Lo Svuotafogne

Fu Muadh a passare di nascosto a Nasser le liste con i nomi dei candidati all’inferno e dei candidati al paradiso. Esaminandole, Nasser notò che l’unico del vicolo a non essere menzionato in nessuna delle due era Yàbis lo Svuotafogne.

Quando raggiunse il Vicolo delle Teste, furono i ragazzini a condurlo al palazzo della Lega degli Stati Arabi dove Yàbis si trovava in quel momento per spurgare il pozzo nero.

Giunto sul posto, gli apparve un uomo robusto, nudo fino alla cintola, avvolto in una futa dello stesso colore degli escrementi che asportava. Yàbis recuperò il lungo tubo e poi, prima che Nasser avesse il tempo di raggiungerlo, saltò dentro il pozzo, che aveva vuotato quasi del tutto con l’aspiratore. Nuvole di gas lo avvolsero. Nasser ebbe un momento di esitazione, ma i bambini, indicando il fondo del pozzo, dissero: «Eccolo lì, il nostro Pokémon.»

Nasser guardò dentro ma non vide niente, accecato dai gas che si sprigionavano dal pozzo. Facendo uno sforzo, nonostante gli occhi che gli lacrimavano, dopo un po’ intravide sul fondo Yàbis immerso fino alla vita, in mezzo a insetti di ogni tipo, senza alcuna protezione, né stivali, né guanti, né maschera: una creatura che sembrava provenire dalla melma che stava scavando, che un aiutante raccoglieva con dei secchi che un altro aiutante, fuori del pozzo, afferrava e ammonticchiava su un lato della strada. Da quei secchi puzzolenti usciva un esercito di scarafaggi spaventati che si disperdeva in ogni direzione.

Io, Aburrùs, il Vicolo delle Teste, guardavo sarcastico Nasser. Ero sicuro che se ne sarebbe andato via disgustato, come effettivamente fece, chiedendosi a cosa potevano servire le indagini che stava svolgendo nell’interesse di un vicolo che si rivoltava nei suoi stessi escrementi e si stordiva con i fumi dei loro gas. Nasser non se la sentì nemmeno di aspettare al caffè; quella nuvola puzzolente che gli annebbiava la vista lo faceva sentire intrappolato in una dimensione al di fuori di qualsiasi tempo razionale.

Tornò nel vicolo nel pomeriggio, dopo il lavoro, e andò a cercare Yàbis direttamente a casa sua. Si trovava in fondo al Vicolo delle Teste, aveva due sole finestre e il tetto di travi di legno. Nasser fu colpito dalla soglia a circa mezzo metro da terra. La porta, disadorna, era spalancata, un’improvvisa folata di vento polveroso agitò una tenda a motivi floreali. Il tessuto a fiori verdi su sfondo viola gli ricordò la tenda sulla finestra inchiodata di Azza. Dietro questa tenda, Nasser avvertì i movimenti della moglie di Yàbis. Bussò e aspettò.

Subito dentro si intravedeva il materasso arrotolato della madre di Yàbis, da poco defunta. Si sentiva ancora forte l’odore del vomito che aveva tormentato la donna malata nei suoi ultimi giorni di vita, anche se il figlio aveva usato delle erbe aromatiche per cercare di coprirlo. La tenda si scostò e apparve Yàbis, con indosso una futa nuova inamidata, color porpora, a quadratini. Nasser evitò di fissare il buco sulla spalla della t-shirt bianca usurata dal tempo. L’odore di sudore che la impregnava si mescolava al profumo di canfora, e Nasser pensò che dietro quella tenda doveva essere stato lavato da poco un cadavere. Yàbis lo salutò, poi gli fece strada fino all’imbocco del vicolo, dove teneva parcheggiata la sua autobotte. Nasser contemplò il tubo flessibile dell’aspiratore, ricoperto da uno strato di sporcizia secca e puzzolente, mentre Yàbis gli faceva segno di sedersi sull’uscio lì vicino. Senza preamboli, Nasser disse: «Aisha era sua nuora. Mi parli di lei.»

