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Juliette la fece uscire dalla porta di casa e la condusse in una via laterale. L’albergo requisito diventato il quartier generale della Gestapo si affacciava su una piazza trafficata vicino alla stazione ferroviaria, e ogni giorno gli abitanti di Montluçon potevano vedere gli ufficiali delle SS con le loro uniformi, i cappotti di pelle nera, accogliere le autorità locali per incontri e riunioni informative. La gente gettava un’occhiata e affrettava il passo. Prima della guerra taxi e auto private depositavano uomini d’affari e turisti davanti all’elegante colonnato, invece i bagagli e tutti i generi alimentari e la biancheria passavano dal cortile sul retro. Adesso la vera attività della Gestapo si svolgeva in quel cortile... i furgoni arrivavano a qualsiasi ora del giorno e della notte, le guardie spuntavano le liste mentre uomini, donne e bambini, ammutoliti dalla paura, venivano tirati giù come bestiame e spinti oltre le vecchie porte di servizio nelle celle ricavate nel seminterrato.
E in questo modo arrivavano anche piaceri molto graditi agli ufficiali... le merci di lusso sottratte a cantine, negozi e ville abbandonate, e soprattutto le donne. Di guardia all’entrata del cortile c’erano quattro soldati: due su pedane rialzate, da cui avevano la vista del cortile stesso e della strada, e gli altri due pronti ad alzare lo sbarramento e a controllare i nomi sulle loro liste.
La guardia la fissò a lungo, e Nancy, temendo di rivelare il suo odio, abbassò gli occhi. Sentiva scorrere nel sangue e nelle ossa una tale velenosa cattiveria che si sentiva capace di uccidere quell’uomo toccandolo con la punta di un dito.
«Non è la solita ragazza» disse la guardia. «Di solito il capitano Hesse le vuole un po’ più in carne.»
Nancy sentì gli occhi del tedesco strisciarle addosso.
«Sophie è malata» spiegò Juliette mostrandosi annoiata, quasi irritata. Un’attrice nata, pensò Nancy, ma forse le puttane dovevano sempre esserlo.
«Il capitano Hesse ha detto che questa gli può andare bene. Allora, vuole farlo aspettare?»
La guardia scrollò le spalle e prese nota nel suo registro.
«Gallina per la tavola del capitano» scrisse.
Juliette era già sparita nella notte. L’uomo tese la mano, schioccò le dita e Nancy gli passò la borsetta. Lui l’aprì. Rossetto. Profumo. Un paio di preservativi. Poi gliela restituì sbuffando e la condusse alla porta di servizio. Nancy non era la prima del SOE a venire da quelle parti. Pensò a quello che aveva saputo di Maurice Southgate, catturato poco prima che lei venisse paracadutata in Francia. Pensò ai due marconisti che negli stessi giorni erano scomparsi per sempre al di là di quelle porte, e chissà se erano ancora vivi in qualche campo di concentramento. Pensò a Henri e strinse i pugni, conficcando le unghie nei palmi.
Appena dentro vide un tabellone imbullonato alla parete. Lo osservò di traverso, giusto il tempo di distinguere una foto di Fournier e una sua, e la cifra ridicola offerta a chiunque potesse consegnarli proprio in quella sede. La guardia lo ignorò e producendo un rumore sordo con i suoi stivaloni l’accompagnò su per le strette scale di servizio e poi nella zona dell’edificio un tempo destinata agli ospiti dell’albergo e ora occupata dagli ufficiali tedeschi. La massiccia boiserie era interrotta da grandi specchi, e le luci brillavano sotto i paralumi istoriati. Nancy avanzò in mezzo a un numero infinito di sue immagini riflesse. Lei e la guardia diventarono una folla, i cui passi erano attutiti dai folti tappeti.
Il soldato le aprì una porta, e le fece cenno di entrare con un sogghigno. Cinque uomini alzarono lo sguardo dal tavolo. Böhm non c’era. Il suo istinto non si era sbagliato. Era un SS puro e non si sarebbe mai contaminato toccando una puttana francese. Questi, invece, la guardarono con una sorpresa carica di concupiscenza.
