2.
– Io ti ho già visto da qualche parte, – disse Fenoglio, voltandosi verso il sedile posteriore e rivolgendosi al ragazzo che aveva appena arrestato.
– Stavo vicino al Petruzzelli, la sera, quando c’erano gli spettacoli. Facevo il posteggiatore. Mi avete visto là di sicuro.
Ecco, certo. Fino a qualche mese prima aveva fatto il posteggiatore abusivo vicino al Teatro Petruzzelli. Poi c’era stato l’incendio, il teatro era andato distrutto e lui aveva perso il lavoro. Disse proprio cosí: «Ho perso il lavoro», come se l’azienda per cui lavorava avesse chiuso o lo avesse licenziato. Allora si era messo a vendere le sigarette e a rubare qualche autoradio.
– Però non si prende quasi niente. I furti nelle case non sono capace e allora ho pensato che potevo fare le rapine con la siringa.
– Bravo, un’idea geniale. E quante ne hai fatte, di rapine?
– Nessuna, appuntato. Questo è il cazzo. Era la prima volta e ho trovato a voi, pensate che culo.
– Non è appuntato, è maresciallo, – lo corresse il carabiniere alla guida.
– Scusate, maresciallo. Senza divisa non lo potevo capire. Vi giuro che era la prima.
– Non ci credo, – disse Fenoglio. Però non era vero. Ci credeva, e il ragazzo gli faceva simpatia. Era buffo, parlava con un ritmo quasi comico, magari in un’altra vita avrebbe potuto fare l’attore o il cabarettista, invece del piccolo delinquente di strada.
– Ve lo giuro. E poi non sono tossicodipendente e non c’ho l’aids. Tutte puttanate. Io mi caco sotto degli aghi. Se dire le puttanate è un reato, allora mi devono dare l’ergastolo, perché ne dico assai. Però sono solo un coglione. Mettete una parola buona nel rapporto, scrivete che mi sono comportato bene.
– In effetti ti sei comportato bene.
– Pensate che la siringa era nuova, c’avevo solo messo un poco di tintura di iodio per fare credere che era il sangue e per fare paura.
– Parli un sacco, eh?
– Scusate, maresciallo. È che mi sto un poco cacando sotto, non sono mai andato in carcere.
A Fenoglio venne voglia di lasciarlo andare. Avrebbe voluto dire al carabiniere alla guida: fermati e passami le chiavi delle manette. Liberare il ragazzo – ancora non sapeva come si chiamava – e buttarlo fuori dalla macchina. Non gli era mai piaciuto arrestare la gente, e l’idea stessa della galera lo disturbava parecchio. Una cosa che non racconti troppo in giro, se di mestiere fai il maresciallo dei carabinieri. Naturalmente c’erano delle eccezioni, per certi reati, per certi personaggi. Come per il tizio che erano andati a prendere qualche mese prima e che per mesi aveva stuprato la nipotina di nove anni – la figlia di sua figlia.
Gli era costato trattenere i suoi dal dargli un’anticipazione di giustizia a schiaffi, pugni e calci. A volte i principî sono fastidiosi.
Ovvio che non poteva liberare il ragazzo, sarebbe stato un reato, anzi diversi reati insieme. Però simili assurdità gli passavano per la testa sempre piú spesso. Fece un gesto conclusivo con la mano, come a scacciare i pensieri molesti, quasi fossero entità svolazzanti davanti a lui.
– Come ti chiami?
– Albanese Francesco.
– E dici che non sei mai stato dentro?
– Mai, vi giuro.
– Si vede che sei stato bravo a non farti prendere.
Il ragazzo sorrise.
– Però non è che ho fatto niente di speciale. Ve l’ho detto, un poco di sigarette, un poco di macchine, di pezzi di ricambio.
– Poi vendi un po’ di fumo, no?
– Vabbe’, qualche pezzettino, che c’è di male? Non è che mo’ mi arrestate anche per queste cose che vi sto dicendo?
Il maresciallo si girò a guardare la strada, senza rispondere.
Arrivarono negli uffici del nucleo radiomobile e Fenoglio scrisse rapidamente il verbale di arresto. Disse a uno dei due brigadieri intervenuti sul posto di completare gli atti per la procura e per il carcere, e di avvertire il pubblico ministero. Poi si rivolse al ragazzo: – Adesso me ne vado. Ti portano dal giudice già stamattina. Quando parli con il tuo avvocato, digli che vuoi fare il patteggiamento. Avrai la pena sospesa e non dovrai nemmeno passare dal carcere.
Quello lo guardò con gli occhi di un cane grato al padrone che gli ha tolto una spina dalla zampa.
– Maresciallo, grazie. Se vi serve qualche cosa, io me la faccio tra Madonnella e il Petruzzelli, mi potete trovare al Bar del Marinaio. Qualsiasi cosa, a disposizione.
