La magia delle parole e delle immagini
Proprio dietro la grande sala al terzo piano, Yusuf scoprì una stanzetta che il fotografo Lababidi aveva destinato ad accogliere le foto di una delle porte della Sacra Moschea, Bab Salàm, la porta della Pace, che si apre sullo spiazzo dove vi è la più alta concentrazione di librai, e anche di cartolai e rilegatori, e di profumieri, eredi del famoso Lubati che aprì bottega qui nel quindicesimo secolo.
Una marea di libri intrisi degli intensi profumi che si sprigionano dalla Sacra Moschea e che impregnano l’aria fino al quartiere di Masaa.
Scolpita su una parete della stanzetta, Yusuf lesse la seguente frase: «Questo è il mercato dove gli amanti dei libri credono che siano le parole a trasmettere alle essenze la loro fragranza, mentre gli amanti dei profumi credono che siano le essenze a trasmettere alle parole la loro magia; ma in realtà a fluttuare nell’aria è l’anima umana.»
Yusuf trascorse notti intere a osservare quelle foto, spostandosi come un sonnambulo dalla casa di Sidra, dove un tempo venivano ospitati i cosiddetti cercatori della conoscenza (coloro che giungevano alla Mecca per apprendere), alle piccole librerie Fida, Baz e Mirza, penetrando, attraverso portoni sormontati da archi, nei locali interni in penombra che accoglievano i grandi uomini della Mecca con pile di manoscritti.
C’era anche la foto in bianco e nero di Fida ibn Adam Kashimiri, titolare delle librerie che portavano il suo nome, vissuto fino a cento anni. Sui suoi piedi c’era la polvere di Istanbul, dell’Egitto, dell’India e di tutti gli altri paesi in cui si era recato. Conosceva i titoli di tutti i volumi stampati in Egitto, anche nella più insignificante tipografia del più remoto vicolo del Cairo.
Una volta Yusuf era entrato in una di quelle librerie. Non aveva ancora finito di dire il primo titolo che gli era venuto in mente, che già Abd Samad, il proprietario, discendente del famoso Kashimiri, gli aveva lanciato un cuscino perché si mettesse comodo, mentre lui andava a cercare quel libro nei negozi vicini. I libri erano una passione, per lui, e non discuteva mai sul prezzo.
Davanti a quelle fotografie, a Yusuf sembrava di tornare indietro nel tempo, a quando, dopo la preghiera del tramonto, la libreria Fida si animava con le voci incantevoli dei famosi recitatori del Corano: Qarùt, Ba Haydara, Ashy, Mirdad e Arbaìn. Yusuf si sentì cullato da quelle voci celestiali. Si unì al pubblico che ascoltava in visibilio i famosi cantastorie Giawa, Bukhari e Abu Khashaba, che allietavano la notte con la magia delle loro voci. Passò davanti a tutte le librerie ritratte nelle foto, e ai copisti, i khattatin, che erano stati tutti, nessuno escluso, allievi di Muhammad Farisi e di Kutubi. Poi diede un’occhiata agli annunci appesi ai muri e alle insegne sbiadite sulle porte, mentre nella vicina libreria Baz si svolgevano animate gare di poesia che vedevano impegnati giovani talenti.
Yusuf si mosse con lo sguardo abbracciando il capannello di persone che circondava i cantastorie intenti a narrare le gesta epiche del celebre condottiero Abu Zayd Hilali. Davanti a Hubal, la principale divinità del pantheon della Mecca preislamica, si fermò. Dopo l’avvento dell’Islam, la sua statua era stata portata fuori dalla Kaaba ed era stata gettata, insieme a quelle degli altri idoli, davanti a Bab Salàm, la porta della Pace, perché la gente la calpestasse o ci si pulisse sopra le scarpe in segno di disprezzo prima di entrare nella moschea. Le foto di Lababidi erano state scattate da angolature strette per mostrare l’aspetto terrificante dell’idolo che giaceva lì a terra; in primo piano c’era il suo unico braccio d’oro, che in seguito sarebbe stato rubato e fuso per forgiare gioielli e monete. Dopodiché, una notte, mentre erano in corso i lavori di ampliamento della moschea, anche il resto della statua era sparito.
Su una parete della stanzetta, Yusuf lesse dei messaggi pubblicitari. Un vecchio annuncio recitava: «Abbàs Karàra alla Mecca, dentista economico, estrae i denti senza far provare dolore. Incapsula i denti in puro oro a prezzi convenienti.»
