41

 

Le poche guide sulle bellezze dell’Alvernia pubblicate prima della guerra raccomandavano invariabilmente il piacere di viaggiare in treno. I panorami che un viaggiatore comodamente seduto in una carrozza di prima classe avrebbe ammirato comprendevano profonde gole, montagne coperte di abeti e improvvisi paesaggi alpini imperdibili. In particolare i viaggiatori non dovevano perdersi un ponte speciale detto il viadotto di Garabit, opera realizzata dal celebre Gustave Eiffel. Le guide elencavano i numeri con particolare enfasi: l’ardito ponte ad arco centrale era stato costruito a 122 metri sopra il fiume Truyère, tutto in ferro; la campata centrale era larga 167,60 metri. Una meravigliosa opera d’arte, nonché un miracolo di alta ingegneria.

E Nancy stava per farlo saltare.

Nessuno ormai viaggiava in treno per piacere. Le linee ferroviarie erano diventate le serpeggianti arterie che trasportavano i tedeschi e i loro armamenti da nord a sud nel cuore della Francia. I treni erano lenti, pieni di soldati e fumo di sigarette, ed erano pronti per andare verso le presunte località degli sbarchi. Gli Alleati erano stati molto riservati sui loro piani – Nancy aveva saputo dai suoi informatori che il Reich si preparava a mandare rinforzi nel Sud e nel Nord del paese – quindi i tedeschi erano costretti ad aspettare di capire dove avventarsi.

Mentre stava preparando lo zaino, dalla voce calda di Ici Londres Nancy aveva capito dov’era avvenuto lo sbarco. In Normandia. Avrebbe scommesso la sua fede nuziale su Calais, e invece no. Lontano da loro, sulle fredde coste atlantiche avvolte nella nebbia e nella spuma dei marosi, migliaia di soldati combattevano nella sabbia. La corsa era cominciata. Se i nazisti fossero riusciti a portare i loro uomini e gli armamenti pesanti su quelle spiagge nel giro di due giorni, gli Alleati sarebbero stati respinti in mare. Ma se la Resistenza fosse riuscita a trattenerli, a tagliare le arterie principali, la grande macchina da guerra tedesca sarebbe rimasta bloccata e indebolita, mentre i soldati sulle spiagge della Normandia sarebbero entrati in Francia.

Fournier era diretto con la sua squadra a far saltare uno snodo ferroviario a sud di Clermont-Ferrand; Gaspard avrebbe distrutto il treno che trasportava carburante in arrivo dalla costa, e a seguire la raffineria che l’aveva rifornito mentre Nancy, Tardivat e gli altri avrebbero cercato di distruggere il viadotto di Garabit sopra il Truyère.

Le avevano parlato di quell’incarico già a Londra, poco dopo l’incontro in cui il colonnello Buckmaster le aveva puntato una pistola alla testa, e persino lui aveva dichiarato che quel ponte si sarebbe rivelato una grossa grana. Con i suoi tralicci di ferro rivettato, e il complesso reticolo metallico, era una creatura dall’equilibrio perfetto che sarebbe rimasta in piedi anche se attaccata in più punti. Ma era fondamentale che saltasse. Se i tedeschi non avessero potuto più utilizzarlo la loro rete si sarebbe disgregata. Se gli altri nuclei organizzati da Nancy fossero riusciti a far saltare i loro obiettivi – cabine di manovra, snodi, tratti dove le rotaie prendevano curve strane – le riparazioni alle vie di trasporto li avrebbero impegnati per mesi.

Guardando le immagini sfocate scattate dagli aerei di ricognizione, qualche vecchio disegno e le cartoline, nonché le foto che uno di loro aveva fatto durante un bel giro turistico della zona, gli ingegneri londinesi dissero che il punto debole del ponte era la sommità dell’arco, ma che per essere sicuri del risultato bisognava farlo saltare mentre lo percorreva un treno, perché il peso dei vagoni ne avrebbe assicurato il crollo. Di questo erano certi. A Nancy pareva di vederli togliersi la pipa dalla bocca e scrollare le spalle intorno a un tavolo di Baker Street. Quasi certi, diciamo.