«Aisha era piena fin qua» disse Yàbis portandosi la mano alla fronte. «Molti dei nostri figli hanno imparato a leggere e a scrivere, ma solo per Aisha i libri erano la vita... Per lei erano la cosa più importante... Se parliamo delle donne in generale, sono come i pozzi neri, pronte a ricevere tutti i rifiuti degli uomini, ma non Aisha, che non avrebbe raccolto neanche quelli di mio figlio.»

La risposta di Yàbis non suonava minimamente offensiva, nella sua voce non vi era traccia né di rancore né di rimprovero.

«È talmente forte che non è morta nell’incidente in cui ha perso la vita tutta la sua famiglia.»

La speranza si riaccese nel cuore di Nasser, che avrebbe voluto aggiungere: ed è per questo che il corpo di donna ritrovato nel vicolo non può essere il suo!

Ma Yàbis riprese: «Ci crede se le dico che si addormentava sui libri? Aveva un mare di libri nascosti sotto il letto.»

L’uomo era seduto vicino all’ispettore; probabilmente non percepiva più il tanfo che lo circondava, ma quell’odore disgustoso faceva contorcere le viscere di Nasser.

«Sua moglie Kawthar si trovava vicino al cadavere...»

Yàbis sembrò avere sentore di qualcosa di marcio in quella frase, come un’accusa velata. «Mia moglie si occupa del lavaggio rituale dei morti, è normale che si trovasse lì. Le auguro, caro ispettore, di poter ricevere, quando sarà il momento, un lavaggio degno di lei. Mia moglie Kawthar è una lavacadaveri molto scrupolosa.»

L’espressione colpì Nasser che dovette fare uno sforzo per mantenersi serio e non scoppiare a ridere in faccia a Yàbis: una “lavacadaveri” e uno “svuotafogne”, questo sì che era un servizio completo. Nella testa di Nasser affiorò tutta una serie di altre espressioni assurde... ma, senza quei due mestieri, le città non sarebbero riuscite a sopravvivere: i vivi sarebbero stati sepolti dai loro stessi escrementi, sarebbero scoppiate malattie contagiose e pestilenze, nessuno si sarebbe occupato dei morti, e le città si sarebbero autodistrutte.

«Poveri figli di Adamo!» Lo sguardo di Yàbis era rivolto ai marciapiedi del vicolo pieni di persone, di negozi di generi alimentari e di beni di consumo. «Presto o tardi tutto questo è destinato a finire o su un tavolo come quello di mia moglie o nelle fogne.»

Yàbis fissò meglio al gancio il tubo, e poi, con un gesto istintivo, si pulì le mani sporche sulla futa nuova, lasciando una macchia sul fianco destro.

«Tutto questo è concime per la terra» disse indicando il proprio corpo.

Nasser avvertiva una qualche impercettibile deformità nel corpo di Yàbis, a dispetto della sua avvenenza; il ciuffo di capelli corvini sulla fronte sembrava una gobba che si inarcava e lo faceva somigliare agli angeli del tormento, Munkar e Nakìr, che attendono i morti nelle tombe per interrogarli e, eventualmente, infliggere loro tormenti fisici e spirituali che dureranno fino al giorno del giudizio.

Respinse quell’idea ridicola e si chiese cosa potesse indurre un uomo – nell’epoca della tecnologia e delle reti fognarie pubbliche – a svolgere un simile mestiere, per di più nella città più sacra dell’Islam.

Nasser era tutto sudato, mentre il caldo sembrava non avere alcun effetto su Yàbis, il quale, per andare incontro alla curiosità dell’ispettore, gli fornì dati precisi sugli edifici di cui ripuliva le fogne e sugli interventi che era solito effettuare mensilmente.

