9.
Attraversò piazza Risorgimento osservando distrattamente la scuola elementare: l’Edificio scolastico Garibaldi. Le due grandi costruzioni agli estremi opposti di via Putignani – la scuola Garibaldi, appunto, con il suo aspetto vagamente coloniale, e il Teatro Petruzzelli – solo qualche anno prima erano stati il set di un kolossal hollywoodiano sulla vita di Toscanini. La protagonista femminile era Elizabeth Taylor, che interpretava la soprano Nadina Bulichoff.
Adesso la scuola e il teatro erano entrambi chiusi e inutilizzabili. La prima per l’usura degli anni, il secondo per l’incendio che l’aveva distrutto.
Fenoglio represse l’impulso a cercare un significato, in questa simmetria. Il problema è sempre lo stesso: cerchiamo significati, anche in cose che non ne hanno alcuno.
Le indagini, del resto, sono proprio un tentativo di mettere ordine, di dare senso. Il rischio però è che il bisogno di razionalità faccia perdere di vista le caratteristiche piú comuni di tanti delitti: l’assenza di senso, la vertiginosa, indecifrabile banalità.
Arrivò sul lato posteriore della scuola, dove comincia via Bovio. C’erano alcuni ragazzini che si rincorrevano. Un gioco innocuo, in apparenza, ma nel quale a Fenoglio parve di percepire una violenza latente, quasi una dimensione ferina.
Pellecchia era già sul posto dell’appuntamento. Il negozio di giocattoli era qualche decina di metri piú in là.
Ambrosini arrivò alle cinque in punto. Era piccolo di statura e incongruamente vestito con giacca e cravatta nonostante fosse luglio; portava occhiali tondi con una montatura leggera. Aveva l’aria di un farmacista di provincia.
– Buongiorno, signor Ambrosini, carabinieri, – disse Fenoglio mostrando il tesserino con un gesto lento. Non ce n’era bisogno. L’uomo aveva visto Pellecchia e l’aveva riconosciuto. I due non si salutarono.
– Buongiorno, maresciallo, è successo qualcosa? – disse l’altro.
– Le dispiace se entriamo?
– No, prego.
– Per piacere richiuda, quando siamo dentro. Per un po’ non dobbiamo essere disturbati.
– Ma devo aprire il negozio...
– Richiuda, per piacere. Dobbiamo fare una perquisizione, non può aprire il negozio.
– Una perquisizione? Perché?
– Entriamo.
– Ma avete l’ordine del giudice?
Fenoglio sorrise senza cordialità.
– Entra, Ambrosini, non ci fare incazzare, – disse Pellecchia e lo spinse da una spalla.
– Stiamo per fare una perquisizione ai sensi dell’articolo 41 del Testo unico di pubblica sicurezza, signor Ambrosini. Sa di cosa si tratta?
– No.
Con tono fin troppo gentile Fenoglio recitò a memoria: – L’articolo 41 del Testo unico di pubblica sicurezza consente agli ufficiali e agli agenti della polizia giudiziaria, che abbiano notizia della esistenza, in qualsiasi locale pubblico o privato o in qualsiasi abitazione, di armi, munizioni o materie esplodenti abusivamente detenute, di procedere immediatamente a perquisizione e sequestro. Anche senza ordine del magistrato.
– Che vuol dire?
– Vuol dire che abbiamo avuto una notizia confidenziale secondo cui qui dentro ci sarebbero diverse armi illegalmente detenute. Ci è parso giusto venire subito a controllare. Come capisce bene non c’era il tempo di chiedere l’autorizzazione del pubblico ministero. Non ha mai subito una perquisizione di questo tipo? – Altro sorriso gelido, mentre Pellecchia calava la saracinesca dall’interno.
– Scusa, Ambrosini, accendi la luce che con questa serranda chiusa non si vede un cazzo, – disse Pellecchia. Ambrosini girò un vecchio interruttore. Il locale si illuminò, mostrando una teoria di scaffali che arrivavano fino al soffitto, traboccanti di scatole di cartone, pupazzi, bambole, fucili di plastica, buste di coriandoli, pacchi di stelle filanti, robot, giochi dell’oca, scherzi di carnevale, pistole ad acqua.
– Ma posso chiamare il mio avvocato? – chiese Ambrosini.
