8.

Per i due giorni successivi Lopez raccontò della sua carriera criminale e soprattutto, per spiegare il progressivo aumento della sua importanza e del suo prestigio nell’associazione mafiosa, raccontò omicidi. In ordine cronologico, quelli di cui era direttamente responsabile. In questo tipo di indagini c’è una regola essenziale: vuoi collaborare con la giustizia e ottenere i benefici connessi? Per prima cosa racconta ciò che hai fatto tu e di cui magari non eri nemmeno sospettato. È una premessa fondamentale per essere creduti sul resto.

Il secondo omicidio, dopo ’u Rizz’, fu quello di un metronotte che si era rifiutato di far entrare gli uomini del clan in un deposito di elettrodomestici per commettere un furto. Un tale atto di ribellione era intollerabile e non poteva rimanere impunito. Grimaldi ordinò la gambizzazione. Se ne occuparono Lopez e altri due affiliati. Aspettarono il vigilante davanti a casa e gli spararono alle gambe, ma un proiettile recise l’arteria femorale. L’uomo morí dissanguato prima di arrivare al pronto soccorso.

Quando Grimaldi seppe dell’esito dell’azione disse che alla fine era meglio cosí. La lezione sarebbe stata piú chiara per tutti.

Il terzo omicidio fu quello dell’affiliato divenuto tossicodipendente da eroina. Gli avevano detto di smettere; gli avevano addirittura detto di andare in una comunità per disintossicarsi. Lui aveva risposto che non ne aveva nessun bisogno, che consumava un po’ di eroina di tanto in tanto, ma che non era dipendente e che poteva smettere quando voleva. Diventò anche aggressivo e irrispettoso. Consumava senza pagare nei bar e nei ristoranti di Santo Spirito. Prese eroina a credito da uno spacciatore del quartiere Libertà, fornendo come garanzia la sua condizione di affiliato a Grimaldi. Non pagò il debito. Lo videro in piú occasioni che parlava con poliziotti della Narcotici – un pessimo segnale. L’ultima goccia fu una rapina a un supermercato il cui proprietario versava con regolarità la protezione mensile e che, giustamente, andò a fare le sue rimostranze. Mi avete garantito che se pagavo non succedeva niente. E allora? Grimaldi gli disse che aveva ragione e che dunque non avrebbe dovuto pagare il mensile fino a quando non avesse recuperato la somma rapinata. L’incidente non si sarebbe ripetuto, concluse.

Trascorsero due giorni e il tossico fu abbattuto a pistolettate da Lopez e Capocchiani mentre usciva da un bar dopo aver fatto colazione. Senza aver pagato, per l’ultima volta.

Il quarto omicidio era stato commesso per fare un piacere ai capi del clan mafioso che comandava a Cerignola, con il quale Grimaldi era in affari per l’acquisto di grandi quantitativi di stupefacente da Milano. I cerignolani avevano una guerra in corso con un gruppo rivale. I Grandi (questo il nome con cui si facevano chiamare i quattro capi del clan alleato di Cerignola) volevano chiudere la questione. L’idea era di eliminare il capo degli avversari nel modo piú spettacolare e terrorizzante, e non c’è modo piú spettacolare e terrorizzante dell’uccisione in pieno centro della città, fra la gente e a volto scoperto. Per un’azione del genere ci vuole qualcuno che venga da fuori e che, agendo appunto a volto scoperto, non corra il rischio di essere riconosciuto, anche casualmente, magari da un poliziotto o da un carabiniere del posto. Dunque i Grandi chiesero il piacere a Grimaldi; ed era, questo, un segno di considerazione e stima. Un modo per suggellare un’amicizia e un’alleanza fra pari. Grimaldi incaricò Lopez, che avrebbe avuto mano libera nell’organizzare l’azione.

Lopez si scelse uno dei ragazzi piú svegli, decisi e spietati della nuova leva, affiliato da poco e desideroso di mostrare il proprio valore. I cerignolani garantirono il supporto logistico; l’azione fu compiuta in orario di apertura dei negozi e, dal punto di vista dei criminali, fu un successo.

Il quinto omicidio fu il piú spettacolare e allarmante di tutti. Un episodio rimasto tristemente famoso nella storia criminale della regione.

Una squadretta di ragazzi di Grimaldi era stata incaricata di uccidere un tale De Fano, membro del clan Montanari, che controllava il quartiere San Paolo, confinante con la zona di influenza della Società Nostra. I Montanari erano storici avversari di Grimaldi in una guerra a bassa intensità che durava da una decina di anni con numerosi ferimenti e qualche omicidio. De Fano, con alcuni complici che non erano stati ancora identificati, aveva violentato una ragazza di Enziteto, nipote di un affiliato di Grimaldi. Se i rapporti fra i due gruppi fossero stati buoni, Grimaldi avrebbe potuto chiedere al vecchio Nicola Montanari, storico capo dell’omonimo clan, di punire lui stesso il suo affiliato. Siccome questa non era una soluzione praticabile, bisognava provvedere direttamente.

De Fano era stato crivellato di colpi ma era sopravvissuto e, in piú, aveva visto bene in faccia i componenti del gruppo di fuoco, tutti ragazzi che lui conosceva bene. Circolava voce che, pur di vendicarsi, stesse decidendo di collaborare con la giustizia e accusare i suoi attentatori. Fosse o non fosse vera la voce, Grimaldi disse che bisognava portare a compimento il lavoro lasciato a metà, colpendo il De Fano nell’ospedale in cui era ricoverato. Ancora una volta il compito, delicatissimo, fu affidato a Lopez che si fece accompagnare da due affiliati giovani ma già di esperienza in azioni di fuoco. Capocchiani, che di regola avrebbe preso parte a un’azione cosí strategica, in quel periodo era detenuto.

Nei giorni successivi al ferimento il questore aveva disposto la sorveglianza davanti alla camera del De Fano. Poi il servizio era stato sospeso per i consueti problemi di carenza di personale.

Per penetrare nella clinica furono aiutati da un infermiere che li avvisò quando non c’erano piú visitatori, aprí la porta del reparto, indicò la stanza dove era ricoverato De Fano e andò via, avendo finito il suo turno, prima che i tre entrassero in azione.

Avevano pistole a tamburo a canna lunga e silenziatori. Lopez mise un cuscino sulla faccia di De Fano, gli altri due gli spararono alla testa attraverso il cuscino. Ci furono dei tonfi sordi. Forse qualcuno li sentí, ma nessuno pensò a degli spari, e i tre uscirono indisturbati, prima dal reparto, poi dal policlinico.

Il personale si accorse dell’omicidio almeno un’ora dopo. L’episodio suscitò un enorme scalpore e accrebbe enormemente il prestigio del clan Grimaldi e quello personale di Lopez Vito che divenne, in breve, l’uomo di fiducia di Grimaldi e, in sostanza, il vice capo della Società Nostra.

La cosa gli fece guadagnare ulteriore rispetto criminale, ma gli attirò anche invidie e ostilità. Inoltre, col passare del tempo, Grimaldi diventò sempre piú paranoico e preoccupato di possibili tradimenti interni e della competizione con gli altri gruppi mafiosi della città e della provincia.

Queste furono le premesse per la drammatica accelerazione finale.