«Il pozzo del palazzo di Labbàn, conosciuto come il palazzo della Lega degli Stati Arabi, che lei mi ha visto spurgare questa mattina, costituisce la mia principale fonte di reddito. La merda di cui è pieno ha dato da mangiare ai miei figli. Di solito, lì facciamo un carico al giorno: se calcoliamo cento riyàl al giorno per tutti i giorni della settimana, raggiungiamo la somma di tremila riyàl al mese, solo che io applico ai miei clienti di quel palazzo uno sconto di duecento riyàl, sicché la loro merda costa duemilaottocento riyàl al mese. È una materia preziosa quella che entra ed esce dal corpo degli esseri umani!»

Nasser provò un certo imbarazzo al pensiero di tutta quella merda che Yàbis avrebbe voluto introdurre nel fascicolo delle indagini.

«Ho suggerito io di dotare il palazzo di una fogna indipendente. Lo sa anche lei, ispettore: Dio ci ha ordinato di nascondere la nostra sporcizia!» Guardando Nasser dritto negli occhi, Yàbis continuò: «Ma solo la rete pubblica potrebbe smaltire tutto ciò che si accumula nella fogna di quel palazzo. Lei lo sa, c’è anche la sarta turca del seminterrato... con tutti quei suoi visitatori... Troppa merda... troppa!»

Nasser non capì cosa intendesse Yàbis lo Svuotafogne con quel “lei lo sa”, tuttavia, seguendo la traiettoria del suo sguardo, si accorse che stava contemplando la Lega degli Stati Arabi, probabilmente rievocando la lite che era scoppiata tra i figli di Labbàn per la proprietà del palazzo. La disputa, mai risolta, si era riaccesa di recente.

Un bimbo steso sulla pancia li spiava da una finestra del seminterrato. Un delicato odore di olio di cocco, usato solitamente dalle ragazze per lucidare i capelli, raggiunse le narici di Nasser: oltre quelle finestre, nel seminterrato, le più belle ragazze del Vicolo delle Teste sedevano dietro le macchine per cucire e realizzavano i modelli disegnati dalla sarta turca.

Yàbis pensò che il suo corpo non era adatto a essere vestito, neanche il sudario sarebbe stato appropriato. Si sentiva a suo agio solo quando si trovava, mezzo nudo, dentro i pozzi neri; stando in piedi in quelle tenebre aveva l’impressione di muoversi nelle viscere degli abitanti del vicolo, di impadronirsi del segreto della composizione chimica dei più intimi desideri umani e della loro successiva putrefazione. Pensò anche che, adesso che sua madre era morta, la sua solitudine era completa.

«Io non posso aggiungere niente di nuovo alle sue indagini. Guardi i miei figli. Yusuf aveva perfettamente ragione quando mi ha ingiuriato nella moschea, nel suo accesso di follia. Lui ha visto tutti i miei figli maschi crescere e poi prendere il volo; prima Ahmad, poi Misfer, adottati da parenti che non potevano avere figli e che hanno assicurato loro una vita pulita, lontano dai pozzi da spurgare. Chi vorrebbe essere il figlio di uno svuotafogne come me?»

Yàbis si rese conto che forse stava divagando, parlando di cose che non avevano niente a che fare con le indagini, ma a Nasser si erano illuminati gli occhi quando aveva menzionato Ahmad. L’ispettore era in cerca di elementi che potessero spiegare che ruolo avesse avuto Ahmad. Parecchi testimoni giuravano di averlo visto nel vicolo la notte prima del ritrovamento del cadavere, sebbene ufficialmente lui si trovasse in Marocco, in compagnia di un personaggio famoso. Sarebbe stato facile accusarlo di omicidio. Nasser avrebbe voluto chiedere a Yàbis se sua moglie Kawthar avesse riconosciuto la nuora Aisha in quel cadavere di donna, ma ebbe paura della risposta. Disse invece: «Suo figlio Ahmad è quasi sempre all’estero. Ha lasciato Aisha circa due anni fa, dopo due mesi di matrimonio, e nel vicolo si dice che, nel poco tempo trascorso insieme, Ahmad la picchiasse. Questo fa di lui un indiziato... si può ipotizzare che lui sia l’assassino e che il corpo sia di Aisha.»

