14.
Fra la domenica 17 e il lunedí 18 accaddero molte cose.
Nel pomeriggio Grimaldi Nicola, alias il Biondo, alias Tre Cilindri fu convocato in caserma, gli furono fatte le condoglianze e fu sentito a verbale. Negò di avere pagato un riscatto; negò di avere ricevuto richieste; negò di avere sospetti su chi potesse aver rapito e ucciso suo figlio. Al momento di andare via, dopo essersi rifiutato di firmare il verbale, sussurrò soltanto che gli avrebbe mangiato il cuore. Nessuno gli domandò a chi si riferisse. Tutti sapevano che parlava di Lopez Vito.
La mattina dopo ci fu l’autopsia. Il medico legale anticipò le conclusioni che avrebbe scritto nella sua relazione. Il bambino aveva segni di legacci ai polsi e lesioni sul capo. Qualcuno lo aveva picchiato, ma la morte non dipendeva dalle percosse. L’esame autoptico aveva mostrato l’esistenza di un difetto congenito del setto interatriale. In sostanza: un vizio cardiaco che a volte viene diagnosticato solo in età adulta e che può essere attivato da condizioni di stress. La conseguenza di questa attivazione è l’ipossia – il debito di ossigeno – e il possibile arresto cardiocircolatorio. Le percosse, il forte spavento, la costrizione fisica – aveva detto il medico legale – erano tutte possibili premesse della crisi cardiocircolatoria e della morte.
A specifica domanda il medico aveva precisato che l’autopsia non aveva evidenziato alcuna traccia di violenza sessuale.
Nel pomeriggio qualcuno diede fuoco alla villetta abusiva di Losurdo Pasquale, uno dei fratelli di Losurdo Simone, probabile vittima di lupara bianca. Qualcun altro devastò – distruggendo i mobili e scardinando gli infissi – le case di Lopez Vito e di Losurdo Antonio, anche lui fratello di Losurdo Simone. Tutte e tre le abitazioni erano vuote. L’ipotesi investigativa, suffragata da indicazioni confidenziali, era che i due Losurdo, Antonio e Pasquale, si fossero allontanati da Bari unendosi a Lopez per fare guerra al gruppo Grimaldi e vendicare il fratello Simone. Le fonti indicavano infatti Grimaldi Nicola come responsabile dell’uccisione di Losurdo Simone e del conseguente occultamento del suo cadavere.
Sempre nel pomeriggio arrivò una segnalazione dal nucleo operativo di Pescara, dove era stata rubata l’auto utilizzata nel conflitto a fuoco di Enziteto. Secondo i carabinieri abruzzesi, Lopez aveva trascorso a Pescara le ultime due settimane, ospite di pregiudicati locali. Al momento, però, a quanto pareva, si era allontanato da quel centro e aveva fatto perdere le sue tracce.
La sensazione era che fatti ancora piú gravi fossero imminenti. L’opinione unanime, fra investigatori e criminali, era che Lopez e i suoi amici fossero i responsabili del sequestro e della morte del piccolo Grimaldi.
Il padre del bambino non si sarebbe certo fermato alla distruzione di qualche armadio o all’incendio di una villetta abusiva.
Fenoglio stava richiudendo i fascicoli e si preparava a tornare a casa.
Pellecchia entrò senza bussare, con un’espressione eccitata e inusuale per lui.
– Mi dispiace, non te ne puoi andare, capo.
– Perché?
– Lopez.
– L’hanno ammazzato?
– No. È in un bar qui vicino, quello all’angolo di via Dalmazia con via Gorizia. Ha chiamato tramite centralino, ha chiesto se c’era De Paola.
– L’appuntato?
– Sí, ha chiesto di lui, si conoscono –. Si accorse dello sguardo perplesso di Fenoglio: – De Paola lo ha arrestato una volta, tanti anni fa. Dice che lo aveva trattato bene e da allora hanno mantenuto un rapporto. Penso che qualche volta gli abbia anche fatto delle confidenze. Comunque il collega, per fortuna, era in caserma e ha preso la chiamata.
– Cosa vuole da De Paola?
– Non lo sappiamo. Ha detto solo che ha bisogno di vederlo con urgenza. Gli ha chiesto di raggiungerlo in quel bar, senza dire niente a nessuno.
Fenoglio sentí distintamente il battito cardiaco che accelerava. La svolta che stava aspettando forse era arrivata.
– Vuole collaborare.
– Credo anch’io. Che dico a De Paola?
– Di muoversi fra dieci minuti. Il tempo di avvertire il capitano e di andare ad appostarci lí attorno.