– Allora hai qualcosa da nascondere? Perché vuoi l’avvocato? – disse Pellecchia facendogli una carezza sul viso. Era un gesto terribilmente intimidatorio, molto piú di un ceffone.
– Il signor Ambrosini ha ragione. Se vuole l’avvocato può chiamarlo. Se pensa che sia una buona idea. Pensa che sia una buona idea, signore? Sa, perché noi siamo piuttosto flessibili o molto rigidi, a seconda dei casi. Se viene l’avvocato siamo costretti a non fare brutta figura. Dunque dobbiamo perquisire ogni angolo, con estrema attenzione. Diciamo pure che dobbiamo buttare tutto all’aria fino a quando non troviamo qualcosa. Se non troviamo niente possono sostenere che facciamo perquisizioni arbitrarie, senza l’ordine del giudice e senza che le nostre fonti si dimostrino attendibili. Con gli avvocati dobbiamo sempre stare attenti. Mi segue?
Ambrosini mosse appena la testa, per dire che, sí, seguiva. Pellecchia gli teneva una mano sulla spalla.
– Se lei invece prende questa cosa in modo meno formale, noi non siamo costretti a essere troppo fiscali. Immaginiamo poi che lei abbia qualcosa di interessante da raccontarci. La perquisizione sarebbe, come dire, molto meno invasiva. Magari lei non ha nulla da temere, nessun oggetto illegalmente detenuto e dunque può dirci: fate pure quello che dovete, io non ho problemi. Lo apprezzerei, mi piacciono le persone che non hanno nulla da nascondere. In caso contrario, forse, due chiacchiere in amicizia potrebbero essere una buona idea. Perché se invece troviamo qualcosa di illecito, poi si mette in moto un meccanismo difficile da bloccare. Sequestri, arresti, processi. Lei è incensurato, mi pare.
– Sí.
Pellecchia spostò la mano sul collo di Ambrosini e prese a massaggiarlo.
– Cosa volete sapere? – disse l’uomo.
– Stiamo lavorando sul sequestro del figlio di Grimaldi Nicola.
Ambrosini cominciò a muovere la testa da un lato all’altro, per dire no. Lo schiaffo di Pellecchia stroncò il movimento sul nascere. – Non fare il coglione, Ambrosini. Se ci costringi a cercare, qualcosa la troviamo di sicuro. E se le cose stanno come penso, troviamo qualcosa che ci basta per arrestarti. E se anche non troviamo niente, cosa che scopriremo fra molte ore, da questo momento in poi la tua infelicità diventa un punto all’ordine del giorno, per noi. Sai come hai lavorato tranquillo per tanti anni? Finito. Game over.
Pellecchia gli prese il mento con una mano e lo costrinse a guardarlo negli occhi. – Mi stai seguendo, vero?
– Sí.
– Possiamo sederci da qualche parte, signor Ambrosini? – disse Fenoglio.
– C’è il mio ufficio.
– Bene, andiamo lí, se non le dispiace.
Percorsero un corridoio alto e stretto in fondo al quale c’era la stanza che Ambrosini chiamava ufficio. Anche lí scatoloni, scatole, contenitori di plastica di ogni tipo con soldatini, automobiline, carri armati, animaletti di plastica, scatole di costruzioni, autopiste, trenini. C’erano persino alcune scatole originali di Meccano, il gioco preferito di Fenoglio bambino. Fra i giocattoli c’era una scrivania ingombra di raccoglitori, registri, altri documenti.
– Le hai tre sedie qua, Ambrosini? – chiese Pellecchia.
Dietro la scrivania c’era una poltroncina di finta pelle sbrindellata. Ambrosini si immerse fra le cataste di merce e ne venne fuori con due seggiole pieghevoli.
– Posso fumare? – chiese Pellecchia accendendosi il sigaro.
– Signor Ambrosini, non vogliamo farle perdere tempo e non vogliamo perderne neanche noi. Abbiamo buoni motivi per credere che lei possa aiutarci in qualche modo nell’indagine di cui le ho detto.
L’uomo li guardò.
– Se per caso so qualcosa e ve la dico, poi che succede?
