7.

Le due macchine partirono con sirene e lampeggianti e stridore di pneumatici sull’asfalto. Fenoglio guardò l’ora e mise il colpo in canna nella pistola. Il capitano aveva in mano il mitra già armato, Montemurro guidava con la Beretta 92 fra le gambe. Nessuno parlava. Davanti a loro la macchina della stazione, con il maresciallo Fornaro e due appuntati, faceva strada, scavalcando con scatti rabbiosi gli incroci e i semafori rossi. Attraversarono Santo Spirito in direzione sud e si immisero sulla provinciale.

Mentre bruciavano a centocinquanta all’ora i due chilometri che li separavano dallo svincolo per Enziteto, Fenoglio pensava – era inevitabile – a una situazione molto simile di tanti anni prima, a Milano. Erano in auto, lui e due colleghi, e ricevettero una segnalazione di rapina a mano armata in corso, solo a qualche centinaio di metri da loro. Arrivarono proprio nel momento in cui i rapinatori, armi in pugno, uscivano dall’ufficio postale. Ci fu un furibondo conflitto a fuoco alla fine del quale uno dei rapinatori – un ragazzo di ventun anni – era morto e uno dei carabinieri era seriamente ferito. Qualche settimana dopo emerse dagli accertamenti balistici che i colpi letali non erano partiti dalla pistola di Fenoglio. Tecnicamente non era stato lui a cagionare la morte del ragazzo e la notizia gli aveva dato un senso di liberazione. Era durato poco. Si era chiesto se davvero ci fosse differenza fra lui e il collega dalla cui pistola era uscito il proiettile mortale. Se quel carabiniere fosse stato lí, solo con la sua pistola, sarebbe finita nello stesso modo? Decine di proiettili – alla fine avevano contato al suolo trentuno bossoli – erano partiti quasi contemporaneamente contro i rapinatori, come una massa puntiforme di metallo letale. Una rete, nella quale era pressoché inevitabile rimanere impigliati. La questione non era chi avesse esploso il colpo andato a bersaglio; la questione era chi aveva partecipato a tessere quella rete. Questo non aveva niente a che fare con la legittimità del comportamento dei carabinieri, nell’occasione. Sparare a quei rapinatori era lecito e inevitabile, e la morte del ragazzo era stato il risultato lecito e inevitabile di un’azione collettiva. Fenoglio si era domandato come avrebbe risposto se gli avessero chiesto se aveva mai ucciso qualcuno.

Avrebbe risposto di sí.

Quando arrivarono sul luogo della sparatoria, a Enziteto, non c’era piú nessuno. Fenoglio guardò l’orologio prima di scendere dall’auto: erano passati cinque minuti e pochi secondi. Calcolare il tempo, nelle emergenze, è importante. Aiuta a contrastare l’inevitabile distorsione dei ricordi, la loro perdita di consistenza, la contaminazione della fantasia.

Spensero le sirene e i lampeggianti. La strada era deserta, le finestre erano sbarrate come se il quartiere fosse disabitato. C’erano tanti bossoli, concentrati in due punti, a una ventina di metri di distanza. Due gruppi di fuoco si erano affrontati con fucili e pistole, e se qualcuno era stato colpito, non aveva lasciato tracce di sangue visibili a un esame sommario.

Il silenzio era inquietante. Anche questo dava l’impressione che il posto fosse stato abbandonato. Il che poi, in un certo senso, era vero, pensò Fenoglio. Enziteto era un pezzo di città abbandonato da tutti a meno di tre chilometri dal mare, dai ristoranti, dagli stabilimenti balneari, dall’aeroporto. Prendi il piccolo svincolo che dalla statale conduce al quartiere, e ti ritrovi da un momento all’altro in un altrove indecifrabile. Astratto.

Ecco, era quello l’aggettivo giusto. Astratto.

Enziteto, come tante allucinate periferie del mondo, era un luogo astratto. Gli venne in mente una frase del suo conterraneo Casorati, il pittore, che l’aveva colpito e gli sembrava contenesse una fondamentale verità: «La pittura è sempre astratta».

Chissà chi aveva chiamato il 112. Non c’era davvero nessuno, non passava una macchina, non un ragazzino per sbaglio, non un motorino, non una bicicletta.

Un cane spelacchiato attraversò la strada, a passo lento. Come a voler sottolineare il concetto. Poi il silenzio fu rotto dalle sirene. Arrivarono altre macchine dei carabinieri, volanti della polizia, arrivò il capo della squadra mobile. Il mondo riprese un minimo di precaria concretezza.

Fecero il giro dei condomini, alla ricerca di qualcuno che avesse visto qualcosa. Molte porte rimasero chiuse; qualcuno aprí e disse di non aver visto niente; qualcuno, con la promessa dell’anonimato, raccontò una sparatoria fra gli occupanti di due macchine, armati fino ai denti con pistole, fucili e mitragliatori.

Andarono via un paio d’ore dopo. Nel frattempo tutto il personale del nucleo era stato richiamato in servizio. Alcuni furono mandati a fare il giro degli ospedali; altri si occuparono di perquisire a tappeto le case dei pregiudicati della zona; tre di questi vennero portati in caserma per essere sottoposti allo stub, l’accertamento per verificare la presenza sul corpo dei residui dello sparo.

In caserma, a Bari, furono accompagnati anche Grimaldi e la moglie, per essere sentiti sulla sparizione del bambino. L’informativa redatta il giorno dopo per la procura, in cui venivano denunciati per favoreggiamento, descriveva cosí la loro audizione: «I due coniugi negavano l’esistenza di qualsiasi problema e in particolare l’avvenuto sequestro del minore. Richiesti di indicare dove fosse il bambino riferivano che era a casa di zii materni residenti in Lombardia per qualche giorno di vacanza. Rifiutavano di fornire recapiti telefonici di tali parenti e non sapevano fornire spiegazioni sul perché il bambino, in un normale periodo scolastico, fosse andato a trovare i suddetti parenti. Il Grimaldi e la moglie venivano sollecitati a collaborare e veniva segnalata loro l’importanza di tale collaborazione per il ritrovamento del bambino. I predetti rifiutavano però ogni collaborazione, negando l’evidenza, chiudendosi in un ostile mutismo, rifiutando di sottoscrivere il verbale».

Nel tardo pomeriggio, nelle campagne di San Ferdinando di Puglia, una settantina di chilometri a nord dal luogo del conflitto a fuoco, fu ritrovata una Peugeot 205 bruciata, ma sulla quale era comunque agevole individuare i segni di colpi d’arma da fuoco. La macchina era stata rubata a Pescara e le ricerche vennero estese anche a quella zona.

Piú o meno alla stessa ora tre uomini incappucciati andarono a casa della cognata di Lopez Vito, massacrarono di botte il marito, che non aveva niente a che fare con ambienti criminali, e spaccarono tutto. Volevano sapere dove fosse Lopez. Alla fine gli spararono alle gambe e andarono via dopo avergli detto che se rimaneva zoppo poteva ringraziare quel pezzo di merda del Macellaio.

Fenoglio andò a letto alle tre di notte. Non prese sonno prima dell’alba e alle sette era di nuovo sveglio.