5.
Rientrando in ufficio, in una perfetta riproduzione della scena di qualche ora prima trovò davanti alla porta lo stesso giovane carabiniere che gli disse piú o meno la stessa frase. Il signor capitano voleva parlargli e lo pregava di raggiungerlo nel suo ufficio.
– Conosce il maresciallo Fornaro? – gli domandò Valente.
– Il comandante della stazione di Santo Spirito?
– Sí.
– Certo.
– Che ne pensa?
– Un brav’uomo e anche un bravo sottufficiale. Un po’ vecchia maniera, ma il suo lavoro lo ha sempre fatto in modo dignitoso.
– Poco fa mi ha telefonato e mi ha raccontato una strana storia.
– Cioè?
– Un suo confidente gli ha riferito che qualcuno avrebbe sequestrato il figlio di Grimaldi. Ci sarebbe stata una richiesta di riscatto per restituire il bambino.
Fenoglio scosse la testa, in un gesto istintivo di incredulità.
– In tutta franchezza mi sembra una notizia improbabile. Chi farebbe una pazzia del genere, anche con una guerra in corso? Fornaro è sicuro?
– Dice che la fonte è molto attendibile.
– Forse dobbiamo andare a Santo Spirito e farci raccontare un po’ meglio.
Dieci minuti dopo erano per strada, con l’Alfetta del capitano.
Alla guida c’era il carabiniere scelto Montemurro; accanto a lui, nel posto riservato al piú alto in grado, il capitano; dietro c’era Fenoglio.
– Chi potrebbe aver fatto un’azione del genere? – chiese il capitano voltandosi verso il sedile posteriore, mentre uscivano dalla città e imboccavano la rampa della tangenziale nord.
– Prima di dare per appurato che c’è stato un sequestro, vorrei parlare con Fornaro e verificare l’attendibilità della notizia. Perché – ripeto – mi sembra una cosa inverosimile. Il sequestro del figlio di uno come Grimaldi sarebbe una follia, significherebbe scatenare una guerra totale.
Sulla tangenziale non c’era traffico e arrivarono a Santo Spirito in dieci minuti. Percorsero il lungomare con le sue palazzine a due piani di inizio secolo e si fermarono a prendere un caffè vicino al porticciolo dei pescatori e dei diportisti. Era un bel pomeriggio, luminoso e inquieto, con il cielo solcato da grandi cumuli bianchi, l’aria fresca e asciutta.
Stavano risalendo dal mare verso la stazione dei carabinieri quando dovettero fermarsi per via di una piccola coda di tre auto. La prima – quella che ostruiva il traffico – era una Bmw nera, ferma in mezzo alla strada. Il conducente parlava con un tipo in piedi accanto al finestrino. Non c’erano altre macchine davanti.
Montemurro lasciò passare una decina di secondi, poi suonò il clacson, senza nessuna conseguenza. Di solito quando c’è una fila e qualcuno, a un certo punto, si stanca e suona il clacson, gli altri lo imitano. In quel caso non accadde. I guidatori delle altre due vetture sembravano avere poca fretta e molta pazienza.
Montemurro suonò di nuovo, piú a lungo. Il tizio fuori dalla Bmw smise di parlare e si diresse verso la seconda auto della fila. Ci fu uno scambio di battute, rapido. Il conducente alzò le braccia mostrando i palmi: non era stato lui a disturbare la conversazione con quell’inopportuno uso dell’avvisatore acustico.
– Do un colpo di sirena? – chiese Montemurro, mentre il tizio – sulla quarantina, calvo e privo di collo – si dirigeva verso di loro.
– No, – rispose Fenoglio. Aprí lo sportello, scese dall’auto e si diresse verso il calvo. A questa azione seguí una sequenza quasi ritmica di altri movimenti. Dalla Bmw scese il tizio alla guida; dall’Alfetta scesero il capitano e Montemurro; il calvo rallentò il passo e la sua fisionomia – fin lí decisamente risoluta e aggressiva – parve mutare. Il conducente lo raggiunse, affrettandosi, e lo spostò di lato. Era in giacca e cravatta, aveva occhiali, labbra sottili e si rivolse a Fenoglio parlando con un tono in bilico fra la concitazione e l’ossequio.
