20
Sentendo il rumore del catenaccio Henri alzò la testa lentamente. Il dolore non lo abbandonava mai. Da giorni lo frustavano e picchiavano per ore, e le ferite che non avevano il tempo di rimarginarsi davano vita a un unico desiderio, che durava da settimane: farla finita. Esausto, aveva perduto ogni speranza, e nel dolore lancinante si erano dissolti anche l’amore, la fede e l’istinto di conservazione.
A volte una frase di Böhm gli ricordava di essere stato, un tempo, Henri Fiocca, un uomo ricco e felice con una moglie bellissima e una splendida esistenza piena di agi. Era soltanto un sogno. La porta si spalancò. Henri si aspettava il torturatore con la faccia da ratto e gli occhiali – incredibile la capacità di quell’uomo di scatenare nuove ondate di dolore dal rottame che era diventato il suo corpo –, invece era Böhm.
«Monsieur Fiocca, ci sono visite» gli disse nel suo francese preciso ma dal forte accento tedesco.
Böhm gli aveva detto che prima della guerra aveva studiato psicologia a Cambridge, e durante gli interrogatori gli aveva parlato con entusiasmo della bellezza dei grandi edifici dell’università e delle grandi menti che aveva conosciuto. Böhm non si fermava mai nella stanza quando le frustate sulla schiena gli strappavano brandelli di pelle. Arrivava dopo, quando lo avevano riportato in cella.
Una visita? Il mondo fuori di lì esisteva ancora, dunque. Che strano. Pensò a Nancy. Se l’avevano catturata sarebbero stati così crudeli da metterli nella stessa cella? Sì. L’avrebbero torturata davanti a lui. Di sicuro gli studi in Inghilterra avevano insegnato a Böhm che lei lo avrebbe fatto crollare. Se aveva catturato Nancy, se glielo avesse provato, Henri gli avrebbe detto il nome di ogni militante della Resistenza, di ogni fuggiasco che aveva mangiato alla sua tavola, di ogni casa sicura per la quale aveva pagato personalmente in contanti dall’inizio dell’occupazione. Qualsiasi cosa, pur di risparmiarle un istante di quel dolore. Ovviamente non l’avrebbero lasciata andare. Ormai avevano capito che era il Topo Bianco, Böhm glielo aveva ripetuto in mille modi. Ma se l’avesse portata nella cella dicendo: «Raccontaci tutto quello che sai e le spareremo, senza torturarla, senza stuprarla...» Henri avrebbe accettato subito l’offerta.
Böhm portò dal corridoio due sedie pieghevoli di metallo e le avvicinò alla branda.
«Mi scuso, Monsieur Fiocca, avrei dovuto dire che ha due visitatori.» Si guardò alle spalle. «Monsieur, Madame...»
Uno scalpiccio di piedi e il padre e la sorella di Henri furono nella cella. Mentre gli si avvicinava tendendogli la mano libera, Gabrielle gemette e si coprì bocca e naso con il fazzoletto. Il padre si appoggiò allo stipite della porta, la bocca aperta, le spalle scosse da un tremito.
«Vi lascio soli» disse Böhm, e con un sorriso amichevole uscì richiudendo la porta.
Henri non era in grado di muoversi né di parlare.
La sorella cadde in ginocchio accanto alla branda. «Che cosa ti ha fatto?» gemette. «Oh Dio, abbi pietà di noi!»
Il vecchio padre crollò su una sedia. Henri osservò Gabrielle con l’unico occhio che vedeva ancora. Lei sollevò una mano e lo toccò per un attimo sulla spalla. Henri non sapeva se era nudo o vestito. Prima di picchiarlo lo denudavano sempre, e non sempre lo rivestivano. Da tempo per lui non faceva alcuna differenza.
«Digli quello che sai, Henri.» Era la voce di suo padre, una versione spezzata della voce di suo padre. «Il maggiore Böhm dice di aver catturato quasi tutti i membri della Resistenza della città. Vuole soltanto sapere di Nancy, dove potrebbe essere, quali sono, secondo te, i suoi piani.»
«E poi ti lasceranno andare!» squittì sua sorella. «Ci permetteranno di riportarti a casa, e di curarti. Sant’Iddio, Henri, non hai ancora sofferto abbastanza, per lei?»
Henri si passò la lingua sulle labbra. Finalmente aveva capito. Davano la colpa a Nancy. Per loro era colpa sua se lui si trovava in quella cella, massacrato di botte, le dita spezzate, le unghie strappate, il viso riconoscibile a stento. Pensavano che fosse colpa di Nancy. Come aveva fatto a uscire da una simile stirpe? Era stata la Gestapo a ridurlo così. La sete di potere di una massa di fanatici deliranti che erano riusciti ad avvelenare l’anima del loro Paese e adesso cercavano di avvelenare l’Europa. Con il terrore e le lusinghe, i nazisti tenevano la Francia, la sua amata, gloriosa Francia, sotto il loro giogo.
