Santìr

E-mail n. 9

Mio caro *,

Azza se n’è appena andata. Mi fa sempre sentire in colpa, perché lei mi racconta tutto della sua vita, mentre io non apro bocca sulla mia.

Ma sono atterrita, sento un peso sulle spalle... per quello che Azza mi ha rivelato oggi su Mushabbab. Lascia che ti scriva ciò che Azza mi ha confidato, usando le sue stesse parole.

«Io sono una bambina, sì, e voglio giocare.

«Cosa ti aspetti da una che è nata in una scatola di latta, e ha succhiato il latte della malinconia dal petto di sua madre? Mushabbab non è né un libertino né un mostro, è solo un bambino, proprio come me. Yusuf mi ha scritto e scritto di Mushabbab, finché lui, Mushabbab, come uno spiritello maligno, un ginn, ha spezzato il sigillo di quelle parole e si è materializzato nella mia stanza solitaria, catturandomi il cuore. Avvolto da una colonna di fumo, il ginn una notte mi ha strappata dalla mia stanza, inducendomi a correre, come una sonnambula, fino al suo giardino. Non ridere, le ragazze vengono rapite in tutte le meravigliose storie che ci raccontavano da piccole. Mi sai dire perché? Perché ad Aburrùs le ragazze nascono come se fossero chiuse dentro una scatola, e hanno bisogno della magia anche solo per comparire sulla soglia di casa a prendere una boccata d’aria?

«Varie volte ho rischiato di essere colta in flagrante mentre sgattaiolavo fino a casa di Mushabbab.

«Con il cuore in gola spingo la porta del suo giardino con entrambe le mani. Nell’attimo in cui entro, mi tolgo le scarpe e sento il terreno caldo sotto i piedi, un fiore si schiude dentro di me.

«Persino il mio odore cambia, lungo la mia schiena e tra i miei seni trasuda quell’odore di... non so come dire... so solo che mi rende più audace, più avida e più allegra... Ridendo, Mushabbab lo chiama il profumo della nascita. Dice: “Un feto probabilmente ha questo odore!” Oh, ma come fa lui a sapere di cosa odora un feto? Gli uomini, dopotutto, sono solo dei bambini... crudeli, sì, ma in modo infantile. Io sento quell’odore, che persiste per giorni, diventare oscuramente potente, impregnando tutta me stessa. Mi sento leggera, più leggera del polline. Se qualcuno osasse toccarmi, mi trasformerei in luce...

«Eccitata, giro intorno a me stessa, mentre Mushabbab ride. Aisha, tu non conoscerai mai la Azza che ho scoperto in quel giardino: ha braccia e gambe molto più lunghe e sinuose, risate più squillanti e occhi più grandi. La Azza che ha scoperchiato la scatola in cui era rinchiusa sa essere affascinante, sa usare parole e gesti provocanti, più audaci e più divertenti di quelli delle eroine dei tuoi libri, che mi mettono così in soggezione.

«Cercando, trovo sempre qualcosa di piccolo, un oggetto o un manoscritto o un libro... lì dentro mi sento libera. Una volta vidi un liuto Santìr, portato clandestinamente da Bassora, in Iraq. Ornato di conchiglie, con quelle corde che permettono di ricavare anche i suoni più gravi libera una musica che raggiunge distanze lontanissime. Un’altra volta trovai sparsi dappertutto antichi libri che Mushabbab stava sistemando sugli scaffali del suo diwàn, ma io so che quelli più belli e preziosi li tiene nascosti nello scantinato, e non li mostra a nessuno. L’abitudine di Mushabbab di nascondere i libri più pregiati mi fa impazzire. Lo prendo in giro, ma lui non se ne cura.

«Una notte, invece, notai un amuleto che aveva lasciato nello scatolone ai piedi della sua poltrona. Aspettai che andasse nello scantinato, e tirai fuori l’amuleto: era di puro argento, a forma di mezza luna, con delle losanghe. Somigliava all’unico gioiello di zia Halìma, che lei non ha mai indossato ma ha sempre tenuto appeso al suo letto... è così orgogliosa di quel gioiello donatole dal marito e forgiato da orafi ebrei yemeniti, che riproduce il segno sulle mani delle figlie di Salomone.

«Mi sono dimenticata dell’amuleto non appena io e Mushabbab ci siamo messi a danzare con i qabaqìb, i sandali di legno, così alti e divertenti... qabaqìb con madreperla e pietre preziose incastonate, o rivestiti di broccato indiano, fatti con legno di sandalo profumato, quelli che le donne della Mecca usavano un tempo nei bagni turchi e sui terrazzi. Lui ha arrotolato il tappeto perché potessimo danzare senza intralci intorno al diwàn: agire scioccamente è uno dei piaceri per cui sono nata. Abbiamo danzato finché l’alba non si è insinuata leggerissima tra le pieghe della notte. Solo allora mi sono resa conto di tutto il tempo che era passato e del fatto che potevo essere scoperta.