Quando gliene avevano parlato la prima volta, a Nancy era sembrato tutto chiaro, ma quando aveva visto il ponte da vicino, una settimana dopo il suo arrivo in Francia, aveva provato un tuffo al cuore. Era una creatura mostruosa. I numeri sulla larghezza della campata e l’altezza riportate dalla guida significavano ben poco fino a quando non lo guardavi dal basso, allungando il collo per vederlo incombere su di te dallo sfondo azzurro del cielo.

Poiché gli argini del fiume erano quasi a strapiombo, per raggiungere la base della campata bisognava attraversare un pendio coperto dalla macchia di arbusti e aggirare gli enormi basamenti di pietra. Ci si poteva arrivare da nord, ma la pendenza meno proibitiva avrebbe permesso a qualcuno armato di fucile e di una buona vista di individuarti e neutralizzarti, o farti volare giù quando eri a metà dell’arco. Nelle foto scattate prima della guerra si vedeva una scala di metallo che permetteva di salire su ogni basamento da entrambe le rive del fiume, ma non c’erano più perché i tedeschi le avevano tolte con la fiamma ossidrica.

Se riuscivi ad arrivare sul pilone, però, una stretta rampa di ferro ti portava fino alla sommità della campata. Dato che il ponte era un reticolo di ferro, a nessuno sarebbe sfuggita la presenza di un manipolo di maquisard intenti a scalarlo con gli zaini pieni di esplosivo.

I nazisti sapevano bene che il viadotto rivestiva un’importanza cruciale, e lo sorvegliavano giorno e notte. Nancy lo aveva studiato per ore sotto la pioggia di primavera, armata di quadernetto e fiaschetta, cercando di capire i movimenti delle guardie. C’erano tre uomini che lo pattugliavano avanti e indietro lungo gli stretti passaggi accanto alle rotaie. Dieci minuti prima dell’arrivo di un treno una campanella suonava per avvertirli che dovevano allontanarsi, cosa che i tedeschi facevano puntualmente, a passo di corsa. Ragionevole. Altri quattro uomini pattugliavano gli argini, e si erano costruiti delle garitte di legno, simili a torrette di avvistamento, su ogni lato del ponte, armate di mitragliatori pesanti. Nancy e Tardivat si erano spremuti le meningi fino a notte fonda per capire come liberarsi di quelle postazioni.

Inoltre c’era il problema di sapere a che ora passavano i treni. Nancy era piuttosto sicura che una volta avvenuto lo sbarco alleato gli orari abituali non sarebbero stati più rispettati.

Dovevano creare un diversivo per coprire il loro arrivo, e fare un’imboscata sulla riva settentrionale per eliminare la pattuglia. Poi lei, Franc e Jean-Clair sarebbero scesi dal pendio e saliti sul basamento, avrebbero percorso velocemente le scalette e piazzato le cariche che dovevano saltare al momento del passaggio del treno, e quindi di nuovo giù per la stessa via. Semplice a dirsi, in effetti.

Creare un diversivo era facile. Abbastanza facile, diciamo. Un ponte stradale che in alto era stretto e piatto, infelice fratello minore dello stupendo viadotto Eiffel, attraversava il fiume circa trecentocinquanta metri più a monte. Doveva saltare per primo. Se ne sarebbero occupati Rodrigo e i suoi. Poi toccava agli uomini che pattugliavano gli argini, e quindi Tardivat, Juan e Mateo dovevano distrarre gli uomini sulle rotaie. E tutto doveva essere fatto molto molto in fretta. Ovviamente con un po’ di fortuna avrebbero eliminato le sentinelle, piazzato le cariche e sarebbero spariti senza che i tedeschi se ne accorgessero, ma era un rischio enorme. Se fossero stati intercettati troppo presto le sentinelle nelle torrette avrebbero dato l’allarme e fatto fermare il treno prima che imboccasse il ponte. Anche se le cariche fossero esplose il ponte sarebbe stato riparato, e per le forze del Reich al posto di un bel k.o. l’operazione si sarebbe ridotta a un piccolo graffio.

