58

 

Era quasi l’imbrunire e Nancy non aveva percorso neppure due chilometri – davvero troppo poco – quando temette di essere spacciata. Davanti a lei sulla strada, a circa cinquecento metri, c’erano delle luci. Avevano messo dei posti di blocco persino in quelle vie secondarie. Il suo primo pensiero fu di nascondere la bici, trovare un riparo lontano dalla strada e aspettare. Poi sentì abbaiare alle sue spalle, smise di pedalare e si voltò a guardare. Le luci delle torce rimbalzavano sui campi come fuochi fatui e, per quanto poté vedere, su entrambi i lati della strada... e c’erano anche i cani.

Le serviva aiuto e nessuno poteva dargliene. A un centinaio di metri dalla strada intravide una fattoria. Nella luce del crepuscolo riuscì a vedere soltanto una finestra illuminata. Era ora di farsi dei nuovi amici.

La donna le gettò un’occhiata e cercò di chiuderle la porta in faccia, ma Nancy vi si appoggiò contro con il peso del corpo, spinse un piede all’interno e quando rimase schiacciato tra lo stipite e la porta gemette dal male.

«Oh, mi dispiace davvero!» disse la donna.

Nancy batté le palpebre e la guardò bene. In realtà era una ragazza, poco più che ventenne. I capelli puliti e raccolti in uno chignon, e il vestito da casa di cotone, benché sbiadito, era ben stirato.

La graziosa moglie ideale dell’agricoltore francese.

«Per favore, lasciami entrare» disse Nancy. «Per la Francia, lasciami entrare.»

Poi vide il crocefisso al collo della donna e toccò quello che le aveva dato Tardi.

«Cristo.»

Aveva la carnagione chiara e niente trucco. Nancy percepì la sua paura e il dubbio, poi vide che stringeva la mascella: aveva deciso.

«Puoi nasconderti in cantina.» Le aprì la porta.

Nancy entrò: una cucina, una scala. La giovane aprì una botola sotto la scala: lei si ritrovò a scendere una scaletta a pioli che la portò nel buio fitto. Sentì sotto i piedi la terra battuta. C’era odore di mele e paglia. Dalle assicelle della botola sopra la sua testa filtrava un filo di luce. Letteralmente sopra la sua testa. Era una cantina molto bassa, senza lo spazio sufficiente per stare in piedi. Strisciò nell’angolo sotto la scala, si tolse la cinghia intorno alla vita e quando le spalle si liberarono del peso della radio provò sollievo e bruciore. Cadendo sprofondò di circa cinque centimetri nella terra, poi sentì l’eco lontana di colpi battuti alla porta della piccola fattoria. Avvicinò le ginocchia al petto. Di sopra la luce tremolò, mentre la giovane andava di nuovo ad aprire. Nancy aspettò, trattenendo il respiro.

«Buona sera.»

«Buona sera, signora. Cerchiamo una donna. Una donna molto pericolosa.» L’accento era tedesco. Un ufficiale della Gestapo. «Uno dei miei uomini l’ha vista avvicinarsi alla fattoria pochi istanti fa.»

La donna parlò con voce calma. «Ero io, immagino. Ho fatto un salto fuori a controllare che le galline fossero al riparo per la notte. Ci sono tante volpi, sa.»

Nancy notò che stava enfatizzando il suo accento.

«Comunque sia, signora... spero che non le dispiaccia se facciamo una breve perquisizione.»

«Non ho niente da nascondere.» La voce rivelava la giusta nota di irritazione trattenuta.

Gli stivali entrarono in cucina, seguiti dai colpetti degli zoccoli della donna.

«Che cosa c’è qui sotto?»

«Viveri. Quando ne abbiamo.»

L’uomo era proprio sopra Nancy.

«Apra, se non le dispiace, signora.»

Nancy smise di respirare. La botola si sollevò e la luce traditrice illuminò il quadrato di terra ai piedi della scala.

«Darò solo un’occhiata. Si sposti, per favore.»

Il raggio di una torcia cominciò a esplorare gli angoli più lontani da Nancy, un paio di cassette, alcuni sacchi di tela semivuoti.

Le scale che salivano al piano superiore cigolarono e la torcia uscì subito dalla cantina.

«Chi è stato?» chiese il tedesco con voce allarmata. Nancy sentì schioccare il cuoio della fondina mentre lui estraeva la pistola.

«Maman?» La voce di una bambina. «Che cosa succede? Chi è quell’uomo?»

La madre rispose in tono rassicurante. «Va tutto bene, tesoro, torna a letto.» Poi continuò, rinnovando nella voce un tremolio di indignazione. «Sarà meglio che se ne vada, ha spaventato mia figlia.»

