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In data 22 maggio 1992 in Bari alle ore 9.30, negli uffici del Reparto Operativo dei Carabinieri, dinanzi al Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore della Repubblica dottoressa Gemma D’Angelo, assistita per la redazione del presente atto dal brigadiere Ignazio Calcaterra ed altresí alla presenza per esigenze investigative del capitano Alberto Valente, del maresciallo maggiore Pietro Fenoglio e dell’appuntato Antonio Pellecchia, tutti in forza al Nucleo Operativo presso il Reparto Operativo dei Carabinieri di Bari è comparso Lopez Vito, già in altri atti generalizzato. È presente il difensore di fiducia avvocato Marianna Formica.

DOMANDA Alla fine del precedente verbale lei ha fatto cenno al deterioramento dei rapporti con il Grimaldi. Ci racconti nel dettaglio.

RISPOSTA Come le avevo detto, ero diventato il braccio destro di Grimaldi. Lui si fidava solo di me, anche perché nel tempo c’erano stati vari problemi interni al gruppo: qualcuno era stato ucciso, qualcuno era stato arrestato; Grimaldi temeva che qualcun altro potesse essere un confidente della polizia e insomma che la sua posizione di comando fosse minacciata. Piú il tempo passava, piú diventava paranoico.

DOMANDA Chi erano i membri del gruppo che Grimaldi temeva fossero confidenti di polizia?

RISPOSTA Diciamo che la sua era una preoccupazione, senza un effettivo fondamento, nei confronti di diversi soggetti. In realtà io credo che lui perdesse fiducia in taluni e poi, proprio per questo, ipotizzasse (spesso, ripeto, in modo infondato) tradimenti e delazioni. Per spiegarmi: Grimaldi era ossessionato da quelli di Japigia. Aveva un atteggiamento competitivo verso il loro capo Savino Parisi. Si considerava superiore a lui e soffriva molto del fatto che invece, sui giornali e nell’opinione degli investigatori, questi fosse considerato piú importante. Se veniva a sapere, o anche solo sospettava, che qualcuno dei suoi aveva contatti con gente del gruppo di Parisi, pensava subito a un complotto per spodestarlo.

DOMANDA Era un’idea fondata?

RISPOSTA Per quanto ne so io Parisi non aveva nessun interesse a estendere la sua influenza su una zona cosí lontana dal quartiere nel quale tuttora è il signore incontrastato e dove, come credo lei sappia, vanno a rifornirsi di droga da tutta la regione e anche da fuori, per via dei prezzi convenienti. Inoltre, in molti casi, Grimaldi si immaginava soltanto questi rapporti, che erano perlopiú inesistenti. Capitava che qualcuno avesse conoscenza o amicizia con gente di Parisi ma, per quanto ne so io, senza nessuna condivisione di attività criminali.

DOMANDA E per quanto riguarda l’idea che ci fossero confidenti?

RISPOSTA Questa aveva maggior fondamento, anche se Grimaldi la ingigantiva. Era ossessionato dall’idea di omertà, non solo come strumento pratico per non venire colpiti da iniziative delle forze dell’ordine, ma anche come fatto simbolico. Non è facile da spiegare ma – questo l’ho capito col tempo – Grimaldi aveva e ha manie di grandezza, gli piace pensare che la sua associazione sia importante e rispettata come le grandi associazioni mafiose siciliane, calabresi o napoletane. Devo dire che nemmeno nel periodo della mia maggiore esaltazione criminale ho mai creduto che le cose stessero cosí. La nostra era poco piú che un’organizzazione di quartiere, anche se ci piaceva molto parlare di omertà, onore e affiliazioni. Comunque Grimaldi, per via dell’ossessione di cui dicevo, pretendeva di esercitare un controllo rigidissimo sugli appartenenti. Nei giorni scorsi le ho parlato della vicenda di ’u Rizz’, che è stata una delle prime manifestazioni di questa mania.

DOMANDA Chi altro forniva informazioni alle forze dell’ordine, secondo Grimaldi?

RISPOSTA Si era fissato su due ragazzi: D’Agostino Gaetano detto il Corto e Losurdo Simone detto la Zamban’, la Zanzara. Un pomeriggio, nel mese di marzo, mi fece andare da lui e mi disse che bisognava ammazzare quei due. Disse, per la precisione, che bisognava ammazzarli e farli sparire, perché a quei due infamoni nemmeno avrebbero dovuto piangerli al cimitero le loro mamme.

DOMANDA Lei cosa rispose?

RISPOSTA Gli chiesi perché, anche se già sapevo delle voci che circolavano su D’Agostino. Lui ripeté che erano due infamoni pezzi di merda, che parlavano con gli sbirri e che bisognava eliminarli anche per dare un segnale. Fra l’altro, aggiunse, secondo lui facevano delle estorsioni senza chiedere l’autorizzazione.

DOMANDA A chi avrebbero dovuto chiedere l’autorizzazione?

RISPOSTA A Grimaldi. O perlomeno avrebbero dovuto dirlo a me o a un altro luogotenente di Grimaldi, cioè a Capocchiani o a Pastore Vito, e poi aspettare che, dopo aver parlato con Grimaldi, dessimo loro il via libera. Devo dire però che la questione delle estorsioni era una congettura di Grimaldi e quando gli chiesi di chiarirmi come fosse giunto a questa ipotesi mi rispose che lo sapeva e basta. Era piuttosto alterato, cosa che gli succedeva sempre piú di frequente. Io gli dissi che D’Agostino potevamo ammazzarlo, anche se la moltiplicazione degli omicidi avrebbe prodotto un aumento di forze dell’ordine sul territorio e complicato i nostri affari. Ma su Losurdo non c’era nulla, e mi sembrava assurdo ucciderlo solo sulla base di una congettura. Devo precisare poi che con Losurdo avevo un rapporto personale che mi induceva a difenderlo.