Il nuovo riferimento al Teatro Petruzzelli lo mise di malumore. Qualche mese prima qualcuno aveva incendiato il teatro e Fenoglio non riusciva a darsi pace. Come si poteva anche solo pensare un gesto del genere? Bruciare un teatro. E poi quella cosa assurda e quasi insopportabile – chissà se era un caso o se gli incendiari avevano voluto aggiungere una nota di macabra ironia? – di bruciarlo dopo una recita della Norma, cioè un’opera che finisce proprio con un rogo.
Il Petruzzelli era uno dei motivi per cui gli piaceva – gli era piaciuto? – stare a Bari.
Quel teatro enorme, duemila persone ci entravano, dove si arrivava a piedi dalla caserma in dieci minuti. Spesso, se c’era un concerto o l’opera, Fenoglio rimaneva in ufficio fino a sera per poi andare direttamente in terz’ordine, fra i fregi e gli stucchi. Quando si trovava là, quasi credeva alla reincarnazione. Sentiva in modo cosí intenso la musica – quella di alcuni musicisti, soprattutto di epoca barocca, piú di tutti Händel – da pensare che in un’altra vita poteva essere stato un maestro di cappella della provincia tedesca.
E adesso che il teatro non c’era piú? Chissà se lo avrebbero mai ricostruito, e chissà se i responsabili sarebbero mai stati individuati, processati e condannati. La procura aveva aperto un fascicolo per incendio colposo contro ignoti. Un buon modo per dire che non avevano la piú pallida idea di cosa fosse accaduto. A Fenoglio sarebbe piaciuto occuparsi delle indagini, ma erano state affidate ad altri, e lui non poteva farci niente.
– Va bene, Albanese. Non fare fesserie. Non troppe, almeno, – gli disse dandogli una pacca sulla spalla e allontanandosi in direzione del proprio ufficio.
Sulla porta trovò un giovane carabiniere che lo aspettava.
– Il signor capitano vuole parlarle. Ha detto di raggiungerlo da lui.
Il capitano Valente era il nuovo comandante del nucleo operativo. Fenoglio non aveva ancora capito se l’uomo gli andava a genio o lo metteva a disagio. Forse entrambe le cose. Certo era piuttosto diverso dagli altri ufficiali con cui aveva avuto a che fare in vent’anni di vita nell’Arma.
Era arrivato solo da qualche giorno, nel pieno di quella guerra criminale di cui nessuno ancora riusciva a cogliere il senso. Veniva da Roma, dal Comando generale, e nessuno sapeva per quale motivo l’avessero mandato a Bari.
– Venga, maresciallo Fenoglio, – disse l’ufficiale quando lo vide affacciarsi alla porta.
Uno dei comportamenti che lo lasciavano perplesso era proprio questo: il capitano Valente dava del lei a tutti, facendo sempre precedere il cognome dal grado. La regola di comportamento non scritta per gli ufficiali è che ai superiori si dia del lei e ai subalterni del tu, chiamandoli per cognome se non addirittura per nome. E naturalmente il tu è la regola fra parigrado. Fra sottufficiali e graduati le cose sono meno nette, ma insomma, un comandante di nucleo operativo che dia del lei a tutti i suoi uomini, è piuttosto raro.
Perché si comportava cosí? Preferiva mantenere le distanze con i sottoposti? Era un uomo particolarmente formale? O particolarmente timido?
– Buongiorno, signor capitano, – disse Fenoglio.
– Si accomodi, – disse Valente, indicando la sedia con la mano. Quella combinazione di formalità e di cordialità era difficile da decifrare. Poi l’arredamento della stanza: niente gagliardetti, niente crest, niente calendari dell’Arma; nulla suggeriva che quello fosse l’ufficio di un capitano dei carabinieri. C’erano il televisore, un impianto stereo di buona qualità, un divanetto e delle poltrone; un piccolo frigorifero e alcuni quadri d’impronta espressionistica, un po’ alla Egon Schiele. Nell’ambiente aleggiava un lieve profumo proveniente, con ogni probabilità, da un diffusore con dei bastoncini di legno. Un accessorio non propriamente marziale.
– Erano già due giorni che volevo parlarle. Sono arrivato a Bari in un brutto momento, temo.
– In effetti sí, signor capitano. Fra l’altro con l’incidente capitato al tenente, non ha nemmeno un ufficiale di supporto.
Il tenente si era rotto una gamba giocando a calcio e ne avrebbe avuto per tre mesi. Il nucleo operativo si era cosí ritrovato di colpo con un capitano nuovo, senza nessuna conoscenza della città e della sua geografia criminale, privo del secondo ufficiale e nel pieno di una guerra di mafia.
– Mi fa capire cosa sta succedendo in città? – disse Valente.