Il tedesco non rispose.

«Non penserà certo che la mia bambina di quattro anni sia una donna pericolosa?»

Un colpo di tosse, poi il rumore della pistola rimessa nella fondina.

«No, signora. La prego comunque di contattarci se dovesse vedere o sentire qualcosa di sospetto.»

«Naturalmente.»

I passi si avviarono verso l’uscita e mentre la porta veniva aperta e richiusa di nuovo, Nancy prese un respiro profondo. Le tornò in mente una frase. Le anime gemelle non sono così rare come credevo un tempo. Sorrise. Ricordò il fremito di speranza che aveva provato leggendo quelle parole sotto il portico della casa di sua madre, fra le lame di luce di un sole agli antipodi.

Di sopra la donna parlò in tono colloquiale.

«Spero che tu non sia morta di paura, là sotto. Forse dovresti aspettare un po’ prima di uscire, si sa mai che tornino. Intanto preparo qualcosa da mangiare. A proposito, mi chiamo Celeste.»

Che bel nome, pensò Nancy, poi cadde in un sonno agitato.

 

 

Nancy non si rese nemmeno conto di essersi addormentata fino a quando fu svegliata dal cigolio della botola che si apriva. Prese la radio – quel maledetto apparecchio pesava una tonnellata – e si arrampicò, le gambe rattrappite e tremanti, sbucando nella cucina.

La tavola era apparecchiata per due. Con grande cautela si sedette e osservò Celeste che serviva lo stufato in due scodelle di ceramica bianca e, dopo essersi seduta, tagliava a fette una pagnotta fresca. Le venne l’acquolina in bocca.

«Comincia pure.»

Nancy non se lo fece dire due volte. Era tutto delizioso, pollo e intingolo, carote e cipolline, il pane leggero e delicato. Pura gioia. Una dannata, totale beatitudine.

«Così saresti una donna molto pericolosa?» chiese Celeste cominciando a mangiare con calma. «Non importa, meglio che non lo sappia. Spero soltanto che ricambi il bene che ricevi.»

Nancy annuì, continuando a masticare, poi deglutì con soddisfazione. «Dov’è tuo marito?»

«Sono vedova» rispose Celeste. «Mio marito Guy è stato ucciso durante l’invasione.»

«Mi dispiace.»

Celeste non parlò subito, e il tintinnio dei cucchiai contro i piatti di ceramica fu l’unico rumore avvertibile.

«Me la cavo, però è difficile mandare avanti la fattoria. Si fa perché si deve. Per i figli.»

Le assi delle scale cigolarono, e Nancy si voltò di scatto, chiedendosi se, per un terribile momento, tutta quella scena, il benvenuto, il cibo, fossero soltanto uno scherzo crudele della Gestapo che era ancora nella casa. Invece era la bambina che aveva disturbato la perquisizione. Una bambina esile, con i lunghi capelli neri che le arrivavano quasi alla vita. Portava una camicia da notte azzurra e faceva dondolare un orsacchiotto tenendolo per una zampa. «Maman

«Tornatene subito a letto, Maria!»

La piccola fece il broncio. «Ma ho fame, e non ho sonno.»

Celeste alzò la mano. «Hai già mangiato. Forza. A letto. Subito.»

Maria lanciò l’orsacchiotto che finì in fondo alla scala, poi la risalì picchiando i piedi con rabbia.

Una porta sbatté sopra di loro.

Celeste andò a raccogliere il peluche, lo spolverò e lo sistemò sulla sedia a dondolo vicina al fuoco. Nancy immaginò la bambina che all’alba scendeva furtivamente le scale con aria colpevole per cercarlo e il suo sollievo alla scoperta che non aveva passato la notte in un posto scomodo.

«Una donna molto pericolosa» disse con un sorriso.

Celeste tornò a sedersi e impugnò il cucchiaio. «Lo spero. Spero che non perda la grinta. È così difficile crescerla da sola. Dice che sono una tiranna, ma cerco soltanto di sopravvivere.»

Nancy ebbe una visione di sua madre, un’immagine familiare, che si girava dalla credenza – mentre lei, tornata a casa da scuola, sbatteva la porta e lasciava cadere il cappotto a terra – e cominciava a inveirle contro. Per la prima volta, notò che la credenza sembrava vuota, e i vestiti della madre erano logori e scoloriti.

Si sentì stringere la gola. «Sei una brava mamma.»

Celeste annuì, accettando il complimento come dovuto. «Hai finito? Dammi il vestito che te lo lavo mentre ti dai una ripulita e ti prendi cura delle ferite. Dormi un po’ mentre si asciugano, poi ti rimetti in viaggio.»

Liberazione
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