17

 

Il biglietto portò Nancy fino a un anonimo edificio sopra una malconcia concessionaria di automobili. C’erano molti citofoni come in un condominio, ma soltanto sull’ultimo pulsante una targhetta. «Prego suonare», diceva il metafisico invito.

Nancy suonò e attese pazientemente. L’aspettava forse un altro incontro come quello con le Forze della Francia Libera? Sentì il ronzio e spinse il portone. Una breve rampa di scalini bassi la condusse a un grande atrio. Era probabile che vent’anni prima quello fosse un elegante palazzo déco come ce n’erano altri nell’isolato, ma al momento sembrava un po’ malmesso. E molto silenzioso e tranquillo. Pareti rivestite di quercia chiara, e sulla porta dell’ascensore un cartello «Fuori uso». Nessun ufficiale impettito. Nancy non riuscì a decidere se considerarlo un buon segno.

Questa volta la donna dietro la scrivania era giovane e l’accolse con un sorriso così allegro da sembrare persino fuori luogo. Sfoggiava un rossetto di un rosso brillante.

«Vuole acquistare dei titoli di guerra, signora?»

Nancy le mostrò il biglietto da visita che aveva ricevuto da Garrow e immediatamente la ragazza premette un pulsante sulla scrivania.

«Bello, il suo rossetto» le disse Nancy. «In quanto alla ragione per cui mi trovo qui, ammetto di non averne la più pallida idea.»

«Questa è la condizione umana» disse una voce maschile alle sue spalle, e girandosi Nancy vide Garrow aprire una porta discretamente nascosta fra i pannelli di legno. Le tese la mano.

Nancy sollevò il mento. «Perdona se non ti stringo la mano, Garrow. Siccome ieri sera uno sconosciuto mi ha aggredita per strada, sono un po’ timorosa.»

«Bene» rispose lui invitandola ad entrare con un inchino appena accennato. «Allora oggi non ti sentiremo parlare della tua vagina.»

La giovane donna alla scrivania soffocò una risata sotto un colpo di tosse.

«Grazie, signorina Atkins» disse Garrow, e invitò Nancy a entrare nella stanza.

L’ufficio che le fece attraversare portava a un altro corridoio. Salirono una breve rampa di scale e lui bussò a una porta e senza attendere risposta la aprì e fece cenno a Nancy di entrare.

Era una stanza senza finestre, con i muri coperti di carte geografiche della Francia. Poco più grande della gabbia per conigli dove l’avevano ricevuta ai Carlton Gardens, l’ufficio conteneva un semplice tavolo a cavalletto e brutte sedie pieghevoli di metallo e tela. Dove diavolo erano sparite le belle sedie, allo scoppio della guerra? si chiese Nancy.

L’unica persona nella stanza era un uomo alto e magrissimo con i baffi; era seduto all’improvvisata scrivania con una tazza di tè. Sul carrello incuneato nel piccolo spazio fra il tavolo e il muro c’erano una teiera, una seconda tazza con il piattino e un piatto con dei biscotti poco invitanti. L’uomo leggeva un documento e si limitò a dare a Nancy un’occhiata distratta. Non la invitò a sedersi. L’aria puzzava di fumo stantio.

«Garrow, le ho detto che mi servono reclute, non un’alcolista malandata.»

Nancy batté le palpebre.

«Signore, la guerra ha fatto fuori tutte quelle messe meglio» replicò Garrow. Si avvicinò al carrello e riempì la tazza di tè. Ma come facevano gli inglesi a bere litri di quella roba?

«Non è nemmeno bella come nelle foto» continuò l’uomo dietro la scrivania, girando una pagina.

«Siete veramente spassosi» disse Nancy, e sorrise dolcemente.

«Magari la si potrebbe usare come segretaria» disse l’uomo alla scrivania. «È capace di stenografare?»

Girò un’altra pagina. Con un rumore stridente. E Nancy cominciò a irritarsi.

Tirò fuori dalla borsetta l’accendino e si avvicinò al tavolo, poi senza smettere di sorridere si chinò e avvicinò la fiamma ai fogli. L’uomo che li teneva in mano li fissò preoccupato per gli istanti sufficienti alla fiamma per prendere bene, e quindi li lanciò sul pavimento vicino ai piedi di Garrow, che calpestò i fogli in fiamme e, afferrata la teiera alle sue spalle, versò il tè sulle pagine fumanti. Le foglie di tè si rovesciarono sul pavimento con un suono piacevole.

Seguì un lungo silenzio, mentre i due uomini fissavano i resti delle pagine inzuppate e bruciacchiate. Nancy ripose l’accendino nella borsetta e la chiuse.

«Non ho mai visto una cosa simile» disse l’uomo dietro la scrivania. Si alzò e le tese la mano. «Signora Fiocca, le do il benevenuto al SOE, l’Esecutivo operazioni speciali. Sono il colonnello Buckmaster, responsabile della sezione francese.»

«Allora la Francia è perduta» disse lei. «E siccome al momento Henri è ospite della Gestapo, preferirei essere chiamata con il mio cognome da nubile. Wake.»

«Forse abbiamo offeso qualcuno, signore» disse Garrow, e nel suo tono sembrò a Nancy di cogliere una sfumatura divertita. «Nancy, siediti.»

Lei esitò, ma poi, pensando che in fondo non aveva niente da perdere, si sedette.

«Garrow mi dice che vuole combattere» disse Buckmaster tornando a sedersi. «È così?»

«Sì.»

