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In tempo di pace Böhm avrebbe apprezzato un uomo come Fiocca. Era indubbiamente una persona raffinata e colta, con la quale avrebbe potuto conversare di molti temi attuali, cosa che non gli capitava spesso. Ma era tempo di guerra... il francese aveva retto bene la fase iniziale dell’interrogatorio, rispondendo a tutte le domande con calma, senza aggiungere informazioni superflue, e quando gli erano state chieste spiegazioni specifiche riguardo a operazioni fatte in particolari date, senza esitazioni aveva detto di non ricordare, ma se gli avessero messo a disposizione il suo archivio sarebbe stato senz’altro in grado di spiegare.
Era davvero un peccato che tutto quell’autocontrollo nelle ore successive non gli sarebbe stato di alcun aiuto.
Il carico di lavoro era pesante, per Böhm. Siccome il regime di Vichy si era rivelato debole e vacillante, terroristi, comunisti e ebrei avevano avuto la possibilità di organizzarsi in tutto il Sud della Francia. La popolazione, che dopo lo shock della disfatta militare era stata per lo più remissiva, diventava ogni giorno più irrequieta. Ora puntavano tutte le loro speranze sugli americani, e i ribelli sbucavano dal nulla come i parassiti dai campi quando mancano gli insetticidi. C’era un topo, in particolare, in azione.
Böhm non apprezzava il fatto che agli agenti nemici venissero attribuiti quei nom de guerre che finivano per suonare come titoli onorifici. Per lui il Topo Bianco era semplicemente l’Operativo A, e insisteva perché nel quartier generale ci si riferisse a lui solo in quel modo. Si era augurato di farlo uscire allo scoperto con i rastrellamenti del quartiere vecchio, invece le voci sulle sue attività si erano intensificate. Prigionieri e aviatori abbattuti sparivano grazie a una rete che forniva nascondigli e documenti falsi, e ricomparivano in Spagna e in Inghilterra, e persino in Nordafrica. I furgoni con le apparecchiature per captare i segnali radio che aveva mandato in perlustrazione rilevavano decine di collegamenti con Londra e Algeri, e pareva che quell’uomo riuscisse a trafugare qualsiasi cosa: documenti, messaggi, componenti radio e persino prigionieri, attraverso tutti i posti di blocco.
All’inizio aveva pensato che fosse un contadino o un pescatore che conosceva bene la costa e le strade secondarie dell’interno della regione. Ma forse si era sbagliato.
Aveva letto i rapporti sulla fuga in barca dei prigionieri che gli aveva consegnato Heller. Il terrorista ucciso era stato identificato come Antoine Colbert, avvocato, il cui studio paterno si occupava da generazioni delle più importanti famiglie della città. Per un attimo Böhm aveva sperato che per un colpo di fortuna avessero catturato il topo che cercavano. Però nei giorni immediatamente successivi alla morte di Antoine i suoi familiari si erano volatilizzati con efficienza, troppa, per essere opera di un’organizzazione alla quale avevano ammazzato il capo.
Il Topo Bianco era ancora in circolazione.
Il maggiore rilesse i rapporti, c’era tutto: il soldato con la vista buona che aveva notato dei movimenti fra gli scogli e insistito con il suo capo per accendere il riflettore, il numero sicuramente esagerato di prigionieri colpiti mentre cercavano di salire su una barca già troppo carica, prima che il riflettore venisse spento da un colpo di fucile, l’inseguimento affannoso fra scogliere e dirupi. Poi il soldato aveva visto – era un accenno nel racconto del ferimento di Colbert, che poi si era tolto la vita – due persone vicino al ferito, e alla fioca luce di una torcia gli era parso che una fosse una donna.