– Mettiamola cosí: se è qualcosa di molto interessante, può darsi che dobbiamo andare via subito a verificarla. Il che significa che non abbiamo il tempo di perquisire e non abbiamo il tempo di verbalizzare, e insomma è come se non ci fossimo nemmeno visti.
– E se dico delle cose che ho fatto io?
– Allora sei scemo, Ambrosini. Mi fai fare brutta figura con il maresciallo, gli avevo detto che sei uno intelligente, uno che capisce. Invece fai domande del cazzo, – disse Pellecchia.
– Ci racconti, – intervenne Fenoglio. – Troveremo il modo di utilizzare le sue informazioni senza coinvolgerla. Lo so che in passato ha visto l’appuntato Pellecchia con il Savicchio. L’appuntato è a pieno titolo parte di questa indagine, non deve preoccuparsi di nulla.
L’altro parve elaborare per qualche secondo. Poi disse solo: va bene.
– Prima di tutto ci parli di Savicchio, dei vostri rapporti.
– Ci conosciamo da tanti anni. Spesso mi portava merce da comprare.
– Che tipo di merce?
– Faceva parte di un gruppo di carabinieri e poliziotti che rubavano sulle spaccate ai negozi.
– Si spieghi meglio.
– Immaginate che c’era una spaccata di notte a un negozio. Abbigliamento o cose di elettronica o qualche volta anche gioiellerie. Venivano chiamati il 113 o il 112, arrivava la pattuglia sul posto e trovava la saracinesca scardinata. Si riempivano le macchine di merce prima che arrivasse il proprietario del negozio e risultava che il furto l’avevano fatto tutto quelli della spaccata.
– Quindi questo succedeva quando Savicchio faceva servizio in divisa al radiomobile?
– Sí, parecchi anni fa. Ma ha continuato a portare la merce anche dopo che è passato a fare servizio in borghese.
– La vendeva solo a lei?
– Credo di sí, ma non ne sono sicuro.
– Quanti carabinieri e quanti poliziotti erano coinvolti?
– Non lo so. Diversi, credo. Lui parlava di un gruppo, che erano tutti d’accordo. Non ha mai fatto nomi. Però diceva che loro erano i padroni della città e che lui era intoccabile.
– Lo ha mai visto con altri? A parte l’appuntato qui presente.
– Uno ha cominciato a venire con lui un paio di anni fa.
– Sa come si chiama?
– Ruotolo, Antonio. È un carabiniere anche lui.
Fenoglio guardò Pellecchia che annuí serrando le labbra. Lo conosceva.
– Va bene, proseguiamo. Si ricorda la prima volta che è venuto con questo Ruotolo?
– Dovevo fare una consegna di gioielli a Perugia. Arrivavano da un grosso furto in una villa di Trani.
– Perché a Perugia?
– Perché lí c’è un gioielliere che compra queste cose molto preziose senza troppi problemi e a prezzi giusti.
– Quanto valeva la merce?
– Quello di Perugia pagò cinquecento milioni. Per un trasporto di questo genere serviva una scorta. Cosí la chiesi a Savicchio.
– In passato aveva già fatto servizi del genere?
– Sí.
– Perché proprio un carabiniere?
– La scorta di un carabiniere o di un poliziotto serve soprattutto per evitare il rischio di controlli. Poi anche per prevenire eventuali rapine. Quella volta arrivò con l’altro. Me lo presentò come un collega, un socio e un vero amico. Disse proprio cosí.
– Avete fatto il trasporto ed è andato tutto bene, immagino. Quanto li ha pagati?
– Di solito la tariffa era venti milioni. In questo caso lui ha detto che erano in due perciò voleva di piú. Alla fine ci siamo accordati per venticinque, che ho dato per intero a lui. Non so come hanno diviso, ma non credo a metà.
– E dopo quell’occasione?
– Ci siamo rivisti molte volte. L’altro era simpatico, un bravo ragazzo. Nel viaggio per Perugia e ritorno diventammo quasi amici. A volte mi veniva a trovare cosí, senza un motivo preciso. Prendevamo il caffè, chiacchieravamo. Aveva sempre bisogno di soldi.
– Perché?
– Era separato, forse proprio divorziato, pagava parecchi soldi all’ex moglie. E stava con una ragazza, un’indossatrice o una modella. Una troia che gli costava tanto.