DOMANDA A cosa si riferisce?

RISPOSTA Con Losurdo condividevamo la passione per i cani. Lui aveva una coppia di pastori tedeschi. Quando ebbero i cuccioli me ne regalò uno e avevamo preso l’abitudine di portare i nostri cani insieme in campagna per farli correre e addestrarli. Spesso, quando io dovevo assentarmi, magari per qualche giorno, Losurdo passava da casa mia, si prendeva il cane e lo portava fuori con i suoi. Anche per questo motivo si può dire che Losurdo e io fossimo amici e, insomma, io tenevo a lui molto piú che a quasi tutti gli altri appartenenti al gruppo.

DOMANDA Come reagí Grimaldi quando lei disse che non era giusto ammazzare Losurdo?

RISPOSTA Disse: va bene, per ora ammazziamo a quel pezzo di merda di D’Agostino. Poi vediamo se esce qualcosa sulla Zanzara.

DOMANDA Quanto tempo dopo questo dialogo fu commesso l’omicidio di D’Agostino?

RISPOSTA Un paio di settimane dopo.

DOMANDA Chi se ne è occupato?

RISPOSTA Gli esecutori materiali sono stati Abbinante Mario, detto Mariolino, e Lacoppola Cosimo, detto Mino La Neve, per via della forfora. Hanno eseguito l’azione sparando a D’Agostino mentre andava in questura a firmare per la sorveglianza speciale. Sono arrivati sul posto a bordo di una moto enduro e hanno usato un revolver. A sparare è stato Mariolino. Mino La Neve guidava la moto e aveva con sé un’altra pistola, credo una 7.65 che però non è stata usata e infatti credo che sul posto dell’omicidio non siano stati trovati bossoli. Queste cose me le ha tutte riferite Grimaldi, poco dopo la commissione del fatto e dopo che i due esecutori gli avevano raccontato tutto.

DOMANDA Premesso che torneremo piú avanti e con piú dettagli su questo episodio, ci racconti adesso della scomparsa di Losurdo Simone.

RISPOSTA Accadde quando io ero partito per Milano dove dovevo fare un carico di cocaina il cui acquisto avevamo trattato con i cerignolani – quelli di cui ho già parlato – che avevano contatti diretti con la Colombia.

DOMANDA Era normale che fosse lei a fare i trasporti di droga?

RISPOSTA Grimaldi mandava me quando erano carichi importanti. In questo caso bisognava ritirare cinque chili di cocaina, perciò non mi insospettii. Ero in macchina, forse all’altezza di Ancona, quando mi chiamò mia moglie dicendomi che le aveva telefonato la moglie di Losurdo. Era preoccupata perché la sera precedente il marito non si era ritirato. Questo a volte capitava ma, come quasi tutti noi, Losurdo avvertiva se doveva assentarsi. La moglie era preoccupatissima perché non era rientrato nemmeno la mattina dopo e il suo telefono cellulare risultava irraggiungibile.

DOMANDA Lei cosa fece allora?

RISPOSTA Chiesi se avessero controllato presso la piccola casa colonica che Losurdo aveva nella campagna fra Molfetta e Bisceglie, dove teneva i cani e che usavamo come deposito di merci provento di furto. Per esempio una volta nascondemmo lí una partita di moduli per carta di identità, rubati al poligrafico di Foggia; un’altra volta il contenuto di numerose cassette di sicurezza provento di un furto in grande stile nel caveau della Bnl di Reggio Calabria.

DOMANDA E sua moglie?

RISPOSTA Mi richiamò un’ora dopo e mi disse che erano andate assieme a controllare in quella casa. Losurdo non c’era, ma la cosa piú preoccupante era che non c’erano nemmeno i cani.

DOMANDA Questo che significava?

RISPOSTA Losurdo poteva essersi allontanato senza avvertire perché aveva qualcosa da fare, o magari per una storia di donne. In sé la sua sparizione era inusuale, ma non inspiegabile e non necessariamente allarmante. Talvolta, di rado, era accaduto. Se però non c’erano nemmeno i cani diventava molto piú difficile ipotizzare che Losurdo si fosse allontanato per un’esigenza improvvisa. Non poteva averlo fatto portandosi via i cani.

DOMANDA E lei a quel punto?

RISPOSTA Mi preoccupai moltissimo. Cosí chiamai Grimaldi. Non mi rispose subito, e quando lo fece gli chiesi con tono alterato cosa stesse accadendo. Lui aveva una voce stranamente eccitata, tant’è che pensai che fosse sotto l’effetto della cocaina. Mi disse di non preoccuparmi, di fare quello per cui ero partito e che al mio rientro mi avrebbe spiegato tutto.

DOMANDA Lei cosa gli rispose?

RISPOSTA Mi arrabbiai e gli dissi di nuovo che volevo sapere cosa era successo e che se non mi avesse risposto avrei invertito la marcia. Grimaldi disse che era tutto a posto, che non era una buona idea parlare al telefono – non ci era ancora chiaro se e come i cellulari potessero essere intercettati – e ripeté che quando fossi tornato mi avrebbe spiegato tutto.

DOMANDA Lei che cosa fece?

RISPOSTA Ero tentato dal tornare indietro, ma ormai avevamo superato Bologna. Cosí decisi di accelerare l’operazione di prelievo dello stupefacente e di ritornare viaggiando anche di notte.

DOMANDA Qualcuno la stava accompagnando in questa missione?