«Tutto ciò che giunge nel giardino di Mushabbab si trasforma in una specie di sogno! Tanti oggetti vanno e vengono in quel giardino, io non domando niente e, del resto, so che non otterrei risposta. Ho visto materassi stesi a terra con sopra persone che un secondo dopo erano sparite: non riesco neanche a immaginare cosa possa accadere in quel giardino nel cuore della notte, quali e quante persone accolga, persone che restano lì fino allo spuntare dell’alba in cerca di qualcosa che io non conosco. Una di queste mattine, mi mescolerò a quegli strani personaggi per vedere dove spariscono. Come per magia, quei volti appaiono e poi scompaiono, solo la mia faccia e quella di Mushabbab restano inchiodate lì: nessun incantesimo può farle sparire!

«Dovresti vederlo da fuori, quel giardino. Sembra circondato da un muro invalicabile ma, una volta dentro, quel muro si dissolve come se fosse un pezzo di infinito caduto dal cielo. Io lo sapevo che il mio gioco doveva interrompersi là dove cominciavano i sentieri erbosi: se avessi fatto solo un altro passo, il gioco avrebbe smesso di essere tale. Non avevo ancora il coraggio di percorrerli da sola, ma Mushabbab era sempre con me e mi conduceva con leggerezza... ci avventuravamo per pochi passi, poi tornavamo indietro, in tempo perché io potessi arrivare a casa prima dell’alba. Nel giardino c’era quell’odore di... non so, forse di sangue versato in un lontano passato... ma il grido di colui che lì era stato sgozzato non riuscivo proprio a captarlo.

«Stanotte sono arrivata inaspettatamente e ho trovato Mushabbab impegnato con un ospite, uno importante, lo si capiva da tutte le guardie del corpo che lo aspettavano all’inizio del vicolo. Sono stata svelta ma loro mi hanno vista lo stesso e si sono allarmati. Mushabbab sembrava contrariato, mi ha condotta in un punto appartato del giardino e ha accompagnato l’uomo alla porta. Mentre lo aspettavo, mi sono fatta coraggio e mi sono avviata verso il sentiero che conduce a nord, e che, un po’ più in là, termina con un groviglio di piante selvatiche rinsecchite, ma a un certo punto una mano mi ha fermata, una mano schiacciata su tutta la mia faccia. Io sapevo che era una mano anche se non la vedevo... comunque, non ho opposto resistenza. Sbirciando tra i rami, ho visto tre figure, bianche e nude, sedute in circolo, che confabulavano tra loro. Ho avvertito qualcosa di minacciosamente vivo in quel loro cerchio, e ho avuto paura di andare oltre, di rivelare la mia presenza. Ho gridato di spavento, quando le labbra di Mushabbab si sono posate sulla mia treccia.

«Forse penserai che esagero, ma io ho sentito quelle labbra bruciarmi i capelli, ho sentito l’odore di qualcosa che stava andando a fuoco. Mushabbab mi ha trascinata via e quando abbiamo raggiunto il diwàn mi ha fatta accomodare sulla sedia Luigi XIV – scelta tra una serie di altre sedie antiche – prima di dissipare i miei sospetti: “Ma che fervida immaginazione hai! Non erano persone, sono colonne sormontate da capitelli. Sono state rimosse dall’angolo hanafita della Sacra Moschea, quando fu distrutto, e dal pozzo di Zamzàm. Sono rimaste per molto tempo sotto il colonnato della Sacra Moschea, abbandonate, e un giorno sono sparite. Non se n’è più saputo niente, finché un mio amico influente non le ha portate qui.” Avvertendo il mio scetticismo, nel tentativo di togliermi ogni dubbio residuo ha proseguito: “Quella di mezzo è quasi intatta... si trovava vicino al pozzo di Zamzàm, sormontata da una lanterna che illuminava il cortile della Kaaba di notte. Quella colonna conserva la memoria viva dei volti di tutti i fedeli che ha visto nel corso della storia, e di una fede per noi impensabile.”

«Immaginando di toccare quei capitelli, io ho provato un brivido di piacere che non oso decifrare. Tu, Aisha, sei ricca di libri e delle idee degli scrittori, ma per me è diverso. Tutto il mio mondo è quella stanza stretta dove vivo da sola, mi manca il confronto con le piccole cose, capricci, risate... Quanto alle finestre, cerco di non pensare mai al fatto che la mia è bloccata, o al fatto che la mia presenza negli articoli di Yusuf è qualcosa di artificiale, una contraffazione. Sai di cosa avrei bisogno? Di lanciare una pietra. Sì, di lanciare una pietra all’uccello che si è posato a terra, per costringerlo a spiccare nuovamente il volo... e quell’uccello sono io!

