9.

Uscendo incrociarono un tizio gigantesco, con baffoni bianchi a manubrio e mani come padelle. Poteva essere sulla settantina, ma aveva l’aria di saper sistemare facilmente, a ceffoni, tre o quattro ventenni. Fece un cenno di saluto a Pellecchia che rispose allo stesso modo.

– Te lo ricordi quello? – disse l’appuntato quando furono usciti dal recinto del luna park.

– Chi?

– Baffone. Non te lo ricordi?

– Chi è?

Pellecchia si strofinò il viso. – Ah, certo. Sono rincoglionito. È roba di una decina di anni fa. Tu non eri ancora arrivato a Bari. Lo arrestammo dopo una rissa pazzesca –. Continuò a parlare ma Fenoglio smise di ascoltarlo. Una decina di anni fa. Quando lui stava per essere trasferito a Bari perché aveva conosciuto Serena e nel giro di pochi mesi si sarebbero sposati. La parte piú felice della sua vita stava per cominciare; e adesso probabilmente era finita.

– Ehi, tutto bene? – chiese Pellecchia.

– Tutto bene, perché? – La domanda lo sorprese, Pellecchia non era il tipo da notare certe sfumature.

– Non so, sei strano.

– Si vede?

– Si vede, sí.

– Un periodo difficile. Mia moglie è andata via di casa e ogni tanto ci penso –. Prima ancora di finire la frase si stupí di averla detta. Era sempre stato poco incline a confidarsi, con chiunque, e l’ultima persona cui avrebbe pensato di rivelare i suoi problemi era proprio l’appuntato Pellecchia Antonio, detto Tonino. Difficile immaginare due persone piú diverse. Lavoravano insieme da anni e non avevano mai avuto una conversazione che non riguardasse questioni di lavoro.

– Allora succedono anche ai supereroi, queste cose.

– Scusa?

– Lo sai come ti chiamano i ragazzi?

– I ragazzi chi?

– I ragazzi del nucleo.

– Come mi chiamano?

– Mister Perfetto. Qualcuno anche: Mister Mazzainculo. Senza offesa. Non credo ci sia bisogno di spiegazioni.

In effetti non ce n’era bisogno e Fenoglio non disse nulla. Camminarono un poco in silenzio, entrambi con lo sguardo rivolto in avanti.

– Prendiamo un caffè, capo?

– Ma sí, sarà solo il sesto della giornata.

Entrarono in un bar anonimo. Dietro il banco c’era una ragazza magra, con la faccia lunga, un po’ equina, e uno sguardo di tranquilla disperazione. Pellecchia la salutò chiamandola per nome – Liliana – e lei rispose con un cenno infinitesimale del capo.

– Ci mettiamo ai tavolini di dietro. Prendiamo due caffè.

Fenoglio avvertí un inesplicabile sollievo sedendosi in quello spoglio retrobottega. C’erano solo loro e sembrava un posto riparato. Pellecchia accese il mozzicone di sigaro, diede due tiri e lo poggiò sul posacenere per lasciarlo spegnere, come al solito.

– Vi siete separati?

– Non saprei –. E dopo un’esitazione: – Mi ha detto che deve fare chiarezza con sé stessa. Ha aggiunto che si sentiva banale a dire una frase del genere, che si scusava per la banalità, ma che purtroppo era proprio cosí.

– Ha un altro?

– Lei non lo ha detto. Però è possibile.

Liliana arrivò con i due caffè, due pasticcini e due cioccolatini. Pellecchia aspettò che depositasse il tutto e se ne tornasse al bancone.

– Mia moglie mi ha lasciato dieci anni fa. Non è difficile immaginare perché una donna voglia lasciare uno come me. Allora m’incazzai moltissimo, però, anche se mi secca ammetterlo, aveva tutte le ragioni del mondo. Ma perché una donna vuole lasciare uno come te? L’unico motivo, secondo me, è se ha un altro. Scusa la franchezza.

Fenoglio mangiò il dolcetto e il cioccolatino. Pellecchia fece lo stesso. Poi bevvero il caffè. La scena somigliava a un rituale scandito da regole precise, quasi una cerimonia del tè.

– Sei stupito di avermi fatto una confidenza, vero?

Fenoglio ebbe l’impulso di negare – no che non sono stupito, figuriamoci – ma si rese conto che sarebbe stata una mancanza di rispetto.

– Sí.

Pellecchia tirò su col naso. Se è possibile avere espressioni diverse tirando su col naso, be’, l’espressione di Pellecchia era diversa dal solito. Di regola comunicava fastidio, arroganza, noia, strafottenza. Stavolta conteneva una nota di malinconia, parve a Fenoglio.

– Io non ti piaccio, lo so. Del resto neanch’io mi piaccio, da parecchio tempo. Quindi non posso darti torto.

Di nuovo Fenoglio ebbe l’impulso di mentire e lo represse. – Magari neanch’io ti sono mai piaciuto molto.