Yàbis reagì.

«Aisha è partita con Ahmad.» E subito ribadì: «Sì, sicuramente è partita con lui! Ahmad è venuto a trovarci prima della scoperta del cadavere. Io ero furibondo, l’ho rimproverato per aver lasciato Aisha, e lui mi ha promesso che sarebbe tornato con lei... Mio figlio è un uomo di parola... se dice una cosa, la fa.»

A rendere complicato il caso era quell’assenza, quel vuoto più inquietante della morte, l’impossibilità di attribuire un’identità alla vittima. O meglio, quella vittima di identità ne aveva fin troppe: di chi era quel corpo femminile con il viso sfigurato? Di Azza o di Aisha?

La sfida che Nasser aveva davanti a sé era quella di risalire al dna della vittima per poterle dare un nome. Sperava di dimostrare che quel corpo non apparteneva ad Azza, così da allontanare da lei il sospetto che si fosse suicidata. Ma più ancora sperava di poter dimostrare che Aisha non aveva niente a che fare con quell’ammasso informe che giaceva all’obitorio. Avrebbe dato chissà cosa perché la gente smettesse immediatamente di interessarsi a lei, alla donna che si era impadronita del suo cuore, raggiungendo un’intimità che lui non aveva mai sperimentato con nessun’altra donna, anzi, con nessun altro essere umano.

«E Azza, la figlia dello sheikh Muzàhim, ha idea di dove possa essere?»

Nasser notò lo sguardo che Yàbis rivolse in direzione della casa di Azza e del negozio di suo padre. Sul terrazzo di Halìma un colombo era impegnato in una danza d’amore e volava su e giù tra la grande colombaia di legno e la casa diroccata in fondo al vicolo. Yàbis, interrompendo le meditazioni di Nasser, disse ridendo: «Mi chiedono di spurgare il loro pozzo una volta, al massimo due all’anno.»

«Per via dell’avarizia dello sheikh Muzàhim?»

«Perché la quantità di rifiuti che producono è trascurabile: Azza, la figlia, non pensa ad altro che a disegnare; Halìma, la madre di Yusuf, trascorre quasi tutto il tempo versando tè e caffè ai matrimoni e ai funerali, e anche lei vive solo di tè alla menta, e delle carte di suo figlio. Quanto allo sheikh Muzàhim, ciò che esce dal suo corpo non rappresenta neanche un decimo di ciò che vi entra; vive mangiando datteri e bevendo caffè arabo. Detto in poche parole, in quella casa sono tutti frugali... non rientrano nella mia sfera di interesse.»

Nasser guardò Yàbis come fosse un essere fuori dal mondo, un parassita che approfittava degli eventi della vita per aumentare le sue entrate. Del resto, lui e la morte agivano allo stesso modo: anche Yàbis, come la morte, raschiava la crosta terrestre per prepararla a nuove nascite e a nuove morti, in un ciclo perenne.

Nasser chiese a Yàbis: «Non sarebbe curioso di conoscere l’identità della vittima?»

«No, e nemmeno di posare il mio sguardo su di lei» rispose. Poi, come se si sentisse in colpa, precisò: «Ci è vietato, no? Il corpo della donna è tabù... dobbiamo abbassare lo sguardo quando davanti a noi c’è una figura femminile.»

Una folata di vento caldo e polveroso li avvolse, e Yàbis agitò la mano come per scacciarlo. Esclamò: «Che c’è di strano se, con questo soffocante simùn, ad Aburrùs un bubbone improvvisamente si gonfia e poi scoppia?» Ma subito aggiunse: «Sono strani gli esseri umani!»

Nasser rimase in silenzio, voleva che Yàbis continuasse a parlare.