Non aveva la forza di spiegare. Doveva affidare quel compito ad altri uomini e altre donne, o a Dio.
«Lasciatemi in pace.»
Gabrielle si girò a guardare il padre, che aveva negli occhi un’espressione folle.
«Papà! Faglielo capire tu! Cosa importa adesso che quella puttana è scappata?»
«Henri, devi pensare alla tua famiglia» disse il padre.
Era scappata, dunque. Henri non ci aveva creduto fino in fondo, quando Böhm aveva detto che era sfuggita tra le maglie della loro rete. Aveva pensato che fosse un trucco per farlo parlare, per fargli confessare i suoi segreti. E Dio solo sapeva come gli avrebbe fatto piacere parlare di lei. Ma a Gabrielle non sarebbe mai venuto in mente di tendergli una trappola, non era brava a mentire. Nancy era libera.
Il dolore era ancora fortissimo, però in quel momento Henri provò una sensazione nuova. Forse una sensazione di pace. Non era mai stato particolarmente religioso, e Nancy non voleva nemmeno sentir nominare Dio, eppure ora lui percepiva qualcosa dietro e sotto il dolore, un luogo fresco e tranquillo che al momento opportuno lo avrebbe accolto. E forse quel momento era molto vicino.
«Tu non sei degna nemmeno di lucidare le scarpe di mia moglie» riuscì a dire. O almeno sperò di aver detto così, poiché gli era molto difficile pronunciare suoni intellegibili. «Adesso andatevene, tutti e due, lasciatemi in pace.»
Gabrielle scoppiò in lacrime, suo padre imprecò e implorò, ma per Henri loro due non significavano più niente. Li disprezzava e le loro parole risuonavano come borbottii senza senso.
Chiuse gli occhi, e quando li riaprì suo padre e sua sorella non c’erano più. Seduto su una sedia, Böhm lo fissava.
«Che delusione!» disse. Era proteso in avanti, i gomiti sulle ginocchia. «Mi riferisco ai suoi familiari. Mi ero augurato che riuscissero ad ammansirla. Gli ho raccomandato di ricordarle quale morbido letto l’attende a casa, e che Nancy stessa vorrebbe che mi dicesse tutto, che male può farle, a questo punto? In fondo è riuscita a sfuggirci.»
Henri batté le palpebre, desideroso di qualsiasi scampolo di notizia.
Böhm arricciò il naso. «Sì, si è messa in salvo a Londra. Ho saputo che è stata reclutata dal SOE, un gruppo inglese di sabotatori e criminali dilettanti. Ufficialmente lavorerà con il servizio sanitario, ma mi sembra proprio il tipo di donna che gli inglesi manderanno qui a lavorare al posto loro. Sporchi terroristi.» Si appoggiò allo schienale della sedia e accavallò le gambe. «Sta sorridendo, Monsieur Fiocca? Difficile a dirsi. Io al suo posto non me ne rallegrerei. Sa che cosa facciamo alle donne spie quando le prendiamo? Ci implorano tutte di ucciderle. L’ho visto succedere personalmente molte, moltissime volte.»
Böhm fissava il muro sopra la branda di Henri. «Durano al massimo qualche settimana, dietro le nostre linee, producono danni minimi, e quando le prendiamo riusciamo a fargli vomitare tutti i loro segreti. È questo che succederà alla sua Nancy.»
L’ultima frase era suonata troppo irosa, troppo velenosa. Per un istante la maschera si sgretolò e Henri ebbe modo di vedere l’uomo che si nascondeva dietro la facciata. Böhm odiava Nancy, la odiava per quel che faceva, per la donna che era, per ciò che rappresentava. Una donna che seguiva soltanto i propri ideali di giustizia.
Nancy.
Il colonnello si protese ancora verso di lui, nervoso e irritato.
«Cos’ha detto, Henri?»
«Ho detto» riuscì a rispondere Henri, articolando a fatica ogni parola, «che prima dovrete prenderla.»
Böhm si alzò di scatto e la sedia, cadendo, si chiuse. Henri lo trovò divertente.
L’altro si precipitò alla porta e chiamò: «Heller! Monsieur Fiocca è pronto per lei!»
Anche questo sembrò divertente, a Henri, che stava ancora ridendo, con tutti i denti rotti in mostra, quando Böhm uscì e due uomini lo sollevarono per trascinarlo lungo il corridoio. Alcuni degli altri prigionieri dovevano averlo sentito, perché alle sue spalle una voce roca intonò La Marsigliese, e un’altra voce si unì, e poi altre ancora.
Heller divenne paonazzo. «Silenzio! Fate tutti silenzio!»
Il canto invece proseguì, sgangherato come quello degli ubriachi all’ora in cui chiudono i bar, e altrettanto inarrestabile, e Henri continuò a ridere. Lo sentiva ancora, quel canto, quando lo gettarono nella stanza gialla. Sdraiato sul pavimento di piastrelle da cui i tedeschi avevano appena lavato via il sangue, rideva sullo sfondo delle voci dei suoi angeli straccioni.