13.

La parte peggiore non è vedere i cadaveri. È brutto, a volte è molto brutto, ma non è la parte peggiore. La parte peggiore è portare la notizia ai parenti delle vittime. Soprattutto se le vittime sono bambini o ragazzi e se i parenti cui devi dare la notizia sono la madre e il padre.

Non ci sono cose piú inaccettabili di un figlio che muore prima dei genitori. Quando succede, ogni parvenza di senso nel mondo crolla come il piú classico dei castelli di carte. La morte di un figlio spalanca un abisso di dolore e pazzia di cui è impossibile vedere il fondo. Fenoglio non conosceva nessuno che si fosse davvero ripreso da quell’esperienza.

Dare questa notizia ti mette in contatto con l’abisso. Eppure ti tocca, anche perché hai visto in che modo lo fanno gli altri e pensi che quei genitori, chiunque essi siano, si meritano qualcosa di piú di frasi come: «In data odierna purtroppo abbiamo rinvenuto il corpo senza vita di suo figlio minore…» eccetera.

Rimase qualche secondo con il dito sospeso davanti al citofono. Abbassò la mano e si guardò intorno. Il grande caseggiato comunicava desolazione e pericolo. Non c’erano colori, solo tonalità del grigio. I muri erano scrostati, i pilastri in alcuni punti mostravano l’armatura di ferro. Alzando lo sguardo si vedevano inferriate alle finestre e verande abusive in anticorodal. Alcuni bambini stavano giocando a pallone sotto il triste porticato.

– Aspettami qua sotto, – disse al giovane carabiniere appena arrivato al nucleo, e di cui non ricordava il nome, che lo aveva accompagnato. Pigiò il pulsante. Una voce di donna, rauca, carica di accento e di violenza, rispose dopo una trentina di secondi.

– Chi è?

– Carabinieri, aprite per piacere.

– Che volete?

– Lei è la signora Grimaldi?

– Sono la madre.

– Sono il maresciallo Fenoglio, ho bisogno di parlare con sua figlia, ci hanno detto che è su da lei. Mi apra per piacere.

Passò qualche secondo, poi il portone si aprí con un ronzio e uno scatto, come di qualcosa che si spezza. L’interno del palazzo era triste quanto l’esterno, denso di odori sgradevoli e compatti. Dal cibo alla varechina a qualche disinfettante o insetticida all’umido dei muri che parevano di scadente cartone e non sarebbero durati a lungo.

La suocera di Grimaldi abitava al terzo piano. La porta di casa, diversa dalle altre, era bianca, con vistose maniglie di ottone dorato. Aveva un che di incongruo, funebre, quasi osceno. Si aprí prima che Fenoglio suonasse il campanello. Comparvero due donne: erano madre e figlia, ma parevano sorelle, e non perché l’anziana sembrasse giovane. La moglie di Grimaldi aveva forse trentacinque anni eppure ne dimostrava almeno quindici di piú. La pelle del viso era grigia, secca e senza tono. Aveva occhiaie profonde e lugubri.

– L’avete trovato?

– Posso entrare?

Quelle si scostarono malvolentieri, aprirono un po’ di piú la porta e lo fecero passare. L’interno pareva l’incubo di un arredatore pazzo. Poltrone, sedie e divani in finto Versailles; lampadari finto Murano; un tavolo con mosaico. Un leopardo di ceramica; un David di Michelangelo in alabastro. Un enorme televisore nero; un quadro con una scena di caccia alla volpe. C’era odore di deodorante dozzinale e di cera per i pavimenti.

– Dov’è suo marito, signora?

– Non lo so. Che è successo?

Fenoglio si prese qualche secondo per raccogliere le forze. – Purtroppo ho una cattiva notizia. Non vuole sedersi?

L’altra rimase in piedi, accanto alla madre che aveva la faccia immobile di una maschera funeraria. – È morto?

Fenoglio pensò a quella donna quando aveva tenuto in braccio il bambino appena nato. Doveva essere felice, allora. Normalmente felice, e ignara. Come puoi pensare, in quei momenti, che qualcuno un giorno verrà ad annunciarti che il tuo bambino è morto ammazzato; che è stato ritrovato in un pozzo, mezzo divorato dai topi; offeso, senza dignità come tutti i morti ammazzati. Come puoi pensarlo?

– Sí, signora. Purtroppo sí. Mi dispiace molto…

– Dove sta?

Fenoglio ebbe l’impressione che gli mancasse il respiro, come capita in certe asfissie notturne. – Lo abbiamo portato all’istituto di medicina legale.

– Lo devo venire a vedere. Devo venire subito.

– Prima parli con suo marito, signora. Purtroppo il bambino… insomma, è stato in campagna per qualche giorno…

Voleva dirle che il povero corpo all’obitorio aveva poco a che fare con il suo bambino; voleva dirle che era meglio non lo vedesse, che era meglio conservare il ricordo della sua faccia da vivo, piuttosto che inchiodarsi nella memoria quei lineamenti sfigurati e terribili. Voleva dirle queste cose, ma in breve si rese conto che la donna aveva smesso di ascoltarlo e anche di guardarlo. Non esisteva piú niente, tranne il suo dolore.

– Lo devo venire a vedere. Subito. Subito, – ripeté, tremando, poi la sua bocca si contorse in una smorfia e la sua voce si trasformò in un singhiozzo d’animale.