– Non è del tutto vero. Intendiamoci: mi hai spesso dato ai coglioni, per il motivo di cui sopra. È seccante avere per diretto superiore uno che non la fa mai fuori dal vaso. Però allo stesso tempo… – Pellecchia pareva in imbarazzo. – Insomma, ti ho sempre ammirato senza avere il coraggio di riconoscerlo con me stesso – e per un motivo che forse non ti immagini.

– Cioè?

– C’è una scena di quel film con De Niro, New York, New York… come si chiama lei, l’attrice che canta pure?

– Liza Minnelli.

– Ecco, lei. Comunque Liza Minnelli non c’entra con quello che volevo dire. Quando ero piú giovane uno stronzo mi disse che assomigliavo uguale a De Niro. Siccome ero coglione mi misi a vedere e rivedere tutti i suoi film per controllare quanto gli assomigliavo e sentirmi soddisfatto. Come un coglione appunto.

– Vuoi un’informazione?

– Vai.

– Io mi sento coglione la maggior parte del tempo. In condizioni normali. Non parliamo di un periodo cosí.

– Mezz’ora fa mi sarebbe sembrata una notizia assurda. Ora no. La vita è cazzutamente strana. Comunque in una scena, quando De Niro è già diventato famoso, c’è un tizio che gli chiede un consiglio. Lui gli risponde una cosa tipo: «Ah, vuoi un consiglio? Va bene, stai lontano dalla merda».

Si interruppe. Parve meditare per qualche istante.

– Ho sempre pensato che quello era il miglior consiglio che avessi mai sentito. Stai lontano dalla merda. È quello che avrei voluto fare io, nella vita. Ma non ci sono mai riuscito.

– È difficile, con il nostro lavoro.

– È vero, è difficile. Ci passi troppo vicino. Io mi sono sporcato un sacco di volte, tante che a un certo punto non ho piú avuto voglia di ripulirmi. Non ho piú avuto voglia di pensarci –. Tirò su col naso. Senza rendersene conto Fenoglio tirò su col naso anche lui. – Anche tu passi vicino alla merda, come noi tutti. Ma gli schizzi non ti arrivano mai. Non so come dirla in modo diverso. È come se avessi una specie di superpotere, tipo appunto quei supereroi del cazzo. La cosa mi fa incazzare e l’ammiro. Forse mi fa incazzare perché l’ammiro, o viceversa. Sto facendo casino?

– No, sei molto chiaro.

– Col cazzo, sono chiaro. Va bene, comunque. In tutti questi anni che abbiamo lavorato insieme non ti ho mai visto dare uno schiaffo a una persona ammanettata, non ti ho mai visto scrivere una cazzata in un rapporto e non ho mai visto qualche stronzo di ufficiale o qualche stronzo di giudice metterti i piedi in testa. Sai una cosa che non mi scorderò mai?

– Cosa?

– Fu cinque o sei anni fa. Avevamo portato in caserma un ragazzino che spacciava il fumo a piazza Umberto. Gli stavamo dando un paio di scappellotti per farci dire da chi l’aveva preso. C’era quel coglione di tenente sempre abbronzato e palestrato.

– Me lo ricordo.

– Ci godeva a picchiare la gente. Dopo i due schiaffi lui prese uno strofinaccio e se lo arrotolò sulla mano. Stava per prendere il ragazzino a pugni in faccia. Non è che gliene fregasse un cazzo di niente, si voleva solo divertire un po’. Lo sai che per me dare un po’ di mazzate ai cornuti non è mai stato un problema. Però non per il gusto di farlo, solo se c’è una buona ragione. Tu gli dicesti una frase tipo: «Signor tenente, posso parlarle un minuto?» e usciste insieme dalla stanza. Dopo cinque minuti tu rientrasti e lui se n’era andato. Cosí, semplicemente. Mi fai girare i coglioni, ma sei stato un grande quella volta. Avrei voluto sapere cosa gli hai detto, per toglierlo dalle palle.

Fenoglio si strinse nelle spalle, però non riuscí a trattenere un sorriso. Quel tenente era un vigliacco, minacciarlo di una denuncia per violenza privata e lesioni personali su un arrestato era stato un vero piacere.

Pellecchia proseguí. – Ne ho fatte tante di cui mi vergogno. Fino a un certo punto mi sono giustificato ripetendomi che non c’era un altro modo di fare questo lavoro. Se vuoi incastrare i cornuti devi essere piú cornuto di loro. Mi sono sempre detto che non c’era altra scelta se volevi aiutare un poco questa società di merda. Poi, per molte ragioni, ho avuto la sensazione di avere perso il controllo.

Fenoglio capiva bene. Per tutta la sua vita da carabiniere aveva sentito questi discorsi; si era sentito dire che non c’era altro modo. Le regole sono importanti, ma non si possono rispettare sempre. A volte si possono – a volte si devono – violare per il bene superiore. Per quel bene superiore aveva visto cose che gli facevano schifo, e aveva deciso che quel bene superiore non lo interessava.

– Mi dispiace per tua moglie. Magari ha davvero solo bisogno di chiarirsi le idee, – concluse Pellecchia.

– Può darsi. Adesso andiamo, che Montemurro ci aspetta.