peso.

Ho passato tutta la notte a rigirarmi nel letto, senza riuscire ad addormentarmi, mentre i fiori si frantumavano sotto di me ed emanavano un inebriante profumo a ogni mio movimento.

Al mattino, mentre indossavo i jeans, quegli incredibili indumenti intimi apparivano ancor più sensuali... immagina cosa vorrebbe dire affrontare il mondo indossando solo gelsomini sulla pelle nuda.

Allegato

È la foto di un amuleto a forma di mezza luna, un gioiello raro, finito nelle mani di Mushabbab. La foto l’ha scattata Muadh di nascosto. Osserva la mezza luna: è una scatola d’argento massiccio, capiente, come tutti gli amuleti antichi che le donne beduine riempivano di foglietti su cui erano scritte formule magiche destinate a far innamorare gli uomini o a farle rimanere incinte.

Era la prima volta in vita sua che Nasser non si faceva la barba e non si fermava a contemplare la macchia di umidità che si espandeva a vista d’occhio sulla parete del bagno, subito sotto il soffitto, accanto allo sciacquone. Niente era riuscito a distrarlo, neanche le gocce d’acqua che da quella macchia finivano sulla sua spalla.

Vide la sua immagine riflessa nello specchio e rimase raggelato: chi era quello sconosciuto con i capelli bianchi? Quell’improvviso incanutimento era la prova della colpa di cui si era macchiato il giorno prima: aveva desiderato fare l’amore con una donna morta!

Davanti a quello specchio, Nasser si sentì smarrito, spaventato dalla verità che aveva scoperto il giorno precedente. Pur rimanendo chiuso nel suo bagno, sentiva che un cambiamento radicale era in atto alla Mecca. Gli sembrava che un vortice bianco risucchiasse tutta l’aria. Ma quel cambiamento deformante stava avvenendo in città o dentro di lui?

Improvvisamente, dal vuoto assoluto riaffiorò un volto, quello del vecchio che Muadh gli aveva indicato nel vicolo, come si chiamava... sì, Muflih Ghatafàni, e che lui subito dopo aveva pizzicato nel giardino di Mushabbab, mentre cercava un amuleto d’argento.

Nasser si dimenticò di tutto quel bianco riflesso nello specchio e corse a prendere la rubrica telefonica. Trovò il numero e lo compose in fretta, senza controllare l’ora. Il telefono squillò a lungo. A un certo punto, pensò che il numero non fosse più attivo, ma poi sentì una voce assonnata di donna.

«Non è in casa!»

Senza perdersi d’animo, Nasser chiese: «E dove posso trovarlo?»

La voce ora era vigile.

«È ricoverato all’ospedale militare.»

Nasser si vestì e si preparò a uscire, rendendosi conto solo allora di quanto fosse tardi.

Il Collare Della Colomba
titlepage.xhtml
text_part0000.html
text_part0001.html
text_part0002.html
text_part0003_split_000.html
text_part0003_split_001.html
text_part0004.html
text_part0005.html
text_part0006.html
text_part0007.html
text_part0008.html
text_part0009.html
text_part0010.html
text_part0011.html
text_part0012.html
text_part0013.html
text_part0014.html
text_part0015.html
text_part0016.html
text_part0017.html
text_part0018.html
text_part0019.html
text_part0020.html
text_part0021.html
text_part0022.html
text_part0023.html
text_part0024.html
text_part0025.html
text_part0026.html
text_part0027.html
text_part0028.html
text_part0029.html
text_part0030.html
text_part0031.html
text_part0032.html
text_part0033.html
text_part0034.html
text_part0035.html
text_part0036.html
text_part0037.html
text_part0038.html
text_part0039.html
text_part0040.html
text_part0041.html
text_part0042.html
text_part0043.html
text_part0044.html
text_part0045.html
text_part0046.html
text_part0047.html
text_part0048.html
text_part0049.html
text_part0050.html
text_part0051.html
text_part0052.html
text_part0053.html
text_part0054.html
text_part0055.html
text_part0056.html
text_part0057.html
text_part0058.html
text_part0059.html
text_part0060.html
text_part0061.html
text_part0062.html
text_part0063.html
text_part0064.html
text_part0065.html
text_part0066.html
text_part0067.html
text_part0068.html
text_part0069.html
text_part0070.html
text_part0071.html
text_part0072.html
text_part0073.html
text_part0074.html
text_part0075.html
text_part0076.html
text_part0077.html
text_part0078.html
text_part0079.html
text_part0080.html
text_part0081.html
text_part0082.html
text_part0083.html
text_part0084.html
text_part0085.html
text_part0086.html
text_part0087.html
text_part0088.html
text_part0089.html
text_part0090.html
text_part0091.html
text_part0092.html
text_part0093.html
text_part0094.html
text_part0095.html
text_part0096.html
text_part0097.html
text_part0098.html
text_part0099.html
text_part0100.html
text_part0101.html
text_part0102.html
text_part0103.html
text_part0104.html