1.
Fenoglio entrò nel Caffè Bohème con il giornale appena comprato nella tasca della giacca e andò a sedersi al tavolino accanto alla vetrata. Il posto gli piaceva perché il proprietario era un melomane e ogni giorno sceglieva una colonna sonora di romanze celebri e pezzi orchestrali. Quella mattina il sottofondo era l’Intermezzo della Cavalleria rusticana e Fenoglio si chiese se fosse solo casuale, visto quanto stava succedendo in città.
Il barista gli preparò il solito cappuccino con molto caffè e glielo portò insieme a un bocconotto con la crema e la marmellata di amarene.
Tutto era come sempre. La musica si diffondeva, discreta ma ben udibile da chi voleva ascoltarla. Gli avventori abituali entravano e uscivano. Lui mangiava il dolce, sorseggiava il cappuccino e sfogliava il giornale. Le pagine della cronaca si concentravano sulla guerra di mafia esplosa all’improvviso nei quartieri nord della città e sul fatto – spiacevolmente vero – che polizia, carabinieri e magistrati non capivano cosa stesse succedendo.
Stava leggendo un articolo in cui il direttore in persona spiegava agli investigatori, con ricchezza di utili consigli, come affrontare e risolvere il fenomeno. La lettura lo assorbiva e lo innervosiva in ugual misura, dunque si accorse del ragazzo con la siringa quando quello era già davanti alla cassiera e gridava.
– Damm’ tutt’ l’ trr’s’, pttan’, – «dammi tutti i soldi, puttana».
La donna rimase immobile, come paralizzata. Il ragazzo allora allungò la mano armata fin quasi a toccarle il viso. In un dialetto pressoché incomprensibile e con una voce roca e piuttosto impressionante le disse che aveva l’aids e le urlò di nuovo di dargli tutto quello che c’era in cassa. Lei si mosse lentamente, con gli occhi sbarrati dal terrore. Aprí il cassetto, cominciò a prendere i soldi mentre l’altro continuava a ripeterle di fare presto.
La mano di Fenoglio si chiuse sul polso del rapinatore proprio nel momento in cui la donna stava consegnando il denaro. Quello tentò di girarsi di scatto; Fenoglio fece un movimento quasi delicato – una mezza rotazione – torcendogli il braccio e portandoglielo dietro la schiena. Con l’altra mano lo prese per i capelli e gli tirò indietro la testa.
– Butta la siringa.
Quello fece un ringhio soffocato, cercando di divincolarsi. Fenoglio aumentò un poco la torsione del braccio, tirò un po’ piú forte la testa. – Sono un carabiniere –. La siringa cadde a terra con un rumore sommesso e secco.
La cassiera si mise a piangere. Gli altri avventori ripresero a muoversi, all’inizio piano, poi a velocità normale, come risvegliati da un incantesimo.
– Nicola, chiama il 112, – disse Fenoglio rivolgendosi al barista, dopo aver scartato l’ipotesi che la cassiera, al momento, fosse in grado di maneggiare un telefono.
– Mettiti in ginocchio, – disse poi al ragazzo. Dal tono gentile uno si sarebbe aspettato di sentirgli aggiungere: «Per piacere». Il ragazzo si inginocchiò, Fenoglio gli lasciò i capelli mentre continuava a tenergli il braccio, ma senza violenza, quasi fosse una formalità procedurale.
– Adesso distenditi faccia a terra e metti le mani intrecciate dietro la testa.
– Non mi date le mazzate, – disse quello.
– Non dire stupidaggini. Stenditi a terra, che non voglio stare cosí fino a quando arriva la macchina.
Il ragazzo fece un lungo sospiro, una specie di lamento per la sua sfortuna, poi obbedí. Si distese, appoggiò una guancia a terra e mise le mani dietro la nuca, con una rassegnazione quasi buffa.
Fuori intanto si era radunata una piccola folla. Alcuni clienti erano usciti e avevano raccontato quello che era successo. La gente pareva eccitata, come se fosse arrivato il momento della riscossa contro la criminalità dilagante. Qualcuno gridava. Due ragazzi entrarono nel bar e fecero per avvicinarsi al rapinatore.
– Dove andate? – chiese Fenoglio.
– Datecelo a noi, – disse il piú agitato, un magrolino con la faccia foruncolosa e gli occhiali.
– Volentieri. Che progetti avete? – disse Fenoglio.
– Gli facciamo passare la voglia, – disse l’altro, muovendo un passo in avanti.
– Siete mai stati in caserma da noi? – chiese loro Fenoglio, con un sorriso che sembrava amichevole.
L’altro rimase interdetto, non rispose subito. – No, perché?
– Perché vi ci faccio passare tutto il giorno, e magari anche la notte, se non sparite subito.
I due si guardarono, il brufoloso borbottò qualcosa per darsi un tono; l’altro si strinse nelle spalle e fece una smorfia di superiorità, anche lui per darsi un tono. Poi uscirono insieme dal bar. La piccola folla si disperse spontaneamente.
Qualche minuto dopo arrivarono le macchine del 112, due appuntati e un brigadiere in divisa entrarono nel bar e salutarono Fenoglio con un misto di ossequio e di inconsapevole diffidenza. Misero le manette al ragazzo e lo fecero rialzare in modo brusco, sollevandolo di peso.
– Vengo con voi, – disse Fenoglio dopo aver pagato alla cassiera il cappuccino e il bocconotto, incurante dei tentativi del barista Nicola di impedirglielo.