– Come si chiama questa ragazza?
– So solo il nome: Marina. Mi ha fatto vedere delle foto. Bella davvero.
– Ruotolo le parlava di quello che facevano insieme, lui e Savicchio?
– No. Lui parlava piú che altro di Savicchio. Diceva che era geniale, ma che era anche pazzo, capace di tutto. Tutte cose che io sapevo già.
– A parte questi incontri, queste chiacchierate, avete fatto altri affari?
– Mi hanno fatto insieme la scorta altre volte.
Fenoglio fu sul punto di chiedere ulteriori informazioni su quei servizi di scorta. Poi si disse che non erano lí per quello, che doveva concentrarsi sull’obiettivo.
– Si può dire che fra i due Savicchio sia il capo?
– Senza dubbio. Ruotolo è un ragazzo atletico, campione di arti marziali, uno che mena. Ma il capo è Savicchio.
– Va bene, Ambrosini. Andiamo al dunque. Sai qualcosa che possa collegarli al sequestro del ragazzino? – disse Pellecchia, dopo aver spento il mozzicone sul pavimento.
Ambrosini chiuse gli occhi e con due dita si massaggiò la radice del naso spostando gli occhiali.
– Un giorno che erano passati di qua saltò fuori questo discorso dei sequestri lampo. Savicchio diceva che l’idea geniale era di sequestrare la moglie o il figlio di qualche pregiudicato pieno di soldi. Gente che poteva pagare subito e che non avrebbe mai denunciato perché non poteva giustificare alla Legge di avere tanto denaro. Disse che dovevamo organizzarci per farli noi.
– Noi chi?
– Secondo lui dovevamo essere loro due e io. Io dovevo individuare le persone da sequestrare. Magari persone con cui avevo fatto affari e che disponevano di grosse somme in contanti. Loro avrebbero pensato al resto. A me l’idea non piaceva, per varie ragioni, ma non entrai in dettaglio. Risposi solo che per me era troppo pericoloso e che non ne valeva la pena.
– E loro?
– Ruotolo è rimasto zitto. Quando c’era l’altro non parlava quasi mai. Savicchio ha insistito. Ha detto che se c’era di mezzo lui eravamo intoccabili. Già in passato se l’era cavata in situazioni pazzesche, uscendone pulito come un neonato dopo il bagno.
– Ha detto cosí?
– Proprio cosí. Io però gli ho ripetuto che non mi interessava. Era una buona idea, di sicuro l’avrebbero realizzata nel modo migliore, veloce e pulito, ma preferivo tenermi fuori.
– Le risulta che poi abbiano messo in atto?
– Sí. Mesi dopo ci siamo visti e Savicchio si è vantato che avevano già fatto due colpi.
– Ha fatto i nomi dei sequestrati?
– No.
– Questo incontro si è svolto prima del sequestro del bambino, vero?
– Sí, parecchi mesi prima.
– Li ha visti dopo il sequestro del piccolo Grimaldi?
– No –. Si prese qualche secondo, come uno slancio per dire la cosa piú importante. – Ma io credo che siano stati loro.
– Perché?
– Per due anni sono venuti da me almeno due o tre volte al mese. L’ultima è stata una decina di giorni prima che si sapesse del ragazzino. Poi, niente piú. Io al caso non ci credo. Lei ci crede al caso, maresciallo?
– Al caso? Non lo so. Non vi siete nemmeno sentiti per telefono?
– No. Qualche settimana dopo, quando ho pensato che forse potevo avere bisogno di loro, mi sono reso conto che non li vedevo e non li sentivo da parecchio. In quel momento ho immaginato che forse c’entravano con la storia del bambino. Non è stato un ragionamento, mi è venuto in testa, cosí. E non li ho piú chiamati.
– Perché?
– Se erano stati loro non volevo che mi dicessero nulla di quella storia. Di certe cose, meno ne sai, meglio è.
Fenoglio si alzò in piedi, mosse qualche passo, misurando la stanza, fra la scrivania e gli scatoloni.
– E non li ha mai rivisti?
– Ho incontrato Ruotolo, qualche giorno fa. Per caso.
– Vi siete parlati?
– Mi ha detto che non era stato bene e che aveva preso dei giorni di malattia. In effetti sembrava malato, era dimagrito, aveva le occhiaie.