RISPOSTA Sí, con me c’era Demattia Marino, ragazzo di cui ero il padrino avendolo affiliato come camorrista e avendolo poi elevato al grado di sgarrista.

DOMANDA Questo Demattia rispondeva dunque a lei e non a Grimaldi?

RISPOSTA Non esattamente. Io ero il suo padrino e suo superiore, e dunque rispondeva a me, ma essendo Grimaldi il capo era ovvio che rispondesse anche a lui. Insomma, se Grimaldi gli dava un ordine lui doveva eseguire.

DOMANDA E se lei non fosse stato d’accordo avrebbe potuto vietare a Demattia – o a qualunque altro suo figlioccio – di obbedire a Grimaldi?

RISPOSTA No, Grimaldi era il capo di tutti, anche il mio. Naturalmente col tempo io mi ero guadagnato una posizione di rilevo nel gruppo e si può dire che fossi il vice effettivo anche se vi erano altri con il mio grado, cioè la Santa. Avevo dunque titolo per discutere le scelte e potevo sollevare obiezioni su quello che pensava di fare. Se però il contrasto permaneva, l’ultima parola spettava a lui.

DOMANDA Una cosa che ho dimenticato di chiederle: che grado ha Grimaldi?

RISPOSTA Grimaldi ha la quinta, cioè il Vangelo. Per quanto mi risulta, in tutta la Puglia hanno sicuramente un grado piú alto, cioè la sesta o addirittura la settima, solo Giosuè Rizzi e Pino Rogoli di cui le ho già fatto cenno. Probabile che ci sia qualcun altro, e comunque io non conosco la situazione del Salento. Devo aggiungere poi che esiste una sorta di regime di segretezza sui gradi piú elevati che sono noti solo ai parigrado. Quello che noi sapevamo era che Grimaldi era inferiore, come grado, solo ai capi supremi e ai calabresi dai quali costoro avevano tratto la loro legittimazione.

DOMANDA In quanti hanno la Santa come lei, nella Società Nostra?

RISPOSTA Eravamo in quattro: Pastore Vito, Capocchiani Michele, Maselli Nicola, che però da tempo si era spostato nelle vicinanze di Torino, e io.

DOMANDA Torniamo al viaggio per l’acquisto della droga dai cerignolani di Milano.

RISPOSTA Arrivai a Rozzano. Una staffetta mi aspettava a un distributore di benzina all’ingresso del paese e mi condusse in una zona di periferia che non credo di saper ritrovare. Lo scambio avvenne nel garage di un condominio molto grande con i portici. La stessa staffetta ci riaccompagnò fuori dal paese e noi ci rimettemmo subito alla guida per tornare a Bari.

DOMANDA Che ora era?

RISPOSTA Era tardo pomeriggio. Guidammo, dandoci il cambio, per tutta la notte e arrivammo a Bari di mattina.

DOMANDA Durante il viaggio di ritorno ebbe contatti con qualcuno? Sua moglie, il Grimaldi, la moglie del Losurdo o qualche appartenente all’associazione?

RISPOSTA Parlai con mia moglie: mi confermò che non c’erano tracce del Losurdo. Mi chiese anche se la moglie di Losurdo doveva fare la denuncia di scomparsa. Io le dissi di aspettare il mio ritorno. Quando arrivai, per prima cosa andai a nascondere lo stupefacente ritirato a Rozzano. Preciso che effettuai questa operazione dopo aver lasciato a casa sua il Demattia.

DOMANDA Perché?

RISPOSTA Perché avevo deciso di nascondere la cocaina in un posto segreto, noto solo a me. Temevo – e i miei timori si sarebbero rivelati fondati – che la situazione potesse precipitare. Non volevo consegnare a Grimaldi la sostanza che invece avrebbe potuto finanziare un possibile conflitto.

DOMANDA Dunque in quel momento lei aveva già deciso di scatenare una guerra contro il Grimaldi?

RISPOSTA Non esattamente. Volevo affrontarlo, parlargli, chiedergli spiegazioni. In primo luogo intendevo domandargli se fosse lui il responsabile della scomparsa di Losurdo. Ne ero quasi certo ma volevo la sua conferma. Una volta chiarito questo fatto, se mi avesse convinto che l’eliminazione era inevitabile – fornendomi qualche prova di comportamenti scorretti di Losurdo – avrei accettato la cosa come naturale conseguenza dell’applicazione delle regole del sodalizio. Se invece mi fossi convinto che l’eliminazione del Losurdo era stata un abuso, ero consapevole del fatto che la situazione sarebbe potuta degenerare. Per una guerra occorrevano armi e soldi, perciò la droga che avevo nascosto avrebbe potuto essermi utile.

DOMANDA Dove la nascose?

RISPOSTA Nello stesso posto in cui erano le armi che vi ho fatto ritrovare.

DOMANDA Cosa fece dopo?

RISPOSTA Andai dalla moglie di Losurdo, nella speranza di acquisire qualche informazione utile. Lei però era agitatissima, come in preda a una crisi isterica. Ripeteva solo che le avevano ammazzato il marito, che lo sapeva che sarebbe finita cosí. Poi mi spostai presso il casolare dove Losurdo teneva i cani per verificare se ci fosse qualche traccia di violenza.

DOMANDA Ce n’erano?

RISPOSTA No. Effettuai una rapida perlustrazione dei dintorni e non trovai nulla. Dunque decisi di andare da Grimaldi.

DOMANDA Lo chiamò, prima di andare da lui?

RISPOSTA No. Ormai non mi fidavo, e mi sembrava piú prudente presentarmi da lui senza preavviso.

DOMANDA Cosa temeva?