Una donna? Impossibile. Le donne non combattevano con gli uomini. Facevano le marconiste, ogni tanto qualche studentessa scriveva uno slogan su un muro, ma certo la Resistenza non poteva essere caduta così in basso da far impugnare le armi alle donne. Eppure, lui stesso a Parigi ne aveva interrogata qualcuna, e alcune di loro si erano rivelate entusiaste combattenti molto poco femminili. Si mise a riflettere. E se il Topo Bianco fosse una donna? Era pensabile che i francesi prendessero ordini da una femmina? Insolito, forse, ma non impossibile. La facilità con cui superava i posti di blocco, si muoveva nelle stazioni, sfuggiva alle imboscate non era così sorprendente se si pensa che i suoi inseguitori cercavano un uomo di giovane età.
Böhm si appoggiò allo schienale, congiunse la punta delle dita e rimase immobile con lo sguardo fisso fino a quando capì che cosa voleva. Alzò il pesante ricevitore del telefono interno.
«Capitano, venga da me, per cortesia.»
Heller arrivò subito. «Heil Hitler!»
«Capitano, gli incartamenti che abbiamo sulla popolazione civile di Marsiglia. Voglio che ripassi i dossier cercando tutte le donne sulle quali ci sia giunta qualche voce, anche la più insignificante. Cerchi in particolare tra quelle che hanno contatti con il mercato nero. Escluda le madri con bambini di età inferiore ai dieci anni e le ultracinquantenni. Voglio un rapporto su tutte ordinato in base alle disponibilità economiche di ognuna.»
Heller batté le palpebre dietro gli occhiali. «Certamente, maggiore. Posso chiederle la ragione?»
Böhm fu ben felice di illustrargli la sua teoria, e cogliendo il lampo di apprezzamento negli occhi del capitano se ne rallegrò.
«Come mai ci concentriamo sulle più facoltose?»
Domanda ragionevole.
«Perché chiunque sia, questa donna si muove con grande libertà e sicurezza. Abbiamo pensato che fosse la sicurezza delle classi basse, di un popolano senza istruzione, e di una libertà nata dalla familiarità con le topaie di questa città. Cos’altro, invece, capitano, potrebbe dare a una giovane donna sicurezza e libertà?»
«I soldi» non esitò a rispondere Heller.
Böhm fece un cenno affermativo. Poi disse: «Quei dossier, per cortesia».
«Certo» rispose Heller, che tuttavia non si muoveva.
«Cosa c’è?»
«Vado a prenderli subito. Però... penso... signor maggiore, che la signora Fiocca sarà in cima alla mia lista.»
Böhm aggrottò la fronte. Nancy Fiocca gli era sembrata il ritratto perfetto della moglie viziata. Teatrale, sicura di sé. «Mi dica cosa sa di lei» ordinò al suo sottoposto.
Heller rispose senza la minima esitazione. «Nata in Australia. È scappata di casa, e a Parigi ha lavorato come giornalista per Hearst Newspapers. Sappiamo che acquista al mercato nero molti prodotti di cui rifornisce anche gli amici...» Si interruppe brevemente, poi riprese: «Viaggia molto, ed è andata a trovare regolarmente un uomo detenuto a Mauzac, uno di quelli che è riuscito a fuggire».
Böhm aveva stretto le labbra fino a farle diventare una linea sottile.
Heller continuò, lo sguardo sempre fisso nel vuoto. «Si è fatta mandare cinquantamila franchi dal marito nella locanda dove alloggiava, vicino alla prigione. Naturalmente si è indagato per accertare che non fossero stati usati per corrompere qualche secondino, ma la signora ha risposto alla polizia che le erano serviti per pagare il conto del bar e ha protestato con le Poste per aver diffuso informazioni personali. Ha ottenuto una lettera ufficiale di scuse.»
Böhm non era abituato a provare ira, ma in quel momento una rabbia incandescente gli correva nelle vene. «Dov’è?»
«Le abbiamo messo una macchina alle calcagna, signore, quando è uscita di qui. Pare che sia andata direttamente a casa.»
Böhm digrignò i denti. «Vada a prenderla. La vada a prendere immediatamente.»
