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L’articolo 247 del codice di procedura penale si intitola Casi e forme delle perquisizioni e prevede, all’ultimo comma, che «l’autorità giudiziaria può procedere personalmente ovvero disporre che l’atto sia compiuto da ufficiali di polizia giudiziaria delegati con lo stesso decreto».

L’espressione «autorità giudiziaria» indica tutti insieme quelli che esercitano le funzioni giudiziarie. Non è una persona e dunque non può fare qualcosa personalmente, aveva pensato Fenoglio quando aveva studiato il nuovo codice di procedura. Chi aveva scritto quell’articolo aveva una consapevolezza grammaticale e concettuale piuttosto zoppicante. La norma, scritta male, vuol dire che il procuratore della Repubblica o il giudice – che sono persone fisiche – possono procedere personalmente o possono delegare la polizia giudiziaria.

Di fatto i magistrati non vanno quasi mai a fare personalmente le perquisizioni. Per molte ragioni la prassi è che sia delegata la polizia giudiziaria, il pubblico ministero decide di intervenire in casi rari ed eccezionali. Quando non si fida della polizia giudiziaria, per esempio; oppure, al contrario, quando vuole assumersi la diretta responsabilità di un atto delicato.

La perquisizione da Savicchio, lo sapevano tutti, era un tentativo con scarse possibilità di successo. Era molto difficile che un personaggio come lui tenesse in casa, o in ufficio, materiale compromettente. Andarci di persona, da parte della D’Angelo, significava una cosa precisa: se qualcosa va storto, se non troviamo niente, se l’indagine finisce su un binario morto, come è molto probabile, la responsabile sono io, non i carabinieri che stanno lavorando con me.

La verità delle persone si legge nelle sfumature. Fenoglio pensò che non aveva mai stimato cosí tanto un magistrato.