Nella stanza c’era già un’altra ragazza, una bionda seduta sulle ginocchia di un ufficiale che non dimostrava più di vent’anni, soffuso di rossore fino alla punta delle orecchie, mentre lei gli accarezzava la nuca e si dimenava, suscitando le risate dei più vecchi.
Il capitano più vicino a Nancy stese un braccio per cingerla alla vita e attirarla a sé, accarezzandole il seno con l’altra mano, poi le sollevò la gonna, infilandole un dito nel bordo della calza autoreggente. Non la guardò mai in faccia.
«Che bella sconosciuta, gentile da parte di Madame Juliette mandarci merce nuova.»
Nancy gli levò il berretto dalla testa e se lo mise, poi si chinò a baciarlo in cima alla testa quasi pelata.
«Nuova e forte, signore» gli sussurrò premendosi contro di lui. Le dita del tedesco deviarono verso le mutandine di cotone e gli altri ridacchiarono. «Qualcosa da bere?»
Lui le permise di spostarsi accanto al tavolo dove c’era una caraffa di vino rosso, circondata da una decina di bicchieri. Uno degli altri ufficiali si spazientì con il tedesco più giovane. Avvicinò la sedia e si mise a baciare la ragazza sul collo, palpandole il seno con le sue grosse dita, mentre lei ridacchiava, gemeva e si contorceva sulle ginocchia del ragazzo. Erano tutti paonazzi e sudati per la crescente eccitazione. Non riuscivano a distogliere lo sguardo dalla bionda.
Nancy versò il contenuto della boccetta di profumo nella caraffa e agitò il vino perché si mescolasse bene, quindi riempì i bicchieri e li distribuì sul tavolo di fronte a ogni ufficiale, andò poi a riprendere posto vicino al tipo dalle dita a salsiccia e alzò il suo bicchiere.
«Al Führer!» brindò. Persino nel loro stato attuale, il riflesso condizionato ebbe la meglio. Ognuno afferrò il bicchiere che aveva davanti e lo alzò, ripetendo il brindisi, sempre senza spostare lo sguardo dalla ragazza ansimante sulle ginocchia del giovane.
Nancy sentì il vino sfiorarle le labbra; resistette all’impulso di bere, di svuotare il bicchiere fino in fondo. Böhm era da qualche parte in quel palazzo, e la stava aspettando.
Grazie all’addestramento del SOE avvenne tutto molto in fretta. Il tipo dalle dita grassocce cominciò a boccheggiare e si portò la mano alla gola. Un altro si alzò e si avviò inciampando verso la porta, poi cadde sul tappeto rosso e blu steso sul parquet tirato a lucido, ed ebbe un attacco di convulsioni.
L’ufficiale di Nancy la guardò per la prima volta in faccia in preda allo shock e alla rabbia e infine con sua grande soddisfazione la riconobbe. Cercò a tentoni la pistola e Nancy non provò nemmeno a fermarlo, si limitò a togliergli dalla cintura il pugnale e gli tagliò la gola.
La bionda si precipitò in un angolo della stanza, troppo scioccata per urlare, e si coprì la faccia con le mani. Nancy slacciò la cintura del suo ufficiale, ora accasciato sul tavolo davanti a lei, e se la mise intorno alla vita, come un pistolero del Far West. Il giovane era già morto. L’ultimo tedesco ancora in vita riuscì ad alzare la pistola, ma vomitò e cadde di traverso sul pavimento prima di aver premuto il grilletto.
Nancy scavalcò il corpo scosso dalle convulsioni, scostò le tende alla finestra e con la luce alle spalle agitò la mano nel buio. Certo non era un segnale ingegnoso, ma del resto non era necessario che lo fosse.
Ora l’oscurità, il vuoto, la teneva in pugno. Erano di Nietzsche, vero, quelle parole crudeli? «Se guardi a lungo nell’abisso, l’abisso guarderà dentro di te». L’aveva sempre giudicata un po’ debole, una di quelle frasi a effetto che i giornalisti ubriachi si scambiano nei bar parigini quando si vantano di tutti i tipi pericolosi che hanno incontrato. Adesso però ne capiva il senso. Era diventata lei stessa abisso, dopo averlo assorbito dentro di sé quando aveva ucciso la spia di Böhm, e adesso l’abisso non si limitava a guardare quei tedeschi folli... stava per inghiottirli.