– Buongiorno, maresciallo, scusate, non vi avevamo riconosciuti. Ce ne andiamo subito.
– Ve ne dovevate andare prima di subito. Adesso è tardi. Accostate l’auto all’angolo e liberate la strada.
L’altro assunse un’espressione avvilita e implorante.
– Non potete lasciare perdere? Mi fate una cortesia, è un momento difficile. Non vi avevamo visto.
– Pensavo che fossi uno sveglio, Cavallo. Forse mi sbagliavo. Di’ al tuo amico di liberare la strada, di rimanere in macchina e tu raggiungilo lí. Non farmelo ripetere.
Il calvo parve sul punto di obiettare ma Cavallo lo guardò, e quello sguardo diceva di non peggiorare la situazione.
– Chi sono questi? – domandò il capitano quando i due si furono allontanati.
– Quello calvo e senza collo non lo conosco. L’altro si chiama Cavallo. Lavora per Grimaldi, senza essere affiliato per quanto ne so. Fa da raccordo con imprenditori e politici e pare che ricicli per lui, attraverso l’usura. Soprannome: il Ragioniere.
– In effetti è quello che sembra.
– Credo che sia effettivamente diplomato in ragioneria. Giacché ci siamo, proviamo a chiedergli se sa qualcosa. Cavallo, vieni qua.
Il Ragioniere si avvicinò con espressione compunta.
– Mi meraviglio. Da te non me l’aspettavo una pagliacciata del genere. Bloccare il traffico per una sbruffonata.
– Avete ragione, maresciallo, è stata una cazzata. Stavamo parlando di una cosa importante e mi sono distratto. Mi conoscete, di regola non faccio queste fesserie.
Fenoglio non rispose. Diede un’occhiata verso la Bmw. – Chi è quello senza collo?
– Un bravo ragazzo, solo non è molto intelligente. Fa il portantino a Villa Bianca.
– Chi lo ha fatto assumere, a Villa Bianca?
– Lo sapete, maresciallo, se posso dare una mano con qualche mia conoscenza…
– Mi sembra giusto. Cos’è questa storia del figlio di Grimaldi?
Cavallo parve deglutire involontariamente un boccone che doveva ancora finire di masticare. – Che… che storia?
– Avevo ragione. Non sei intelligente come pensavo. Adesso ce ne andiamo tutti in caserma.
– Perché in caserma, maresciallo?
– Perché vi devo denunciare per violenza privata, per avere bloccato deliberatamente il traffico. Per inciso la violenza privata è punita fino a quattro anni di carcere e dobbiamo valutare se procedere all’arresto facoltativo in flagranza. Con i tuoi precedenti, temo che sia proprio il caso.
– Maresciallo, non scherzate.
– Ti sembro un tipo scherzoso?
Cavallo si aggiustò con un gesto meccanico il nodo della cravatta, che in realtà era perfettamente a posto. Tirò fuori un pacchetto di Dunhill e un accendino d’oro che aveva tutta l’aria di essere un Dupont. Fumò tenendo la sigaretta proprio al centro delle labbra, succhiandola piú che aspirandola.
– Che sta succedendo, Cavallo?
Il Ragioniere si guardò attorno, come per verificare se qualcuno li stesse osservando.
– Maresciallo, non mi mettete in difficoltà. L’ordine è di non dire una parola.
– Tu spiegami cosa succede. Poi non devo mica attaccare i manifesti.
– Maresciallo… – adesso la voce di Cavallo sembrava quasi un lamento.
– Da quanto è scomparso il bambino?
Cavallo buttò la sigaretta fumata a metà. Schiacciò il mozzicone sotto la punta del piede. Aveva dei mocassini con le nappine, nuovi e lucidi.
– Dall’altro ieri mattina. È uscito per andare a scuola, ma non ci è mai arrivato.
– È vero che hanno chiesto un riscatto?
Quello fece di sí col capo.
– Ed è stato pagato?
– Non lo so. So che stavano raccogliendo i soldi. Adesso lasciatemi andare, per piacere. Siamo in mezzo alla strada, ci vedono. Se Grimaldi capisce che vi ho detto queste cose mi fa spezzare le gambe.
– Vai, – disse Fenoglio.
Cavallo ebbe un attimo di esitazione, come non fosse sicuro di avere capito. Poi si girò e si allontanò rapido.