19
Non poté che uscire da lì a testa alta, ma per il resto della mattina si sentì svuotata. Dovette riprendersi quando un istruttore al quale credeva di non essere antipatica la strigliò perché aveva sbagliato a identificare il grado di un ufficiale di carri armati. Peggio ancora, l’istruttore colse l’occasione per illustrare a tutti quali e quanti errori simili potevano costare la vita a loro e ai compagni. Nancy strinse i denti mentre lui la martellava sul fatto che da lei si aspettava di più, che tutti si aspettavano di più, e chissà quali morti lente e dolorose sarebbero toccate a lei e a quelli con cui lavorava se avesse commesso un’altra volta un simile errore.
Nella sala mensa cenò da sola. Marshall le recapitò un rozzo disegno che raffigurava un uomo con un berretto da ufficiale della Gestapo e una freccia che lo indicava. In stampatello c’era scritto «NAZISTA CATTIVO!» Quant’era meschino e coglione, quell’inglese. Nancy appallottolò il foglio e glielo tirò, e quelli della sua piccola cricca ridacchiarono. I bisbigli, le risate, le lunghe occhiate. Moriva dalla voglia di cavargli gli occhi gialli da serpente. Tornò a dedicarsi al suo pasto, ma il torsolo di una mela la colpì in testa e finì nel sugo freddo della carne – di chissà quale animale, visto che i pasti erano una inqualificabile sbobba. Si voltò appena in tempo per vedere Marshall e l’allegra brigata lasciare la sala mensa. L’uomo alto e un po’ più vecchio degli altri che era seduto sulla panca dietro di lei la guardò e scrollò le spalle.
«Lanciano le mele perché sono arrabbiati con Eva.» Le tese la mano e lei gliela strinse. «Denis Rake, ma gli amici mi chiamano Denden.»
Niente sarcasmo, niente risatine, niente occhiate maliziose che la squadravano dalla testa ai piedi. Bene.
«Bevi qualcosa, Denden?»
Nancy si era stupita della facilità con cui si potevano far entrare gli alcolici al centro addestramento. Le ci erano volute tre settimane in Scozia per rendersi conto che gli istruttori li lasciavano bere per sapere chi di loro mostrava una propensione a parlare sotto l’influsso dell’alcol. A lei andava benissimo.
Portò Denden nel suo dormitorio e tirò fuori la bottiglia di ottimo cognac che il barista del Café Royale le aveva venduto prima della partenza per il Nord. Denden si guardò intorno nella camerata vuota.
«Almeno tu hai un po’ di privacy. Immagino abbiano pensato che i ragazzi non sarebbero riusciti a controllarsi.»
«Lo penso anch’io» disse lei, e andò in bagno a riempire d’acqua un bicchiere. «L’ufficiale responsabile degli alloggi è arrossito fino alle orecchie quando gli ho detto che volevo dormire con gli altri, e ha borbottato che non si poteva per via delle docce comuni.»
«Però di me non si è preoccupato!» disse Denden alzando gli occhi al cielo. Nancy lo guardò leggermente corrucciata. Era un bell’uomo, magro e muscoloso, come del resto tutti gli altri dopo sei settimane di marce forzate, corse nelle Highlands e esercitazioni militari. Lui ricambiò l’occhiata incuriosito. «Sì, sono omosessuale al cento per cento. È per questo che tu e io non piacciamo ai ragazzi, perché a entrambi piace il cazzo. Oppure tu preferisci le parti femminili?»
A Parigi Nancy aveva conosciuto molti omosessuali, trovandoli in genere una piacevole compagnia. E gli omosessuali erano l’unica categoria umana che sua madre odiasse più di quanto odiava lei.
«Soltanto le mie. Vieni, andiamo a cercare un angolino più bello dove berci il nostro cognac.» Sulla porta si fermò e si girò di nuovo a guardarlo. «Senti... ma come fai a essere così...? Voglio dire, io non posso nascondere di essere una donna... tu, invece, potresti fingere.»
«Sì, potrei, ma se non mi sentissi libero di essere quel che sono vorrebbe dire che questi crucchi mi hanno già schiacciato sotto il loro stivale. E poi guarda che dietro tutta la loro sbandierata virilità, metà di quei nazisti vestiti di cuoio non hanno gusti molto diversi dai miei.»