– Ti ha raccontato qualcosa? – chiese Pellecchia, un tono di urgenza nella voce.
– No.
– Gli hai chiesto di Savicchio?
– No, ma è stato lui a dirmi che non si vedevano da un po’.
Rimasero in silenzio per un paio di minuti. Immobili come in un quadro. Ambrosini dietro la scrivania, Pellecchia dall’altro lato, Fenoglio in piedi, vicino a una torre di scatoloni.
– Secondo lei come potremmo convincere Ruotolo a collaborare?
– Non lo so. Sembra uno zombie, forse ha bisogno di liberarsi. Se provate a pressarlo…
– Per liberarsi dovrebbe confessare cose per cui perde il posto e va in galera. Se ci pensa su preferisce tenersi il senso di colpa ma anche il lavoro e lo stipendio, – disse Pellecchia.
Ambrosini si strinse nelle spalle. In fondo non era un suo problema, come far parlare Ruotolo.
– Certo se tu accettassi di metterti addosso un microfono e fare due chiacchiere con Ruotolo… – cominciò a dire Pellecchia, ma l’altro lo interruppe.
– Non mi potete chiedere questo. Lo saprebbero tutti, passerei per un infame e avrei finito di lavorare in questa città. Anzi, avrei finito di vivere in questa città. Avevate promesso…
– Va bene, va bene, ha ragione. Lasciamo perdere il microfono. Se provassimo con un’ambientale? – aggiunse Fenoglio.
– Che vuol dire?
– Un’intercettazione ambientale. Piazziamo una microspia in un posto in cui voi due vi incontrate. Lo facciamo con un provvedimento del giudice. Il risultato è uguale, ma nessuno potrebbe dire che lei ha collaborato.
– Maresciallo, mi scusi, ma non ci prendiamo in giro. Se c’è la microspia e io mi metto a fargli domande strane su quello che ha fatto e non ha fatto – ammesso che mi risponda – tutti capiscono che ero d’accordo con voi, quando leggono gli atti. Senza contare che se cominciamo a parlare di reati andiamo a finire di certo su qualcosa che abbiamo fatto insieme. E a quel punto, correggetemi se sbaglio, sono cose che stanno in un verbale che arriva al giudice, e le vostre promesse di tenermi fuori vanno a farsi benedire.
Fenoglio sospirò. – Non sbaglia.
– Maresciallo, ho fatto quello che mi avete chiesto. Ho detto tutto quello che sapevo. Lei forse pensa che sia stato per paura della perquisizione. Non è cosí, potete perquisire tutto il tempo che volete, qua trovate solo giocattoli. Era parecchio che questa storia mi girava nella testa, che pensavo di parlarne con qualcuno. E oggi siete arrivati voi. Nemmeno questo è un caso. Ci pensi a come è stato facile convincermi, a parte quel po’ di scena che ho fatto. Vi volevo aiutare, e vi ho aiutato, ma non chiedetemi cose che mi metterebbero nella merda.
– Ha ragione, – disse Fenoglio, scambiando uno sguardo con Pellecchia.
– Provate a fare come vi ho suggerito. Provate a pressare Ruotolo. Secondo me è possibile che ceda.
Il ricettatore usava i congiuntivi in modo impeccabile.
– Che studi ha fatto, Ambrosini?
– Perché me lo chiede?
– Parla un italiano molto corretto…
– Per un ricettatore?
Fenoglio scosse il capo, però era chiaro che intendeva proprio quello.
– Ho il diploma da ragioniere, la mia scuola era vicino alla vostra caserma.
– Il Vivante?
– Sí. Poi ho studiato Giurisprudenza. Ho dato quattordici esami fra cui diritto penale. Me ne mancavano sette. Mi sarebbe piaciuto fare il magistrato. Poi mi sono messo a lavorare. Se lavori e guadagni è difficile mantenere la concentrazione per lo studio.
Fenoglio e Pellecchia lo scrutarono alla ricerca di qualche segno di ironia. Non ne trovarono. Ambrosini era serio. Si limitò ad aggiungere che spesso nella vita non fai quello che avresti desiderato. E che comunque ciò che desideri non è per forza quello che saresti adatto a fare.
Il che, inutile dirlo, è vero.