Rivivendo il suo passato in quelle foto, Yusuf capì quale rischio aveva fatto correre ad Azza, in un giorno ormai lontano, quando se l’era trascinata dietro nella libreria di Abd Razzàq Balìla. Aveva quindici anni, allora, e aveva costretto Azza ad accompagnarlo in quel negozio di non più di quattro metri quadri, pieno zeppo di libri.
Il proprietario, un uomo che incuteva soggezione, rispose al loro saluto senza alzare gli occhi dall’antico manoscritto che stava leggendo, Le meraviglie delle creature e le stranezze degli esseri di Qazwini. Quell’uomo sembrava appartenere a un’altra epoca. Gli scaffali alle sue spalle erano pieni di manoscritti simili, da Il libro del sogno veritiero di Ibn Sirin, a Il libro degli animali di al-Giahiz, a Il collare della colomba di Ibn Hazm. C’erano anche i manoscritti dei principali mistici musulmani: Gli stadi di al-Nafari, Le conquiste meccane di Ibn Arabi, e molti altri.
La sosta di Yusuf davanti ai libri dei mistici si prolungava, e Azza cominciò a dare segni di insofferenza, cercando di liberarsi dalla stretta della sua mano; allora la portò davanti agli scaffali dei fumetti. Lui se ne rimase buono buono finché il proprietario della libreria non si recò alla Grande Moschea per la preghiera del pomeriggio, e a quel punto convinse Azza a introdursi con lui nel retrobottega, dove erano nascoste le opere delle menti più geniali del pianeta. Lì dentro, la guidò in un viaggio di esplorazione dei testi più straordinari partoriti dagli uomini più straordinari, dalle opere degli esponenti della patristica a I miserabili di Hugo nella famosa traduzione realizzata dal poeta egiziano Hafiz Ibrahìm all’inizio del ventesimo secolo. Passarono in rivista Il capitale di Marx, la Critica della ragion pura e la Critica della ragion pratica di Kant e l’Enciclopedia delle scienze filosofiche di Hegel, il Don Chisciotte di Cervantes (un’opera rivoluzionaria che aveva modificato i destini dell’umanità). I libri che parlavano della guerra occupavano un intero scaffale: Per chi suona la campana di Hemingway, Guerra e pace di Tolstoj, Racconto di due città di Dickens, La madre di Gorkij. E poi tutti gli altri straordinari prodotti del pensiero umano: l’Iliade e l’Odissea di Omero (il profeta dei greci) nella traduzione del libanese Butrus al-Bustani realizzata nel diciannovesimo secolo, Il ramo d’oro di Frazer, Le mosche di Sartre e Il secondo sesso di Simone de Beauvoir, Faust di Goethe, La fattoria degli animali di Orwell, e poi antologie di Rimbaud, Mallarmé, Maupassant, Vico, Cechov, Turgenev, Dumas, Shakespeare, Faulkner, Poe, Huxley, Prévert, Balzac, Camus, Wilson.
Azza odiava l’odore delle pagine ammuffite che la faceva tossire, e minacciava di andarsene, ma Yusuf riusciva ogni volta a trattenerla distraendola con quegli sciocchi libri di fiabe per ragazze, in cui le protagoniste cercavano di lasciare il segno nel loro piccolo mondo limitato. Pollicina che è amata da una talpa, e Raperonzolo che cala i suoi lunghi capelli all’amato dall’alto della torre in cui è prigioniera perché lui vi si arrampichi, e Alice che piangendo allaga tutto il mondo sotterraneo, e la fata madrina che muta i topi in cavalli e gli stracci in pietre preziose e sete perché Cenerentola possa scappare dalla fuliggine della cucina paterna.
Nel silenzio della casa di Lababidi, Yusuf si era trasformato in un’anima solitaria, persa in una dimensione senza tempo, catturata da una visione delirante in cui il passato e il presente della Mecca si univano e si fondevano, su quelle pareti e nella sua mente. Non riusciva più a separare le scene viste dalla finestra da quelle immortalate nelle foto: formavano un tutt’uno, senza soluzione di continuità.
Yusuf era soggiogato da quelle foto come l’ispettore Nasser, che non riusciva più a smettere di leggere il suo diario, lo era dalle sue parole.
6 giugno 1995
Azza,
per me è stato sconvolgente – un autentico trauma – scoprire la tua passione per i fumetti, in particolare per l’episodio numero 135 di Batman, quello in cui l’uomo pipistrello incontra Catwoman. Ero mortalmente geloso dell’infatuazione che provavi per quella creatura. Adesso però mi rendo conto che le mosse fulminee di Batman sono state un modello per te, ti hanno aiutata a rendere più precisi e plastici i tratti di quei corpi in fuga che disegni ovunque.