RISPOSTA Non avevo un timore specifico, ma ero entrato in una condizione di sospetto e mi regolavo di conseguenza. Cosí mi recai a casa di Grimaldi, bussai e gli dissi che dovevamo andare a prenderci un caffè. Per strada gli chiesi cosa fosse successo a Losurdo.

DOMANDA E lui?

RISPOSTA Per tutta risposta mi chiese dove fosse lo stupefacente che ero andato a prelevare a Rozzano. Io gli dissi che era al sicuro e gli chiesi di nuovo cosa fosse successo a Losurdo. A quel punto avemmo un diverbio, perché lui pretendeva che andassi a prendere la droga e la trasferissi nel luogo prestabilito: il garage di un incensurato dove custodivamo in condizioni di sicurezza stupefacenti e armi. Mi domandò con tono alterato perché non l’avessi già portata lí. Io gli risposi che avevo avuto l’impressione di essere seguito dalla polizia, che avevo seminato la macchina che mi sembrava mi stesse seguendo e che avevo nascosto la mia auto con la droga in un capannone nella zona industriale.

DOMANDA Ma non era vero.

RISPOSTA Non era vero. Come le ho spiegato, la sostanza l’avevo messa in quel nascondiglio, ma naturalmente non intendevo dirlo a Grimaldi. Una tale scelta sarebbe parsa come una dichiarazione di sfiducia e di guerra. Il clima del nostro colloquio fu da subito molto teso, ma io non volevo che degenerasse. Non prima, almeno, di avere saputo cosa era successo a Losurdo. Gli assicurai che dopo averlo saputo, sarei andato a prendere l’auto con la droga e l’avrei portata nel posto convenuto, Grimaldi si calmò (o forse finse di farlo) e mi diede qualche spiegazione.

DOMANDA Cosa le disse?

RISPOSTA Disse che Losurdo era stato ucciso. Quando gli chiesi la ragione, mi riferí che il Losurdo aveva a piú riprese comprato droga da trafficanti albanesi senza metterlo al corrente e soprattutto senza versare la quota di spettanza del gruppo per le operazioni effettuate in autonomia.

DOMANDA A quanto ammontava la quota?

RISPOSTA Non c’era una percentuale fissa. Diciamo che dipendeva dal tipo di affare e dal suo valore. Per operazioni di droga di regola bisognava versare il 10 per cento.

DOMANDA Come aveva saputo, il Grimaldi, dei comportamenti che attribuiva al Losurdo?

RISPOSTA Non me lo disse. Disse solo che era una notizia sicura, che non c’era dubbio e che l’unica cosa da fare era ammazzarlo. Uno che si comporta in quel modo, violando le regole di affidamento, poteva fare di tutto.

DOMANDA E lei cosa rispose?

RISPOSTA Che secondo me chi glielo aveva detto era solo uno che metteva le tragedie.

DOMANDA Che significa «mettere le tragedie»?

RISPOSTA Raccontare cose non vere, o solo parzialmente vere, allo scopo di manipolare l’interlocutore e seminare zizzania.

DOMANDA Chi, secondo lei, aveva «messo le tragedie» e dunque accusato ingiustamente il Losurdo?

RISPOSTA In realtà non avevo un’idea precisa. La mia era una reazione irritata al tono sicuro con cui il Grimaldi affermava che Losurdo aveva fatto cose scorrette. Sapevo e so bene come girano le voci e come sia facile credervi. In ogni caso lasciai perdere la questione della fondatezza delle accuse a Losurdo e chiesi a Grimaldi perché avesse agito quando io non c’ero. Lui rispose molto sinceramente che sapeva che io ero contrario all’eliminazione di Losurdo e dunque aveva deciso di procedere quando io non c’ero. La sincerità su questo punto mi lasciò interdetto per qualche istante. Fu allora che lui mi disse dei cani.

DOMANDA Cosa disse?

RISPOSTA Che quel pezzo di merda se l’era meritata, ma che per i cani gli dispiaceva. E soprattutto gli dispiaceva per il mio.

DOMANDA Perché?

RISPOSTA Disse che era un bel cane, e anche coraggioso. Che quando Losurdo li aveva aizzati contro di loro si era buttato addosso per primo e non si era fermato nemmeno quando gli avevano sparato. Adesso io lo so che sto per dire una cosa sbagliata, lo capisco, però il momento in cui pensai che volevo morto Grimaldi non fu quando mi disse che aveva ammazzato Losurdo, ma quando disse che aveva ammazzato il mio cane.

DOMANDA E a quel punto?

RISPOSTA A quel punto, avevo preso la mia decisione. Quindi mi comportai con cautela e, contro le evidenti aspettative di Grimaldi, non diedi in escandescenze e ribadii solo che avrebbero dovuto eliminare Losurdo quando non c’era il mio cane. Grimaldi parve sollevato e disse che avevo ragione, che su quello aveva sbagliato. Disse che voleva comprarmi un altro cane di razza pura, che dovevamo andare insieme a sceglierlo all’allevamento e cose del genere.

DOMANDA Lei che rispose?

RISPOSTA Che al momento non volevo un altro cane e che invece volevo sapere dove avevano messo il corpo di Losurdo. Volevo farlo recuperare per consentirne il funerale e dare alla moglie e ai familiari un posto dove piangere il loro morto. Lui mi disse testualmente che il corpo non l’avrebbe trovato nemmeno la Madonna.

DOMANDA Perché?

RISPOSTA Perché lo avevano bruciato – e avevano bruciato anche i cani – in una discarica, utilizzando come combustibile vecchi pneumatici. Era una tecnica che gli avevano insegnato dei personaggi di Trani che, appunto, la adoperavano per fare sparire i cadaveri.