«Bene.» Buckmaster tirò fuori dal taschino una pipa e cominciò a riempirla di tabacco. «Perché a differenza delle Forze della Francia Libera, noi potremmo offrirgliene l’occasione. Churchill vuole che ora incendiamo l’Europa, e vista la piccola dimostrazione che ci ha dato poco fa, direi che lei potrebbe contribuire all’impresa.»

Nancy non fiatò.

«Ho letto che ha vissuto in Francia dall’età di vent’anni...»

«Ero una giornalista delle testate di Hearst.»

Buckmaster liquidò l’argomento con un gesto della mano. «Sì, con uno stile mediocre, ma ovviamente ha avuto l’opportunità di viaggiare per il Paese. Poi ha usato i soldi di suo marito, Henri Fiocca, per finanziare le formazioni della Resistenza di Marsiglia e dintorni, e si è data il soprannome di ’Topo Bianco’.»

Il colonnello non sembrava scomporsi al fatto che il fascicolo che la riguardava fosse ridotto a un mucchietto di carta bruciacchiata e bagnata. Nancy ebbe la sensazione che avesse già imparato tutto a memoria su di lei prima del suo arrivo.

«Non l’ho inventato io, il soprannome, mi chiamavano così i nazisti...»

«Ha mai ucciso, signora Wake?» la interruppe Buckmaster.

«No, ma...»

«Deve imparare. In verità deve imparare molte cose. Secondo lei cosa significa rientrare in Francia a combattere? Andare a cantarne quattro ai tedeschi?» Sospirò, e il suo sorriso triste risultò molto irritante. «Se riesce a superare il corso di addestramento...»

«E non sarà facile» aggiunse Garrow.

«Tutt’altro che facile.» Quei due erano abituati a lavorare in coppia. «Se supera il corso la rimanderemo in Francia a lavorare con un nucleo della Resistenza. Per il breve periodo in cui riuscirà a sopravvivere dovrà sporcarsi le mani di sangue e vedere altri morire nelle maniere più atroci, senza poter fare niente per aiutarli. Mi dica, è proprio sicura che non preferisce fare la segretaria?»

Pensava veramente che lei potesse fare marcia indietro proprio adesso? Che si scoprisse fragile e delicata, e lasciasse gli uomini a lottare da soli? I nazisti le avevano distrutto la vita. Una vita che si era conquistata con fatica e che amava, come amava Henri e la Francia. Volevano che lasciasse tutto il lavoro agli altri mentre lei batteva a macchina?

Ripensò a quel ragazzino ucciso nel quartiere vecchio, ad Antoine che si metteva la canna della pistola in bocca.

«Sarei più utile in Francia.»

«Utile a chi, Nancy?» Buckmaster aveva abbandonato il tono cordiale e sembrava una furia. Picchiò forte il pugno sul tavolo facendo traballare la tazzina. Nancy rimase impassibile. «A me? All’Inghilterra? O a suo marito? Questa non è un’eroica missione di salvataggio, una favola a lieto fine. È una lotta crudele che molto probabilmente andrà a finire male.»

Cavoli. Certa gente ha la testa proprio dura.

«Non me lo deve spiegare lei, con il suo paternalismo odioso» rispose Nancy calma, sillabando accuratamente le parole. «Io ci sono già stata. Conosco la Francia, come conosco i francesi e i tedeschi. So cosa vuol dire guardare un uomo morire, asciugarsi il suo sangue sulla mano e andare avanti, e so anche che avete bisogno di agenti operativi più che di segretarie, quindi perché non la piantate con tutte queste storie e lasciate che faccia la mia parte anch’io?»

Lui la osservò per un lungo momento. Nancy pensò per la prima volta a quanti uomini e quante donne dovevano essere stati lì, a dire le stesse cose che stava dicendo lei. Buckmaster da qualche parte teneva il conto di quanti erano caduti, quanti sopravvissuti, quanti semplicemente scomparsi nel polverone sollevato dalla guerra?

«D’accordo, Nancy. Si consideri arruolata.» Prese un altro raccoglitore dalla pila sulla scrivania e ricominciò a leggere.

Garrow si alzò. «Vieni con me, Nancy. Cominciamo dai documenti.»

Tutto lì. Nancy lo seguì nel suo ufficio, accanto alla porta d’ingresso. Lui prese un altro di quei maledetti raccoglitori di cartoncino giallo e ne estrasse una decina di fogli dattiloscritti. Lei afferrò la penna e firmò dove le veniva indicato, senza leggere nemmeno una riga.

«Ufficialmente sei arruolata come infermiera. Ti faremo avere i documenti al tuo indirizzo di Piccadilly; tienti pronta a lasciare Londra entro la fine di questa settimana, quindi non organizzare vacanze.»

Dopo aver sistemato i fogli in un bel mucchietto ordinato, Garrow l’accompagnò fuori nel corridoio grigio. Chiudendo la porta fece un piccolo cenno alla Atkins. Lei non avrebbe saputo mai cosa le sarebbe piaciuto chiedergli, fra le mille domande che le si affollavano nella mente, con quale arguzia le sarebbe piaciuto congedarsi. La porta si richiuse con uno scatto, e una Nancy leggermente stordita e incerta si avviò verso le scale.

«Ehi!» Lei si voltò. Vera May Atkins le lanciò qualcosa e Nancy l’afferrò al volo. Un rossetto. «Si chiama V, come Vittoria, è di Elizabeth Arden. Benvenuta a bordo.»

Liberazione
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