«Gli escrementi degli esseri umani aumentano durante le feste, e aumentano di conseguenza anche i miei guadagni. Non mi dispiace andare a spurgare un pozzo in quei giorni... sono rifiuti di gioia, quando non sono impregnati di avidità.»

L’ispettore Nasser non riusciva più a seguirlo, così riportò il discorso su Ahmad.

«Di suo figlio Ahmad si dice che sia ben introdotto in certi ambienti... ambienti prestigiosi, persone influenti.»

«Io le dico che non mi piacerebbe spurgare il pozzo della casa in cui abita Ahmad. Il suo cuore è pieno di mediazioni, accordi e affari, i suoi escrementi puzzano di cibi elaborati, di cui noi ad Aburrùs ignoriamo persino l’esistenza. Magari a lei non interessa, ma io ho una clientela scelta.»

«E se le chiedessimo di spurgare il pozzo nero della centrale?»

Yàbis rise.

«Non se la prenda a male, ma rifiuterei. Il vostro pozzo dev’essere incrostato di rifiuti atomici, chimici... armati.»

La risata di Nasser accrebbe l’autostima di Yàbis, che aggiunse: «Prenda, ad esempio, questa moda di frequentare i fast food. La puzza delle feci di chi mangia in quei posti, in particolare hamburger, non si può eliminare, nemmeno pulendo il pozzo nero mille volte al giorno!»

L’ispettore lo interruppe. «Chi poteva avere un movente per uccidere una donna nel vicolo? Secondo lei chi potrebbe essere l’assassino?»

«Lei, ispettore, sa cos’è la depressione? Noi, qui nel Vicolo delle Teste, ne abbiamo sentito parlare solo ultimamente. Tutto è partito dal palazzo della Lega degli Stati Arabi, la volta che Umm Saad portò Tays, il suo figlio adottivo, dallo psichiatra. Il medico disse che il ragazzo era depresso perché non era nessuno, non aveva la cittadinanza, e gli prescrisse dei farmaci. Un mese dopo, quando spurgammo il loro pozzo nero, avvertimmo un odore particolarmente acre. Gli antidepressivi conferiscono ai rifiuti solidi umani un’elevata acidità, che fa morire gli insetti e lascia noi svuotafogne con le mani tremanti, la vista annebbiata e la bocca secca.»

Nasser si interrogò sulla sanità mentale di Yàbis. Lo Svuotafogne prima lo fissò, poi sbottò: «Lei, signor ispettore, sembra una persona illuminata. Sa, dopo la sparizione di Yusuf, noi del Vicolo delle Teste abbiamo perso l’unico che ci ascoltava. Yusuf era la persona più istruita di Aburrùs, una bella testa, capiva la nostra lingua e parlava in nostra vece, nella sua rubrica sul giornale, è per questo che lo hanno creduto pazzo, mentre invece lui era il nostro specchio... quando noi abbiamo perso la ragione, lui è stato l’unico a essere ricoverato all’ospedale psichiatrico e a essere sottoposto all’elettroshock al posto nostro. Scariche elettriche direttamente nel cervello.»

Yàbis sembrava un fiume in piena. Nasser sperava che continuasse a parlare, gli interessava quel che diceva a proposito di Yusuf.

«Yusuf è come me: entrambi scaviamo ad Aburrùs. E, in qualche caso, viscere e teste ospitano lo stesso genere di cose, solo che Yusuf le pubblica sul giornale, chiamandole “storia umana”. Cosa sono gli escrementi se non tutto ciò che un tempo ci ha fatto venire l’acquolina in bocca? Saremmo stati disposti a spendere qualsiasi cifra, pur di averlo, per poi infilarlo in bocca, rimpinzarcene, ed espellerlo attraverso gli orifizi, da sopra e da sotto.»