DOMANDA Perché lo avevano bruciato?

RISPOSTA Grimaldi ripeteva sempre che, se non c’era il cadavere, non c’era nemmeno l’omicidio. Intendeva dire che se le forze dell’ordine non ritrovavano il corpo, non potevano formulare un’accusa di omicidio, perché sarebbe sempre rimasto il dubbio sulla morte. Detto questo, io credo che a Grimaldi piacesse giocare col fuoco. In senso letterale. Non so spiegarmi bene, ma sembrava quasi che il suo gusto fosse di vedere il fuoco. Quando uccidemmo ’u Rizz’ e gli demmo fuoco lui guardava le fiamme con compiacimento e diceva, soddisfatto: «Guarda come brucia». Aveva la mania delle fiamme. Com’è la parola?

DOMANDA Intende piromane?

RISPOSTA Sí. Raccontava sempre con soddisfazione di quando per un certo periodo, da giovane, faceva gli attentati incendiari contro i negozi che non pagavano la protezione. Lanciava le molotov e gli piaceva guardare le fiamme. A volte aveva anche corso dei rischi seri – mi aveva raccontato – per essersi trattenuto piú del necessario a guardare l’incendio.

DOMANDA Cosa replicò quando Grimaldi le riferí di avere bruciato il cadavere?

RISPOSTA Come le ho detto, ormai avevo preso la mia decisione. Dunque non avevo nessun interesse a che Grimaldi capisse il mio vero stato d’animo. D’altro canto non potevo nemmeno mostrare indifferenza rispetto a un tema che, chiaramente, mi coinvolgeva parecchio. Dovevo, insomma, trovare un punto di equilibrio. Cosí mi limitai a mostrare disappunto per il fatto che il cadavere di Losurdo fosse stato distrutto col fuoco. In questo modo era stata preclusa alla famiglia la possibilità delle esequie e di andare a trovare il congiunto al cimitero.

DOMANDA Non gli domandò chi aveva materialmente commesso l’omicidio?

RISPOSTA Sí, subito dopo. Gli chiesi chi fosse andato con lui – era chiaro, da quello che aveva detto fino a quel punto, che lui era presente – e quali fossero state le modalità dell’agguato.

DOMANDA Cosa le rispose?

RISPOSTA All’inizio cercò di sottrarsi. Disse qualcosa del tipo: ormai è morto, che bisogno c’è di parlarne ancora. Pensiamo al futuro. Io però insistetti: se non me lo diceva mi mancava di rispetto, e insomma lui si convinse e mi raccontò.

DOMANDA Come andarono i fatti?

RISPOSTA Erano in quattro. Grimaldi in persona, Capocchiani, un ragazzo di Trani che non conosco e Abbinante, l’esecutore dell’omicidio D’Agostino. Sapevano che il pomeriggio Losurdo andava a dare da mangiare ai cani e sapevano che il posto in cui teneva i cani era isolato e lontano da occhi indiscreti. Cosí lo seguirono da quando uscí di casa. Prima lui passò da casa mia a prendere il mio cane che, come dicevo, portava con sé per farlo correre e sfogare quando io non c’ero. Loro gli stettero dietro tenendosi a distanza nella campagna.

Quando Losurdo li vide arrivare richiamò i cani. Quelli scesero dalle macchine e Grimaldi gli disse di mettere le bestie al guinzaglio. Lui però non li legò e chiese a Grimaldi perché fossero lí.

DOMANDA Tutto questo glielo ha riferito Grimaldi?

RISPOSTA Parte Grimaldi, parte Capocchiani.

DOMANDA Quando lei andò a trovare Grimaldi era presente anche Capocchiani?

RISPOSTA No, con Capocchiani ci ho parlato il giorno dopo. Mi ha raccontato quello che era successo piú o meno come Grimaldi, anche se con qualche particolare in piú. Adesso però le dico con ordine. I quattro arrivarono e dissero a Losurdo che dovevano parlare e perciò era bene che legasse i cani. Losurdo però non lo fece. Grimaldi mi ha detto che gli si erano messi davanti, come per proteggerlo. Lui aveva capito che c’era qualcosa di storto e intimò ai quattro di non avvicinarsi perché se no avrebbe aizzato le bestie. Capocchiani allora estrasse la pistola e ripeté di legare i cani altrimenti li avrebbe ammazzati. Losurdo a quel punto – credo – si rese conto con chiarezza del perché erano andati a cercarlo lí e, nel tentativo disperato di sfuggire all’agguato, ordinò ai cani di attaccare. Mentre quelli si lanciavano, lui prese a correre in direzione opposta. Seguí una prima sparatoria in cui i cani vennero uccisi. Abbinante e il tranese riportarono ferite, perché le bestie prima di morire erano riuscite a morderli. Poi Grimaldi e Capocchiani inseguirono Losurdo. Gli spararono piú volte e riuscirono a colpirlo, cosí lui inciampò e cadde. Lo raggiunsero e lo uccisero, sparandogli anche piú di un colpo di grazia alla testa.

DOMANDA Tutto questo accadeva in aperta campagna. Non temevano che qualcuno di passaggio, magari un contadino, potesse vederli?

RISPOSTA Ripeto che si tratta di una zona molto isolata, dove è improbabile che qualcuno passi per caso. Proprio in quella zona, per farle capire quanto è fuori mano, negli anni scorsi dei tizi di Bitonto avevano impiantato un’enorme piantagione di cannabis. Hanno coltivato per oltre due anni senza che nessuno si accorgesse di niente.

DOMANDA La coltivazione c’è ancora?