Liberazione
9788830456600-cov01.xhtml
9788830456600-presentazione.xhtml
9788830456600-tp01.xhtml
9788830456600-cop01.xhtml
9788830456600-occhiello-libro.xhtml
9788830456600-fm_1.xhtml
9788830456600-p-1-c-1.xhtml
9788830456600-p-1-c-2.xhtml
9788830456600-p-1-c-3.xhtml
9788830456600-p-1-c-4.xhtml
9788830456600-p-1-c-5.xhtml
9788830456600-p-1-c-6.xhtml
9788830456600-p-1-c-7.xhtml
9788830456600-p-1-c-8.xhtml
9788830456600-p-1-c-9.xhtml
9788830456600-p-1-c-10.xhtml
9788830456600-p-1-c-11.xhtml
9788830456600-p-1-c-12.xhtml
9788830456600-p-1-c-13.xhtml
9788830456600-p-1-c-14.xhtml
9788830456600-p-1-c-15.xhtml
9788830456600-p-1-c-16.xhtml
9788830456600-p-1-c-17.xhtml
9788830456600-p-1-c-18.xhtml
9788830456600-p-2-c-19.xhtml
9788830456600-p-2-c-20.xhtml
9788830456600-p-2-c-21.xhtml
9788830456600-p-2-c-22.xhtml
9788830456600-p-2-c-23.xhtml
9788830456600-p-2-c-24.xhtml
9788830456600-p-2-c-25.xhtml
9788830456600-p-2-c-26.xhtml
9788830456600-p-2-c-27.xhtml
9788830456600-p-2-c-28.xhtml
9788830456600-p-2-c-29.xhtml
9788830456600-p-2-c-30.xhtml
9788830456600-p-2-c-31.xhtml
9788830456600-p-2-c-32.xhtml
9788830456600-p-2-c-33.xhtml
9788830456600-p-2-c-34.xhtml
9788830456600-p-2-c-35.xhtml
9788830456600-p-2-c-36.xhtml
9788830456600-p-2-c-37.xhtml
9788830456600-p-2-c-38.xhtml
9788830456600-p-2-c-39.xhtml
9788830456600-p-2-c-40.xhtml
9788830456600-p-2-c-41.xhtml
9788830456600-p-3-c-42.xhtml
9788830456600-p-3-c-43.xhtml
9788830456600-p-3-c-44.xhtml
9788830456600-p-3-c-45.xhtml
9788830456600-p-3-c-46.xhtml
9788830456600-p-3-c-47.xhtml
9788830456600-p-3-c-48.xhtml
9788830456600-p-3-c-49.xhtml
9788830456600-p-3-c-50.xhtml
9788830456600-p-3-c-51.xhtml
9788830456600-p-3-c-52.xhtml
9788830456600-p-3-c-53.xhtml
9788830456600-p-3-c-54.xhtml
9788830456600-p-3-c-55.xhtml
9788830456600-p-3-c-56.xhtml
9788830456600-p-3-c-57.xhtml
9788830456600-p-3-c-58.xhtml
9788830456600-p-3-c-59.xhtml
9788830456600-p-3-c-60.xhtml
9788830456600-p-3-c-61.xhtml
9788830456600-p-3-c-62.xhtml
9788830456600-p-3-c-63.xhtml
9788830456600-p-3-c-64.xhtml
9788830456600-p-3-c-65.xhtml
9788830456600-p-3-c-66.xhtml
9788830456600-p-3-c-67.xhtml
9788830456600-p-3-c-68.xhtml
9788830456600-p-3-c-69.xhtml
9788830456600-p-3-c-70.xhtml
9788830456600-ind01.xhtml
Il_libraio.xhtml