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Qualche ora dopo un’Alfetta usciva dalla caserma alla volta del carcere militare di Gaeta. Avevano detto a Savicchio che poteva scegliere – era espressamente previsto dalla legge – fra quella struttura e un carcere ordinario. Non aveva avuto dubbi. In un penitenziario comune – a Bari o altrove – sarebbe stata solo questione di tempo, prima che qualcuno gli mettesse fra le scapole un manico di cucchiaio affilato o gli tagliasse la gola con il coperchio di un barattolo di pomodori pelati.

Anche la dottoressa, il capitano e gli altri carabinieri che avevano partecipato alla perquisizione e all’arresto erano andati via, dopo aver completato gli atti. Dal verbale di sequestro risultava che in un «incavo ricavato in parete perimetrale e occultato con un pannello di cartongesso erano stati reperiti: cinquantasette milioni e trecentomila lire in banconote da cinquantamila e da centomila; undici brillanti del peso complessivo di 26 carati e del valore approssimativo di un centinaio di milioni», oltre alle tre pistole e a centocinquanta proiettili di vario calibro.

Fenoglio e Pellecchia erano rimasti soli. Sulla scrivania c’erano i resti di un pranzo a base di panini scadenti, pizza al taglio, e birre in lattina.

– E adesso? Basta quello che abbiamo trovato per dargli anche il sequestro di persona? Che ti ha detto la dottoressa? – chiese Pellecchia, e Fenoglio notò una sfumatura diversa, nel modo in cui l’appuntato si riferiva alla donna magistrato. Parecchie cose sembravano cambiate.

– Intanto sta dentro per la detenzione abusiva di armi clandestine. Dice la dottoressa che lo porta a giudizio per direttissima e non c’è nessun pericolo che esca. A parte il fatto in sé, le circostanze del ritrovamento – il nascondiglio, i soldi, i brillanti – non piaceranno ai giudici. Dopodiché – ha detto – bisogna fare il punto sul quadro probatorio per il sequestro di persona. Anzi per i sequestri di persona, visto che Ruotolo ha parlato anche di quegli altri due episodi. Con il ritrovamento dei soldi e dei brillanti, e con i tabulati dei cellulari, forse si può già parlare di riscontri sufficienti per la misura cautelare. Poi bisognerà approfondire, dobbiamo trovare il concessionario che gli ha prestato la macchina e continuare le indagini bancarie, ma insomma, la dottoressa mi è parsa fiduciosa.

Pellecchia controllò se in qualcuna delle lattine ci fosse un residuo di birra, scuotendole fra le dita a una a una. Erano tutte vuote. Sembrava rimuginasse qualcosa. – Non è che ce lo ritroviamo fuori fra qualche mese?

– No. È dentro per detenzione di ben tre armi clandestine, tra l’altro nascoste nel muro in quel modo, da criminale, da latitante. Solo per questo non prende meno di sei o sette anni. Poi ci sono i soldi e le pietre preziose, che non potrà giustificare in nessun modo. Mettiamola cosí: intanto siamo sicuri che per un bel po’ starà in carcere e che certamente verrà cacciato dall’Arma. Per il resto abbiamo modo di lavorare con calma. Anche Al Capone è stato tolto di mezzo con un’accusa di evasione fiscale.

– Morí di sifilide in carcere, mi pare?

– Già.

– A volte penso che la giustizia è strana.

– Puoi dirlo molto forte.

– Domani esco con il gommone e vado a pescare.

– Buona idea.

– Mica vuoi venire anche tu? Gommone, qualche ora di mare e di pesca e poi un bel piatto di spaghetti con le vongole e una bottiglia di vino bianco freddo.

– Magari un’altra volta. Di domenica mi piace prendermela comoda. Oziare un po’, fare due passi, leggere con calma.

– Va bene. Che si fa adesso, andiamo via anche noi?

– Direi che è proprio ora.

Buttarono i resti del pranzo nel cestino della spazzatura. Fenoglio chiuse la finestra e uscirono dalla stanza.

– Pietro?

– Sí?

– Grazie.