Aisha è stata la mia indomabile rivale. Non sono mai riuscito a sconfiggerla! Ho ingaggiato un’estenuante guerra sotterranea con lei, anche se – ne sono sicuro! – lei non se n’è neanche accorta. Ero perseguitato dai suoi fratelli, che usava come messi, e che mi battevano sul tempo arrivando sempre prima di me e soffiandomi sotto il naso i libri che cercavo. Ovunque io frugassi, nelle librerie di Bab Salàm, trovavo quei ragazzi ignari a caccia di libri per conto della sorella: liste infinite di titoli che spesso io non avevo mai sentito, e che loro introducevano in casa di nascosto, celati negli zaini della scuola o nelle borse della spesa. Riuscivano sempre a farla franca e il padre, il severo insegnante di scuola che tuonava contro i libri che mettevano strane idee in testa alle persone, non si accorgeva di quelli che gli passavano sotto il naso.
Aisha era una divoratrice di libri!
Provavo un piacere maligno quando sentivo dire che la vista di Aisha si indeboliva sempre di più a furia di leggere di nascosto a letto (poteva farlo solo dopo che tutti in casa si erano addormentati), sotto le coperte, approfittando della luce dei lampioni in strada. L’ho sempre immaginata così, mentre leggeva nell’oscurità più totale della casa, che somigliava a una pentola a pressione.
Nel frattempo anch’io, sul mio terrazzo, sfruttavo la luce dei lampioni e divoravo un libro intero ogni notte! Ma, mentre lei si nascondeva da suo padre e da sua madre, io, orfano di padre, leggevo liberamente, perché mia madre Halìma era convinta che, se fossi stato occupato in quel modo, non mi sarei dedicato ai passatempi dei miei coetanei: fumare, sniffare colla, correre dietro alle donne.
La perdita più grave che subii per colpa di Aisha fu Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust. Non ho mai capito come sia riuscita a mettere le mani sull’unica copia in circolazione alla Mecca. So solo che ci riuscì!
Per sempre, la considererò come la mia unica rivale, per colpa di quel Tempo perduto che mi scavò un buco nel cuore dal quale il mio tempo iniziò a scorrere via disperdendosi.
Talvolta penso che, se fossi riuscito a procurarmene anch’io una copia, la mia vita sarebbe stata completamente diversa, senza tutte le delusioni che ho vissuto, e senza il tradimento che ho subito!
Lassù, sul terrazzo di casa Lababidi, Yusuf si rese pienamente conto dell’effetto distruttivo che Aisha aveva avuto sulla sua vita. Non era stata Azza a tradirlo, ma Aisha! Aisha che lui, nel suo diario, aveva ignorato. La odiava! Per la prima volta si rendeva conto di tutto ciò che lei gli aveva sottratto.
Per un momento Yusuf valutò l’idea di introdursi di nascosto nella casa deserta di Aisha, di andare dritto nella sua stanza rubata e di prendersi, approfittando della sua assenza, il Tempo perduto di Proust, ma il solo pensiero gli dava i brividi, e, comunque, era sicuro che Aisha fosse sufficientemente sfacciata e astuta da averlo portato con sé, ovunque fosse finita!
Yusuf ripensò a Batman, chiedendosi se non fosse stato proprio lui a rapire Azza. Chissà, forse ad Azza quello strano personaggio dei fumetti piaceva perché le ricordava lui, Yusuf! O perché era una creatura notturna che riusciva a superare ogni ostacolo nelle tenebre!
Solo adesso comprendeva perché da adolescente aveva sottolineato in rosso un’affermazione di Kant: investigando sul luogo e sul tempo, si arriva a concludere che sono infiniti e finiti insieme; investigando sulla materia, si arriva a concludere che è divisibile all’infinito, ma anche divisibile fino a un preciso limite; ugualmente, indagando sulla volontà si arriva a stabilire che è preordinata ma nello stesso tempo anche libera.
Yusuf invocò Azza dal terrazzo di casa Lababidi. «Tu sei l’incarnazione di tutte le contraddizioni: sei il finito e l’infinito. No, non perderò la speranza che tu riappaia, né smetterò di cercarti, fino alla morte... La tua morte vorrebbe dire anche la mia morte!»
Quanta nostalgia aveva del suo diario! Scriverlo aveva significato mantenere in vita Azza, ma quel tempo apparteneva ormai a un passato morto e sepolto, che non sarebbe più tornato.