RISPOSTA No, smisero spontaneamente di coltivare per ragioni che non so. Certo è che nessuno si è mai accorto di quella piantagione e le dico che si parla di ettari di terreno. Dunque come dicevo: la zona era stata scelta per l’agguato proprio per le sue caratteristiche. Ciò detto non vi è dubbio che la situazione sia sfuggita di mano a Grimaldi e ai suoi uomini. Non avevano previsto la reazione dei cani ed erano certi che avrebbero sbrigato tutto davanti al casolare, non con un inseguimento prolungato nella campagna.

DOMANDA Cosa fecero dopo avere ucciso Losurdo?

RISPOSTA Preciso che questa parte della vicenda mi è stata raccontata da Capocchiani il giorno dopo.

DOMANDA Prima di proseguire vuol dirci allora come si concluse la sua conversazione con Grimaldi?

RISPOSTA Sí. In modo generico mi disse che si erano sbarazzati del corpo di Losurdo e dei cani dandoli alle fiamme. Io non gli feci ulteriori domande perché ero disgustato da tutta la storia. Dunque conclusi ripetendo a Grimaldi che ero contrariato per l’accaduto, ma che la vita e gli affari andavano avanti. Lui mi ripeté a sua volta che gli dispiaceva per il cane e che avrebbe rimediato. Poi mi chiese come dovevamo fare per recuperare la droga che avevo ritirato a Rozzano. Io risposi che potevo recuperarla il giorno dopo e lui mi disse che mi avrebbe accompagnato Capocchiani. Era quello che mi aspettavo e in quel momento decisi che avrei cominciato la mia vendetta proprio uccidendo Capocchiani che, peraltro, avevo sempre detestato.

DOMANDA Cosa accadde il giorno dopo?

RISPOSTA Capocchiani venne a prendermi con l’auto di un suo nipote. Io mi ero premurato di dargli appuntamento lontano da casa e precisamente nelle vicinanze del sottovia Quintino Sella per ridurre il rischio di essere notati insieme. Avevo con me due pistole: una Beretta calibro 6.35 e una 38 Tanfoglio. Sono fra le armi che vi ho fatto recuperare. Capocchiani sembrava di ottimo umore. Gli diedi le indicazioni per raggiungere il posto dove avevo detto di aver nascosto la droga, ma dove la droga non c’era. Durante il percorso mi feci raccontare anche da lui l’omicidio di Losurdo e soprattutto la fase della eliminazione del cadavere.

DOMANDA Capocchiani non si insospettí di questa curiosità?

RISPOSTA No. Intanto va detto che Capocchiani non era troppo intelligente. La sua reputazione era dovuta al fatto che era un pazzo criminale, capace delle azioni piú spericolate e dei comportamenti piú spietati. Oltre a ciò, per pura fortuna, fino a quel giorno era scampato a numerosi agguati e questo aveva contribuito ad alimentare la sua fama. Poi comunque era normale che io mi informassi sull’accaduto.

DOMANDA Dunque Capocchiani non fu reticente?

RISPOSTA Assolutamente no. Intanto Grimaldi lo aveva avvertito che io sapevo tutto. Poi a lui piaceva vantarsi.

DOMANDA Ci dica cosa le raccontò e se c’erano differenze col racconto di Grimaldi.

RISPOSTA Il racconto dell’uccisione di Losurdo e dei cani fu praticamente uguale a quello di Grimaldi. Capocchiani in piú mi disse nel dettaglio come e dove si erano sbarazzati del corpo di Losurdo e dei cani.

DOMANDA Dove li portarono?

RISPOSTA In una discarica abusiva fra Trani e Bisceglie dove venivano gettati anche dei bidoni di rifiuti tossici provenienti dal Nord Italia, carcasse d’auto, oggetti di ogni tipo. Prepararono una base di pneumatici, ci misero sopra Losurdo e i cani, coprirono con altri pneumatici e diedero fuoco. Gli pneumatici difficilmente si spengono, anche se piove; dei corpi, con questa tecnica, non rimane piú niente.

DOMANDA Non tolsero nulla dal cadavere di Losurdo? Documenti, orologio, altro?

RISPOSTA Non me lo dissero. Però non credo, non c’era ragione di farlo.

DOMANDA Per il trasporto i corpi erano stati collocati nei portabagagli?

RISPOSTA Confermo. Dopo che si furono consumati del tutto, Grimaldi e gli altri – che avevano seguito il rogo fino all’ultimo – andarono a ripulire le auto.

DOMANDA Perché non bruciarono anche le auto?

RISPOSTA Di regola si procede cosí quando l’auto utilizzata per l’azione è rubata. In questo caso, però, le due auto non erano rubate, erano di proprietà di Abbinante e del tranese. Il ritrovamento e l’identificazione (tramite il numero di telaio, che spesso resiste all’incendio dell’auto) delle carcasse bruciate avrebbe pericolosamente attirato l’attenzione sui due. Tenga poi conto del fatto che il corpo di Losurdo era stato completamente bruciato e la sua scomparsa sarebbe stata classificata come lupara bianca.

DOMANDA Erano andati a commettere un omicidio con le loro auto?

RISPOSTA Capita. Quando gli omicidi sono pianificati da tempo si provvede a procurare le auto rubate che poi, in effetti, vengono bruciate. In questo caso l’azione fu decisa a seguito della mia partenza per il ritiro di droga a Rozzano. Come le ho già detto ripetutamente, Grimaldi sapeva che io non ero d’accordo.

DOMANDA La sua partenza per Rozzano non era programmata da tempo?

