Buon fallimento!

Una volta mi hai incantato con queste parole: «L’amore è condividere la normalità, vivere la quotidianità... non è né sortilegio né incantesimo!»

Di cosa mi lamento? Non è questo ciò che conta nella vita?

Tanto per rendere più intenso il dolore che provo, ascolto in continuazione l’opera El retablo de maese Pedro di Manuel de Falla. Mi regalasti il dvd dopo che ti avevo confidato che ero affascinata dal personaggio di Don Chisciotte; in quell’occasione mi dicesti che tu preferivi un’altra composizione di De Falla, Noches en los jardines de España, e mi dicesti anche che era stato Sancho Panza a inventare Don Chisciotte, passando poi il resto dei suoi anni a sovraccaricarlo con tutti i sogni proibiti che lui non aveva avuto il coraggio di realizzare e con tutte le avventure che lui avrebbe desiderato vivere. Aveva creato Don Chisciotte per farlo vivere al posto suo!

Io e Azza ci chiediamo: chi di noi due è Don Chisciotte e chi Sancho Panza?

Sarò sincera con te: non posso più continuare a vivere in una scatola, il mio computer!

P.S.

Se volete chiudere la vostra relazione, cominciate dalle gambe: il libro che ha vinto quest’anno il premio per il titolo più strano, istituito nel 1978 alla fiera del libro di Francoforte.

Per me, cominciare è lasciar andare Azza!

E tu? So che mi stai pian piano riportando sulla terra, e che ti senti in colpa per questo, ma ti prego, non farlo... non sentirti in colpa!

Dopotutto, guardando la tua ultima foto, dove hai il viso stanco e scavato che fa sembrare ancor più affilato il tuo naso, mi dico che io sono fatta di una pasta completamente diversa, appartengo a un altro mondo... un mondo di luce, se posso dirlo. Mentre tu sei un buco che nessuna passione e nessun dolore potranno colmare, tu continuerai a inghiottirci tutte, una dopo l’altra. Soltanto adesso, in questo istante, la verità mi è apparsa davanti agli occhi: io non ti amo più... anzi, a essere precisa non ti ho mai amato. Tu per me eri soltanto un palliativo e io ho costretto il mio corpo a illudersi sulla tua efficacia terapeutica. E adesso provo pietà di fronte alla tua calvizie e al tuo modo di muoverti.

La prima volta che mi hai spinta su un letto, mi sei caduto addosso goffo e ansimante come un orso, con il viso alterato da una smorfia, senza la minima consapevolezza della mia paura e del mio corpo, a cui tu avevi strappato ogni sensibilità o illusione d’amore. Ho resistito soltanto perché volevo raggiungere la fine del tunnel. Ho questa straordinaria capacità di non vedere, se così decido, anche se ho gli occhi spalancati.

In te c’è qualcosa di morto, non senti questo cattivo odore? C’è sempre qualcosa di smarrito nello sguardo di un uomo che ha perso la propria virilità.

In parole povere, tu sei una spina alla quale non arriva la corrente. Una sola volta ti sei caricato grazie a me, ma quel miracolo non si è più ripetuto (del resto, non possiamo aspettarci che i miracoli accadano tutti i giorni!). Quel giorno mi dicesti che ero una bomba sexy.

Ma sto parlando di te o di Ahmad? Tutto si confonde nella mia testa. I fili si attorcigliano, e non so più di chi sto parlando, né chi è chi!

Mi chiedo quanta distanza lasciare tra me e gli altri per evitare di incappare in un altro idolo da adorare solo per distogliere la mia attenzione dal dolore che provo!

Può un uomo impotente innamorarsi? E cos’è l’amore? È solo attrazione fisica? In questo caso, applicando la tua personale legge sull’esistenza, dovrei dire che sei finito!

Aisha

30 giugno 2006

Aisha, questa ladra di sceneggiature!

Perché le ho permesso di scrivere l’atto finale?

Mi ha chiamato! Passavo davanti a casa sua, quando vidi una mano che mi faceva segno dalla porta accostata. Un tuffo al cuore... no, non è vero che mi ha ricordato la mano di Azza!

Malgrado il risentimento mi avvicinai, incredulo, e da dietro la porta lei mi disse: «Vieni a prenderli! Le idee di questi libri devono continuare a vivere.»

Lo confesso, quella sua voce rauca, appena percettibile, che sentivo per la prima volta in vita mia, mi turbò! Era come se mi stesse dicendo: almeno tu, con questi libri, salvati da Aburrùs!

Avrei voluto ribattere, beffardo, che quando la nave affonda i topi sono i primi a scappare. Invece, entrai in quel corridoio in penombra. Trovai tanti scatoloni ad attendermi: l’odore di carta ammuffita e di idee antiche era asfissiante, eppure sentii l’impulso di stendermi e di inalarlo fino a morirne.

Alzai gli occhi per guardarla, anche solo di sfuggita, ma lei era già scomparsa, lasciando solo un’ombra violacea sul muro in cima alle scale: una donna senza volto. Non avrei mai conosciuto il suo aspetto!

Non aveva atteso di vedere se avrei seguito le sue istruzioni. Non ce n’era bisogno! Conosceva il mio punto debole.

Corsi in strada e fermai il primo furgoncino che passava, poi tornai indietro a prendere gli scatoloni, caricandomeli sulle spalle uno alla volta.

A chi potevo donare quei libri? Alla biblioteca dell’università di Umm al-Qura? Sarebbero stati molto cauti nel valutarli: avrebbero nominato una commissione e ne avrebbero giustiziati molti, perciò mi presi la libertà di regalarne la maggior parte alla biblioteca del club letterario della Mecca.

Ultima confessione. Quando Aburrùs, il Vicolo delle Teste, scomparve dietro di me, feci fermare il furgoncino, sulla tangenziale, e come un pazzo mi misi a frugare in quegli scatoloni. Ispezionai ogni singolo libro, ogni singola pagina, ma non trovai traccia della Ricerca del tempo perduto. Alla fine, in preda allo sconforto, crollai sugli scatoloni, mentre il furgoncino ripartiva. Aisha si prendeva gioco di me e di tutti noi, tenendo quel libro nella sua stanza, come un prigioniero.

Yusuf

Il Collare Della Colomba
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