32

 

Nella fuga l’autobus era rimasto danneggiato. Procedeva emettendo rumori di ogni tipo, e all’inizio della prima salita si fermò del tutto. Lo spinsero oltre il ciglio della strada e tagliarono un po’ di arbusti per nasconderlo, quindi ripartirono a piedi. Il temporale era passato, e gli altri li aspettavano come genitori preoccupati sotto i ripari fatti con i teloni impermeabili.

«Siamo tornati, bastardi!» gridò Fournier. «Tutti quanti!»

I compagni esultarono. L’eccitazione del capo scacciò l’umidità e la paura. Denden abbracciò Nancy fin quasi a soffocarla. Ci furono strette di mano, pacche sulla schiena, pugni scherzosi sulle braccia degli spagnoli e anche qualche ricciolo scompigliato. Sembravano felici. Fournier tirò fuori da un suo nascondiglio privato una cassa di vino e sotto i teloni gocciolanti al limitare del bosco raccontò più volte il raid ai ragazzi che lo ascoltavano con gli occhi spalancati.

Anche Nancy beveva il vino e guardava Fournier, la sua gioia e il suo entusiasmo. Era un narratore molto brillante.

«La vedevo, ragazzi. Ma c’erano troppi alberi, troppo movimento e non potevo farci niente.» Mimò se stesso che scrutava nel buio asciugandosi la pioggia dagli occhi. «Sono lì che penso, cazzo, me la fanno fuori proprio adesso che cominciava a starmi simpatica, quel crucco di merda la soffoca.» Pausa per una risata. «Poi bummm, il generatore salta proprio dietro di lei. Il crucco rimane lì come un ebete e lei... zac. Colpisce, come un cobra. Cazzo, una botta sul collo così, con la mano di piatto. Spacciato!» I ragazzi esultarono. «Ha ammazzato quella merda grande e grossa con un colpo solo. Tra un po’ la testa gli si stacca e rotola per terra... boing... boing... boing...»

Altre risate. Fournier tese le braccia, sempre stringendo la bottiglia in una mano, e guardò da destra a sinistra. Quanto tutti erano protesi verso di lui, disse a bassa voce: «Credevo che questo fosse brutto». Aveva indicato la cicatrice sulla guancia, poi, dopo la pausa a effetto di un comico navigato, con voce roboante concluse la battuta: «E invece era la sua versione di un bacetto!»

Vociarono e risero senza freni, mentre qualcuno si voltava a guardare lei.

Fournier alzò la bottiglia nella sua direzione per brindare.

«Quindi fate i compiti, ragazzi! Brindo al capitano Wake!»

Tutti alzarono nel brindisi tazze e gavette, e lei rispose alzando la bottiglia semivuota.

«Ehi, Denden. Riusciamo a sentire ’Ici Londres’ un po’ meglio, adesso?»

«Direi proprio di sì!»

Lui accese l’apparecchio e non si udirono interferenze. Stavano trasmettendo il nuovo inno dei maquis. Metà dei ragazzi si alzarono, e prendendosi sottobraccio si misero a ballare. In realtà non si capiva bene se fosse una danza o una lotta. Probabilmente non lo sapevano nemmeno loro.

Nancy li osservò, poi abbandonò il riparo del telone e andò a cercare un po’ di pace fra gli alberi. Il temporale aveva lasciato l’aria fresca e profumata, e alla luce della luna crescente si osservò le mani.

«Era la prima volta che uccidevi un uomo, vero?» Era stato Tardivat, che come lei si era allontanato dal chiasso, a parlare.

Inutile mentirgli. Dopotutto lui l’aveva portata lì, aveva mentito a Gaspard per salvarle la vita e si era offerto volontario per la missione.

«Sì. Sai... quando vivevo a Marsiglia, ogni lunedì mio marito mi accompagnava a fare la manicure. Oggi non riconoscerebbe le mie mani.»

Tardi soffiò una nuvola di fumo verso la luna.

«Hai avuto paura?»

Prima di rispondergli, Nancy si prese tempo per riflettere. «No. Nemmeno quando ho pensato che sarei morta. Ero contenta... perché stavo combattendo. È successo tutto molto in fretta. Ce l’avevo con me perché avevo perso il coltello, perché davanti alla sentinella avevo esitato. Ma non avevo paura. Ero eccitata.» Sì, eccitata era la parola giusta. Accidenti. «Per me era una situazione eccitante. Ti sembra normale?»