RISPOSTA No, non funziona cosí. Quando arriva la merce ti chiamano e tu parti per ritirarla. Le consegne, anche per ovvie ragioni di prudenza, non vengono mai pianificate in anticipo. Grimaldi aveva già deciso di eliminare il Losurdo, ma il fatto che lui fosse spesso in mia compagnia e che le nostre mogli fossero amiche costituiva un problema. Non poteva rischiare di agire in mia presenza e men che meno poteva chiedere che me ne occupassi io. Cosí prese al volo l’occasione della mia partenza ed evidentemente non ebbe modo di procurarsi delle auto. D’altro canto siccome avevano deciso di agire in campagna, in totale assenza di potenziali testimoni, l’esigenza di utilizzare auto rubate era molto meno forte che per un attentato da effettuare in un centro abitato. Comunque ci tengo a precisare che queste sono congetture, perché io non ho chiesto né al Grimaldi né al Capocchiani per quale motivo fossero andati a uccidere Losurdo con le auto personali di Abbinante e del tranese.

DOMANDA Ha detto che andarono a ripulire le auto. Dove?

RISPOSTA Presso un autolavaggio.

DOMANDA Non temevano che il personale dell’autolavaggio si accorgesse delle tracce di sangue che evidentemente dovevano esserci sull’auto?

RISPOSTA Presso l’autolavaggio lavorava in regime di semilibertà uno dei ragazzi di Grimaldi, di cui ricordo solo il soprannome, Kojak, per via del fatto che è del tutto calvo. Fu incaricato lui di lavare accuratamente, e da solo, le due auto. Mi disse Capocchiani che prima ancora di portare le macchine a lavare, comunque, si erano sbarazzati dei tappetini che ricoprivano i portabagagli in cui erano stati messi i cani e il corpo di Losurdo.

DOMANDA Adesso mi dica come si svolse l’uccisione di Capocchiani.

RISPOSTA Premetto che non sapevo se lui fosse armato o no. Di regola non avrebbe dovuto portare armi senza una ragione specifica, perché questo significava solo correre un inutile rischio di arresto, nel caso di un controllo di polizia. Però non potevo esserne certo. Per di piú Capocchiani era pericolosissimo e capace di gesti assurdi e folli. Una volta l’avevo visto lanciarsi addosso a uno che lo minacciava con una pistola; l’altro aveva premuto il grilletto, ma la pistola si era inceppata; Capocchiani lo aveva poi ucciso – letteralmente – di botte. Preciso che, a mio giudizio, questi comportamenti erano da stupido pazzo; il fatto però di essere sopravvissuto a tante situazioni pericolose aveva creato intorno a Capocchiani un’aura di leggenda. Capocchiani aveva tra l’altro una incredibile capacità di sopportazione del dolore fisico. A questo proposito posso raccontare un altro episodio esplicativo. Una volta l’auto su cui viaggiava assieme ad altri ragazzi fu fermata dai carabinieri. Capocchiani rispose male a una richiesta di uno dei militari, che gli diede un ceffone. Capocchiani disse che non si era fatto niente e che quelli erano schiaffi da ricchione. Intendeva dire: schiaffi poco virili, che non facevano male. Insomma, per farla breve, i carabinieri gliele diedero di santa ragione, fecero proprio un pestaggio. Ma a ogni colpo Capocchiani diceva che non gli avevano fatto niente, tanto che alla fine dovettero smettere, senza che lui avesse ceduto. Insomma, quello che voglio dire è che bisognava considerare che lui era pronto a comportamenti imprevedibili e incontrollabili. Dunque dovevo agire con prudenza. Peraltro voglio aggiungere che Capocchiani, oltre a essere un pazzo privo di senso del pericolo, aveva un’indole malvagia. Era il peggiore. Per spiegarle il tipo di persona, devo dirle di un suo passatempo. Faceva catturare da un paio di suoi ragazzi tutti i gatti randagi che riuscivano a trovare; li metteva in una stanza nella quale si poteva guardare attraverso una vetrata. Dopodiché invitava alcuni suoi amici muniti di pit bull, faceva liberare due cani nella camera e si scommetteva su quale avrebbe ammazzato piú gatti.

DOMANDA Lei ha mai assistito?

RISPOSTA No. A me piacciono gli animali e l’idea di farli soffrire per il puro gusto della crudeltà mi ha sempre disgustato. Non avrei sopportato uno spettacolo del genere senza intervenire. La cosa che le ho detto, però, è risaputa.

DOMANDA Lei agí all’interno dell’auto?

RISPOSTA No. Era impossibile prevedere cosa avrebbe fatto se gli avessi puntato l’arma mentre guidava. Sarebbe stato capace di buttarsi fuori strada per cercare di disarmarmi. D’altro canto sul posto mi aspettavano i due fratelli di Losurdo, Pasquale e Antonio, che ero riuscito a coinvolgere perché volevano vendicare la morte del fratello.

DOMANDA I Losurdo erano affiliati all’associazione?

RISPOSTA Solo Losurdo Pasquale, che aveva il grado di sgarrista. Il piú giovane, Antonio, era un rapinatore, ma non aveva mai voluto affiliarsi.

DOMANDA Com’è possibile che i Losurdo accettassero di mettersi contro un’associazione criminale potente e pericolosa come quella di Grimaldi? Come fece a convincerli?

RISPOSTA Ripeto: volevano vendetta per la morte del fratello. Ho raccontato loro quello che mi aveva detto Grimaldi. Sarebbe bastato questo. Poi ho aggiunto che avevo cinque chili di cocaina e che potevamo usarli per finanziare la guerra contro Grimaldi. Avremmo fatto base in Abruzzo, a Pescara, dove avevo degli amici – dei personaggi di etnia rom dediti al traffico di stupefacenti e alle rapine – che ci avrebbero aiutato a vendere la droga a un buon prezzo e ci avrebbero fornito una base d’appoggio sicura. Dissi che avremmo portato a termine le varie azioni muovendoci da là e tornandoci subito dopo. Non avrebbero saputo dove cercarci.