Heller fece il saluto militare e si ritirò. Böhm si alzò di scatto e si protese sulla scrivania.
Avrei dovuto capirlo, pensò. È arrivata qui con un atteggiamento arrogante e prepotente, poi davanti al marito è diventata infantile e sottomessa. Non l’aveva osservata abbastanza perché voleva tenere d’occhio Henri.
Una volta partito Philippe, Nancy si aspettò di crollare, invece resistette. Prese il bicchiere e camminò nella casa deserta, guardando ogni stanza per imprimersela nella memoria.
Nel salotto c’erano pochi mobili semplici e belli, e sul tavolino una pila di riviste di moda di prima della guerra che si era fatta mandare da Parigi. Per prenderla in giro Henri ci appoggiava sopra i piedi, quando sedevano sul divano al rientro da una nottata in qualche locale.
Lo studio di Henri era arredato in modo più antiquato. Lei lo chiamava la Tana dell’Orso. Le pareti erano rivestite di librerie, e sulla grande scrivania di quercia lui firmava i conti della sarta, mentre lei gli sorrideva dalla poltrona rossa vicino al caminetto. Sulla scrivania, accanto alla foto di Nancy c’era quella della madre di Henri. Madame Fiocca era morta un anno prima che loro due si incontrassero. Lui le aveva sempre detto che a sua madre sarebbe piaciuta. Gentile da parte sua, ma era meglio non mettere alla prova quella teoria. Smontò la cornice della suocera e dietro trovò i due documenti falsi. Infilò il suo in tasca e rimise l’altro a posto affinché Henri lo trovasse al momento del bisogno.
Prima di entrare nella loro camera, ebbe un attimo di esitazione. Il letto era ben fatto, i cosmetici ordinatamente sistemati sul ripiano della toeletta: lozioni e balsami, creme e colori, la spazzola d’argento e il piumino della cipria con l’impugnatura d’avorio. Gettò un’occhiata verso lo spogliatoio. Inutile entrare. Non poteva fare la valigia come Claudette; avrebbe portato con sé solo quel che poteva contenere la sua borsetta più capiente, ma abbastanza piccola da non destare sospetti. Indossò due camicette di seta una sopra l’altra ma non si arrischiò a fare lo stesso con due gonne, prese un foulard abbastanza ampio da poter diventare uno scialle, il cappotto cammello e tra tutte le sue scarpe ne scelse un paio eleganti ma adatte per camminare. Aveva bisogno di soldi, ovviamente, e prese anche un coltellino tascabile di madreperla, qualche gioiello, una crema idratante, un pettine e i suoi veri documenti. Infilò quelli falsi tra la fodera e il cuoio della borsetta. Cos’altro? Una foto del suo matrimonio? No, sarebbe risultata sospetta. Oppure uno di quei biglietti che Henri le lasciava quando usciva presto per andare al lavoro, per ricordarle di passare in tintoria, o dirle che aveva invitato a cena un uomo d’affari con cui stava trattando? Un biglietto del genere non sarebbe sembrato strano, e lei voleva conservare fino al loro incontro successivo qualcosa che lui aveva toccato. Ne trovò uno nel cassettino sotto lo specchio, firmato come sempre «Con tutto il mio amore, Henri».
Lo infilò nella borsa e poi tornò nell’atrio, appoggiandosi contro un muro non illuminato. Dalla porta a vetri piombati vide un’auto della Gestapo parcheggiata davanti a casa. Che piano aveva in mente Philippe? Adesso si stava facendo buio e l’ultima corriera per Tolosa sarebbe partita di lì a quaranta minuti. Sperò che Philippe agisse in fretta. Contò i respiri. Uno. Due. Era un trucco che le aveva insegnato una compagna di viaggio sulla nave che dall’Australia l’avrebbe portata a New York; Nancy aveva sedici anni ed era sola, e l’improvvisa libertà le dava un senso di panico. Ripensò a quelle prime settimane newyorkesi, alle prime amicizie, al primo appartamento e al primo impiego, alla prima volta che aveva assaggiato il gin di contrabbando. Ripensò alla decisione di diventare giornalista, presa quando sui gradini del tribunale aveva visto una donna ben vestita e sicura di sé rivolgere delle domande a un avvocato in abito scuro. Spicciati, Philippe. Aveva già una mano sulla maniglia. Doveva scappare fuori? Rischiare? Non aveva nessuna possibilità di farcela.