Un’altra di quelle indecifrabili scrollate di spalle. «Siamo in guerra. Non c’è niente di normale. La normalità ti farebbe ammazzare. La normalità trasformerebbe ognuno di noi in un collaborazionista. La normalità non serve a nessuno.» Prese un lungo respiro, come se volesse riprendersi. «Il tuo piano era buono. Mettere le cariche sugli ancoraggi per attirare i tedeschi fuori, e poi l’ultima, per far cadere la torre sulla strada. Un ottimo piano. Dobbiamo esserti tutti grati, se tutto ciò ti eccita.»

Nancy avrebbe voluto protestare. Sì, programmare e portare a termine la missione era stato... fantastico, senza dubbio, ma uccidere... voleva dirgli che uccidere un uomo non le era piaciuto per niente. Era felice di essere sopravvissuta, e c’era stato anche un moto di eccitazione, ma che persona è quella che prova piacere a uccidere? Una persona che andrebbe cancellata dalla faccia della terra. Le girava la testa.

«Nancyyy!» Denden sbucò dall’oscurità con in mano una bottiglia e Tardivat si lasciò inghiottire dal bosco prima che lei avesse il tempo di ribattere. «Nancyyy!!!»

Si fece avanti. «Sono qui, scemo. Ti avrà sentito tutto l’esercito del Reich.»

Denden si avvicinò incespicando e ridacchiando.

«Tesoro, vittoria su tutti i fronti.» Le passò un braccio intorno alla vita. «Hai voglia di fare qualcosa di assurdo?»

Doveva fidarsi di lui, ma sul promontorio a ovest della base, con una corda legata agli avambracci e l’altra a un castagno che cresceva a circa sei metri dall’orlo del precipizio, l’idea, più che assurda, sembrava folle.

«Vuoi che ci affacciamo sull’abisso?» chiese lei.

Denden armeggiava con la fune che lo tratteneva. «Tesoro, ti giuro su quanto ho di più sacro che lo vuoi anche tu, solo che non lo sai ancora.»

Soddisfatto del nodo, Denden la prese per mano e la condusse sull’orlo del precipizio. La fune che la legava all’albero non era ancora tesa. Lui doveva aver visto la sua espressione anche se la luna era troppo nuova per illuminare il cielo.

«Nancy Wake, ho preparato le funi per mille numeri al trapezio e per mille funamboli, mentre tu ti scolavi champagne scadente in qualche bettola malfamata. Fidati, arretra fino a quando senti la roccia sotto le dita dei piedi, poi lasciati andare all’indietro. È meraviglioso.»

Diede la dimostrazione lasciandosi andare per primo, le mani sulla corda, la punta degli scarponi sull’orlo del dirupo.

Be’... perché no? Nancy si voltò, aprì le gambe e si protese all’indietro. E sentì la forza di gravità nella schiena, nella nuca, e la sensazione piacevole nelle braccia quando la corda si tese al massimo pur continuando a trattenerla. Questa sì che era una sensazione pazzesca. Si abbandonò ancora un po’, inarcando la schiena, e poi rise, una sonora risata che saliva dalle piante dei piedi e liberava il corpo. Dietro di loro il vuoto dell’abisso li chiamava giù, e il vento le scompigliava i capelli. Che il vuoto si fottesse. Il capitano Nancy Wake dominava anche la forza di gravità.

«Guarda che io non l’ho mai bevuto lo champagne scadente» disse. «Comunque avevi ragione, avevo proprio bisogno di questo.»

Denden staccò una mano dalla fune e un piede dalla roccia, ondeggiando nel vuoto.

«È il numero più bello che mi hanno insegnato al circo. Quando soffrivo perché mi ero innamorato, cosa che succedeva praticamente ogni giorno, mi appendevo al trapezio. Senza rete. Rischiare di cadere mi faceva sentire di nuovo vivo.»

«È come urlare vaffanculo! a tutto l’universo, vero?» gridò Nancy e ascoltò l’eco che rimbombava nel vuoto sotto di loro.

«Esatto! Non starci male se uccidi uno di quei bastardi, Nancy. Anche se lo devi fare con le tue stesse mani. Usale! Usa quella sensazione di essere in bilico, lì lì per cadere. A me piace farmi un bel ragazzo, però la gente dice che non dovrei, come a te dice che dovresti restartene a casa perché sentire il sangue che corre forte nelle vene tocca solo agli uomini. Be’, si fottano tutti. Usa tutta la tua rabbia e non permettere a nessuno di farti vergognare per questo.»

«Grazie.» Denden l’aveva capita in pieno. Staccò una mano dalla fune e sentì lo strappo, ritrovò l’equilibrio e provò un’ondata di piacere. «Ma sai che mi ricordi un po’ il dottor Timmons, quando parli così?»

Denden emise un lungo ululato. «Brutta strega! Questo è il peggiore insulto della mia vita.»

La loro risata echeggiò a lungo nel silenzio.

Liberazione
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