Nancy rise, e si accorse che le succedeva per la prima volta da quand’era arrivata. Una risata vera, non una di quelle risate finte fatte tanto per non sembrare diversa dagli altri. Fu una bella sensazione.
Si avviarono, e dopo qualche dubbio e un paio di svolte sbagliate, arrivarono alla sbarra del percorso militare. Ci montarono sopra, avvinghiando le gambe intorno alla rete di sicurezza, e si misero a bere con impegno.
Denden era un bravissimo imitatore, e rifece il tono aggressivo dell’esperto di combattimento a mani nude, con i suoi mantra ossessivi; l’accento nasale e decisamente cockney dell’esperto di sabotaggio che disprezzava tutto e tutti, e quello un po’ ansioso, con le vocali allungate, del guardacaccia reale di Sandringham che insegnava a catturare conigli e selvaggina varia.
«Non so cosa ne penserebbe re Giorgio» disse imitando così bene voce e mimica che Nancy rischiò di cadere dalla sbarra per le risate.
«Dovresti fare teatro, Denden!»
«Ah, l’ho fatto» rispose lui e bevve a canna dalla bottiglia – non si erano preoccupati di prendere i bicchieri – «in un circo, a essere precisi. Ero equilibrista e clown.»
«Non ci credo.»
Denden liberò le gambe dalla rete e con un agile movimento si mise in perfetto equilibrio su un piede solo, tenendo la bottiglia nella mano sinistra. A quel punto alzò le braccia sopra la testa e fece una piroetta da fermo, poi restò immobile proteso in avanti e con una gamba tesa dietro, le braccia aperte. Nancy non credette ai suoi occhi. Poi Denden lanciò la bottiglia per aria facendola roteare. A lei sfuggì un grido, ma prima che potesse rendersi conto di quello che stava succedendo vide che lui era di nuovo seduto, e che aveva afferrato la bottiglia al volo senza versare neppure un goccio di cognac.
Nancy lo acclamò e lo applaudì. Poi, mentre lui accennava a un inchino, gli prese la bottiglia.
«Come sei finito in un circo?» chiese, e bevve un lungo sorso.
«Mia madre non mi voleva fra i piedi» rispose lui fissando il buio. «Sapeva che ero diverso da quando avevo quattro anni, e così quando il circo è passato per la nostra cittadina, mi ha consegnato all’impresario dicendogli: «È uno scherzo della natura, starà meglio con voi».
Nancy bevve un altro po’ di cognac.
«E meno male che l’ha fatto» continuò Denden. «Al circo mi trattavano bene. Mi hanno insegnato i trucchi, ma anche a leggere e a scrivere. La chiromante mi ha dato lezioni di storia e i trapezisti mi hanno insegnato il francese e lo spagnolo. Andavamo spesso a esibirci in Francia. Ci ho passato metà dei miei inverni fin da quando avevo otto anni.»
Nancy sentì correrle nelle vene una bolla di gelosia. Denden le strappò la bottiglia dalle mani.
«Non so se il francese mi servirà a qualcosa» disse, restituendogliela. «Non so se questi qui mi permetteranno di tornare.»
«Perché non dovrebbero?»
«Perché detesto le armi e mi rifiuto di usarle. Non è indispensabile perché in compenso sono bravissimo con radio e ricetrasmittenti, però temo che il vero problema sia Timmons. Per lui non sono idoneo perché mi rifiuto di nascondere la mia ’malattia’. Sono certo che mi scarterà. Grazie, scherzo della natura, meglio di no. Tornatene nei tuoi bordelli.»
Nancy provò di nuovo il bruciante senso di offesa che aveva sentito nello studio dello psicologo. «Denden, avresti voglia di fare una pazzia?»
Se avessero voluto tenere al sicuro la documentazione che li riguardava non l’avrebbero conservata dietro due serrature semplici in una struttura piena di gente addestrata a superare sbarramenti ben più complicati. O quantomeno questo fu il ragionamento di Nancy.