Dapprima intravide un filo di fumo, e batté più volte le palpebre per accertarsi che ci fosse davvero, poi dalla casa dove al pianterreno c’era una pescheria arrivò una deflagrazione, e una massa di fumo denso e nero uscì dalle finestre del primo piano. Madame Bissot arrivò di corsa e battendo sul cofano dell’auto tedesca indicò il negozio. I due tedeschi scesero. Uno la seguì, l’altro rimase accanto alla portiera dal lato del passeggero a osservare le fiamme che salivano in cielo. Nancy uscì di corsa di casa e si avviò lungo il sentiero che conduceva al cancello senza distogliere gli occhi dalla schiena del soldato tedesco. Aveva il cuore in gola. Ecco, aveva oltrepassato il cancello. Come lo aveva trovato al suo arrivo? Aperto o chiuso? Pensaci, Nancy. Era passato pochissimo tempo. Aperto. Henri la sgridava sempre perché non lo chiudeva con il catenaccio, ed era stata l’ultima a entrare. O forse lo aveva chiuso Claudette? No, Claudette era scappata dal retro. Nancy lo lasciò accostato, si voltò verso il negozio, temendo che il tedesco si girasse e vedendola si lanciasse all’inseguimento. No, non l’aveva vista. Stava ancora guardando l’incendio. Si avviò più in fretta che poteva lungo la strada verso est. Ogni passo le risuonava dentro come un colpo di pistola, e le sembrava di avere una torcia puntata sulla schiena. Ma quanto era lunga quella strada? Si concesse di accelerare il passo e infine si mise a correre perché non riusciva più a trattenersi; girò a destra, poi a sinistra, e si fermò a sbirciare se qualcuno la stava seguendo. Il suono di un motore le fece trattenere il respiro.
Niente, era soltanto una piccola jeep che passava sulla strada principale.
Quando arrivò davanti alla villa, Heller capì immediatamente che qualcosa non andava. La pescheria era andata a fuoco, e benché uno degli uomini mandati da lui a tenere d’occhio i movimenti di Madame fosse rimasto a controllare a vista la porta d’ingresso di casa Fiocca, l’altro stava aiutando a soffocare le ultime braci.
Heller ignorò il suo volonteroso soldato e andò a bussare al finestrino dell’auto. Il sottoposto impallidì e abbassò il vetro.
«Allora, Kaufman?» chiese Heller.
«Nessun movimento nella casa» rispose il soldato in tono diligente. Poi indicò un angolo dall’altra parte della strada. «Bauer controlla il cancello sul retro e non ha visto passare nessuno. C’è qualche problema, signore?»
«L’incendio... quando è scoppiato?»
«Una mezzoretta fa. Una bella fiammata. Abbiamo pensato che saltasse per aria tutto.»
«E mentre tu ammiravi l’incendio, chi teneva d’occhio la casa?»
Kaufman rimase in silenzio e spalancò gli occhi. «Io sono... sceso dalla macchina soltanto un minuto, per vedere. Meno di un minuto.»
Heller chiuse gli occhi. «E non ti è parso strano che mentre la casa di fronte bruciava né la signora Fiocca né la sua cameriera siano uscite a vedere cosa stava succedendo?»
Kaufman batté le palpebre.
Heller sentì un buco nello stomaco. Si avviò verso la villa, gridando: «Vieni con me, Kaufman! E porta un piede di porco!»
Nancy Fiocca se n’era andata. Ne era sicuro.