«C’è qualcosa in me che ha bisogno di esplodere; ogni visita a Mushabbab accresce l’urgenza di questa esplosione. Sarò forse sciocca, ma bramo di sentire sulle mie labbra il sapore delle mammelle di una capra: è ciò che Yusuf sperimentò quando era un bimbo di tre anni e voleva ostinatamente farsi allattare dalla madre, che non riusciva a svezzarlo neanche mettendosi del peperoncino o dell’aloe (dal sapore così amaro!) sui capezzoli. Allora lei lo lasciò nel giardino di Mushabbab, perché si saziasse dalle mammelle delle capre, insieme ai loro piccoli. Come pensi che sia questo sapore di sangue, paglia e sterco mescolato con il latte?

«Mushabbab siede per terra, ai miei piedi, e canta poesie yemenite; tra noi si alza una cortina di silenzio. “Mushabbab, mi porteresti a un reality show?” Quando la mia pelle freme dal desiderio di essere toccata da lui, mi viene sempre voglia di provocarlo. “Tu, mia cara Azza, potresti concorrere per il titolo di miss Universo. Quando anche da noi si svolgerà la competizione, tu sarai la prima a vincere quello di miss Arabia Saudita, non avrai rivali. Tutto ciò che racchiudi in te, gelosamente, come un tesoro, verrà fuori.” “Mushabbab, per te ci sono solo tesori e chiavi per aprire nascondigli, a questo mondo.”

«Poi si alzava, mettendo da parte gli strumenti musicali, e si avvicinava a me per suonare le corde dei miei piedi... Non andava oltre il tallone, ma in ogni centimetro destava un intero corpo; ho scoperto i miei molti corpi sotto il tocco di quelle dita e di quelle labbra. Fremevo, quando lui ansimava mormorando: “Il tuo piede è il mio tesoro...” Mi sentivo in imbarazzo, ma cercavo di non ridere (perché non possiamo farlo quando un uomo ci sta venerando?) e di sentire quel che lui diceva in un soffio: “Gli uomini sognano di baciarti le labbra, ma la mia ossessione è questo piede... averlo così... sulle mie labbra... sulla mia faccia.”

«Tremo al pensiero che Dio potrebbe maledirmi perché ho provato una tale ebbrezza davanti a un uomo disperato. Quando scatta in piedi e mi osserva con quello sguardo smarrito, io mi spavento, ho paura di ciò che potrei fargli.»

Sin dalla notte precedente Nasser aveva fiutato nell’aria, nel Vicolo delle Teste, un cambiamento che lo metteva a disagio; avvertiva una presenza che non solo lo spiava, ma anche pensava al posto suo e lo manovrava, come con un telecomando, spingendolo a investigare su fatti e persone dimenticati perfino dal Vicolo delle Teste. Non erano solo il diario di Yusuf e le e-mail di Aisha. C’era qualcos’altro... Nasser si sentiva prigioniero di un puzzle, una tessera utilizzata da un giocatore invisibile per ricomporre l’immagine.

Non era Nasser, ma il giocatore invisibile che lo manovrava a distanza a scegliere le e-mail di Aisha: le leggeva ad alta voce, procurando a Nasser una sensazione di frustrazione. L’ispettore scrisse il nome di Mushabbab: per lui era colpevole, un nemico. Decise di dargli la caccia nelle e-mail di Aisha per cercare di capire se anche lei fosse stata soggiogata dal suo fascino.

Ciò che lo spaventava era la complicità tra quelle donne, alleate per spezzare la schiena agli uomini... Eppure desiderava provare ancora quella rabbiosa eccitazione!

Riprese a leggere.

P.S.

Sul mio corpo, mio caro *, tu mi hai mostrato un fiume, diviso in due rami: uno maschile, lo yang, e l’altro femminile, lo yin. Sei stato tu a dirmi che l’acqua è un nastro sul quale ogni mia esperienza, sin dall’infanzia, è registrata: gioie e dolori sono come massi che gli impediscono di scorrere... la tristezza poi crea dei veri e propri sbarramenti che ne ostruiscono il corso.

Tutto il mio corpo era allertato dai tuoi pizzichi: avevi cominciato dal basso, sulla schiena nuda... prima un rapido pizzicotto... poi uno più in alto, e uno alla base del collo... Sento lo spazio crescere dentro di me seguendo il tuo tocco... Non sarò altro che l’aria che fluisce dai miei piedi al mio cervello... Tu sospiri per incoraggiarmi. «Sì, oh sì... come un delfino... inspira ed espira... libera il delfino che è prigioniero nella tua spina dorsale.»

I miei sensi si risvegliano e colgono improvvisamente il tuo odore: è il primo odore che riempie le mie narici da anni. Io ruoterò come un delfino che nuota nel tuo profumo di pino.

Quanta astuzia da parte tua per far fluire il mio fiume, ti sollevi al livello dello yang trasformandomi in fuoco, poi ti abbassi al livello dello yin immergendomi di nuovo nell’acqua scura. Quale equilibrio posso raggiungere nelle tue mani!

Ora so cosa significa essere nata in autunno: il picco della femminilità!

Aisha

Il Collare Della Colomba
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