Il figlio più piccolo di Yàbis si avvicinò e si aggrappò al ginocchio del padre, lasciando un po’ di saliva sulla stoffa già macchiata della futa. I grandi occhi rapaci del bambino si posarono sull’uniforme e sulle mostrine di Nasser, che si sentì sollevato quando quel corpicino – con una t-shirt strappata e pantaloni da ginnastica arancioni – si allontanò saltellando nel vicolo, evitando per un pelo una motocicletta Mitsubishi carica di canne da zucchero diretta al chiosco dove se ne poteva acquistare il succo. In uno spazio piccolissimo il venditore aveva stipato un frullatore e un tavolo sul quale erano disposti dei bicchieri a cui dava, dopo ogni bevuta, una risciacquatina in un secchio sistemato ai suoi piedi.

La Mitsubishi superò il bambino, inseguita da una miriade di ragazzini che, non appena il motociclista rallentò, sgraffignarono alcune canne da zucchero e scapparono. Per un attimo, il figlio di Yàbis esitò, incerto se accodarsi ai ragazzini oppure piombare sull’ala di pollo lasciata su un tavolo del caffè da un cliente. Poi si decise. Il cameriere, che stava pulendo il tavolo, vedendo il bambino con la manina tesa prese gli avanzi di pollo e glieli lanciò. Lui corse a cercarsi un angolino dove divorare il suo bottino, seguito dallo sguardo amorevole del padre.

Yàbis riprese: «Sa, a volte dubito dell’utilità di un mestiere come il mio, in questa nostra epoca.»

«Per via della rete fognaria pubblica?»

Yàbis ci pensò su, poi annuì. «Sì, per quello!»

Davanti a quei lineamenti incredibilmente impassibili, Nasser tenne per sé il commento che gli era venuto in mente: in paradiso non c’è bisogno di vuotare le fogne, lì il concetto di rifiuto non esiste, in quella dimensione niente può essere consumato o digerito e quindi niente si decompone, non vi è deperimento... solo luce.

Il Collare Della Colomba
titlepage.xhtml
text_part0000.html
text_part0001.html
text_part0002.html
text_part0003_split_000.html
text_part0003_split_001.html
text_part0004.html
text_part0005.html
text_part0006.html
text_part0007.html
text_part0008.html
text_part0009.html
text_part0010.html
text_part0011.html
text_part0012.html
text_part0013.html
text_part0014.html
text_part0015.html
text_part0016.html
text_part0017.html
text_part0018.html
text_part0019.html
text_part0020.html
text_part0021.html
text_part0022.html
text_part0023.html
text_part0024.html
text_part0025.html
text_part0026.html
text_part0027.html
text_part0028.html
text_part0029.html
text_part0030.html
text_part0031.html
text_part0032.html
text_part0033.html
text_part0034.html
text_part0035.html
text_part0036.html
text_part0037.html
text_part0038.html
text_part0039.html
text_part0040.html
text_part0041.html
text_part0042.html
text_part0043.html
text_part0044.html
text_part0045.html
text_part0046.html
text_part0047.html
text_part0048.html
text_part0049.html
text_part0050.html
text_part0051.html
text_part0052.html
text_part0053.html
text_part0054.html
text_part0055.html
text_part0056.html
text_part0057.html
text_part0058.html
text_part0059.html
text_part0060.html
text_part0061.html
text_part0062.html
text_part0063.html
text_part0064.html
text_part0065.html
text_part0066.html
text_part0067.html
text_part0068.html
text_part0069.html
text_part0070.html
text_part0071.html
text_part0072.html
text_part0073.html
text_part0074.html
text_part0075.html
text_part0076.html
text_part0077.html
text_part0078.html
text_part0079.html
text_part0080.html
text_part0081.html
text_part0082.html
text_part0083.html
text_part0084.html
text_part0085.html
text_part0086.html
text_part0087.html
text_part0088.html
text_part0089.html
text_part0090.html
text_part0091.html
text_part0092.html
text_part0093.html
text_part0094.html
text_part0095.html
text_part0096.html
text_part0097.html
text_part0098.html
text_part0099.html
text_part0100.html
text_part0101.html
text_part0102.html
text_part0103.html
text_part0104.html