Una volta dentro l’ufficio di Timmons tirarono le pesanti tende oscuranti, accesero la lampada da tavolo e si misero comodi. Anche gli schedari erano chiusi, e Timmons aveva avuto persino l’idea di mettere dei piccoli pezzetti di carta fra i cassetti per controllare che nessuno li aprisse. Denden li raccolse per poterli rimettere a posto una volta finita la loro ricerca.
«Ho ottenuto voti eccellenti in combattimento, tattica, esplosivi, scasso...» lesse Nancy con un certo orgoglio dalla sedia di Timmons.
Denden era appoggiato allo schedario. «Tra i migliori operatori radio mai visti però... Cavoli. Mi hanno dato un solo punto in precisione di tiro.»
«Be’, io ne ho presi due nel lancio col paracadute» disse Nancy, e il suo tono non era certo pieno di orgoglio.
«Si fottano» disse Denden, e dopo aver appoggiato la sua scheda sul tavolo studiò le penne ben allineate. «Sì, questa andrà bene» disse scegliendone una.
«Denden?»
«Sì? Mi hanno fatto fare un corso da falsario. Adesso mi esercito un po’.»
E grazie a un abile gesto il suo 1 in precisione di tiro divenne un 7, e il 2 di Nancy, per magia, un bell’8.
Nancy fece un silenzioso applauso e Denden sorrise, prima di girare la pagina.
«Magnifico. Il rapporto del buon dottor Timmons in persona. ’La perversione di Rake, della quale non prova vergogna, rappresenta un pericolo per la truppa.’ Figuriamoci. Io gli uomini li attiro!»
Nancy sorrise e si mise a leggere il suo. «’Wake è straordinariamente motivata a rientrare in Francia’...»
«Questa è la versione gentile» disse Denden. «C’è rimasto da bere?»
«Aspetta, non ho finito. ’... però il suo coraggio nasconde una profonda insicurezza. Il senso di colpa per l’arresto del marito...’» Di colpo non ci fu più niente di divertente in quella lettura. Niente di niente. Chissà dov’era, adesso, Henri? Che cosa stava pensando in quel momento? «’Unito a un trauma infantile produce il rischio di una pericolosa instabilità’.»
Denden le posò una mano sulla spalla.
«Vieni, dai, basta così.» Sarebbe bastato davvero, ma lei non poté trattenersi. Si liberò della sua mano.
«’In base alle osservazioni fatte, ritengo che non sia adatta al comando, e che il suo impegno per la causa metterebbe soltanto in pericolo gli uomini ai suoi ordini.’»
La stanza era molto silenziosa e nella notte si udì il verso di un gufo fra le ombre lambite dal chiaro di luna.
«Puttanate da strizzacervelli» dichiarò Denden. «Com’è il detto? ’Quel che non t’ammazza ti rende più forte.’ E a parte tutto questo santo bigottismo, non è ovvio che quando si combatte sul campo la tua vita e quella di chi sta con te siano in pericolo?! Ci vuole gente capace di mandare degli uomini a sabotare le fabbriche tedesche, a preparare imboscate ai loro convogli. Far saltare un treno mentre il nemico ti spara addosso è forse esente da pericoli?»
Bel discorsetto. E anche generoso, da parte di Denden. Ma inutile. L’avrebbero scartata, costringendola a fare la dattilografa, a morire dentro giorno dopo giorno, a bere tutte le sere per dimenticare, mentre i nazisti facevano quel che volevano alla Francia, ai suoi amici, a Henri. E il pensiero peggiore era che forse avevano ragione a tenerla lontana, dove non poteva fare danni.
«Denden, cosa stai facendo?»
Denden aveva preso la macchina da scrivere portatile di Timmons e l’aveva messa sul tavolo. Poi rovistò in cerca dei moduli vuoti e li trovò nel primo cassetto.
«Scansati, e dai un’occhiata in corridoio se arriva qualcuno. È arrivato il momento di raccontare le nostre storie per davvero.»
Venti minuti più tardi Nancy si sentiva molto meglio. Un pensiero la folgorò. «Senti» disse, mentre infilava le piccole strisce di carta fra i cassetti dello schedario in modo che Timmons non si accorgesse che qualcuno aveva rovistato fra i documenti, «hai programmi, per domani sera?»