DOMANDA Ma cosa pensava di fare?

RISPOSTA Non lo so. In effetti a pensarci adesso, a freddo, l’idea di sterminarli tutti era assurda e impraticabile. Ma in quei momenti avevamo immaginato che se fossimo riusciti a uccidere Grimaldi avremmo potuto prendere il suo posto e governare il territorio di Enziteto e di Santo Spirito. Io pensavo che non avrei avuto difficoltà a farmi accettare come nuovo capo dagli altri gruppi criminali che governavano le varie zone di Bari: cioè i vari Parisi, Capriati, Mercante, Laraspata. Avevo un grado importante – la Santa – riconosciuto anche dagli appartenenti ad altre importanti associazioni criminali di fuori regione, e pensavo che avrei potuto spiegare cosa era successo e legittimarmi come nuovo capo della Società Nostra.

DOMANDA Torniamo all’uccisione di Capocchiani.

RISPOSTA Arrivammo sul posto. Io avevo detto che la droga era sotto una botola, in un cortile interno. Scendemmo dalla macchina e ci avviammo verso il capannone abbandonato. Quando arrivammo a pochi metri dall’ingresso uscí il fratello piccolo di Losurdo armato di fucile a pompa. Preciso che si tratta di uno dei due fucili a pompa che vi ho fatto ritrovare. Capocchiani si girò verso di me, come per chiedermi cosa stava succedendo e io, che nel frattempo avevo estratto la Tanfoglio, gli sparai due volte senza dire niente. Cadde a terra, io lo tenevo sotto tiro, per il caso – come le dicevo – che fosse armato e che potesse reagire. Lui però non fece nessun tentativo di estrarre un’arma e in effetti era disarmato, come accertammo dopo averlo ucciso. Il fratello piccolo di Losurdo si avvicinò, gli puntò il fucile al petto e gli disse: «Cuss i’e p’ frat’m’, chin’ de mmerd’» – questo è per mio fratello, pieno di merda. Dopo di che gli sparò nel petto, due o tre volte. A quella distanza i proiettili di grosso calibro produssero un vero e proprio squarcio e la morte sul colpo.

DOMANDA Che ne è stato del cadavere?

RISPOSTA Lo caricammo in macchina e lo buttammo in un pozzo, dopo aver distrutto il suo telefono. Per quanto mi risulta il corpo non è stato ancora ritrovato e naturalmente posso condurvi sul posto. Dopo averlo buttato nel pozzo, portammo la sua auto a una ventina di chilometri e le demmo fuoco. Successivamente andammo a nascondere le armi lí dove poi ve le ho fatte ritrovare.

DOMANDA Dopo che cosa avete fatto?

RISPOSTA I Losurdo mi accompagnarono a casa con la loro auto. Eravamo tutti e tre consapevoli del fatto che dovevamo allontanarci da Bari al piú presto perché in breve sarebbe scattata la reazione violenta di Grimaldi e dei suoi. Non potevamo escludere che tentassero anche qualche azione contro i nostri familiari. Dunque decidemmo che la mattina dopo saremmo partiti, portando con noi la droga che avevo ritirato a Rozzano. Quando i Losurdo andarono via, riaccesi il telefonino che avevo tenuto spento deliberatamente, perché non volevo che Grimaldi potesse raggiungermi. Ero certo che, non avendo notizie da Capocchiani sul recupero dello stupefacente avrebbe preso a cercarmi. E in effetti dopo qualche minuto che avevo riacceso arrivò puntuale la sua telefonata.

DOMANDA Cosa le disse?

RISPOSTA Mi chiese cosa fosse successo e perché avessi tenuto il cellulare spento. Io dissi che non l’avevo spento, che probabilmente c’erano problemi di rete. Lui mi chiese se fossi andato a ritirare la droga e perché non gliel’avessi portata. Io gli dissi che Capocchiani non era venuto a prendermi e non rispondeva al cellulare. Dunque non ero andato a prendere la droga.

DOMANDA Parlavate espressamente di droga?

RISPOSTA Io no, e nemmeno lui all’inizio della telefonata. Poi, come sto per dirle, lui perse la calma, in particolare quando, recitando una parte, gli chiesi se sapesse cosa era successo al Capocchiani.

DOMANDA E lui che disse?

RISPOSTA Andò su tutte le furie e naturalmente non mi credette. Urlò che ero io a dovergli dire cosa era successo a Capocchiani, che ero un pezzo di merda e infamone, che dovevo recuperare subito la droga e portarla immediatamente da lui. Forse cosí non mi avrebbe ammazzato come il mio amico Losurdo. Altrimenti, disse, mi avrebbe fatto squartare come un maiale e mi avrebbe lasciato morire dissanguato. Era fuori di sé, furibondo a tal punto che abbandonò ogni cautela al telefono, parlando liberamente di droga e di uccisioni.

DOMANDA Lei cosa rispose?

RISPOSTA Cercai di mantenere la calma. Gli ricordai che stava parlando al telefono, dissi che se smetteva di fare il pazzo ero sempre pronto a ragionare con lui e a trovare una soluzione. Questo lo fece incazzare ancora di piú. Mi gridò ancora alcune offese, mi disse che veniva a prendermi e interruppe la comunicazione.

DOMANDA E a questo punto?

RISPOSTA Dissi a mia moglie di mettere l’indispensabile nelle valigie e di preparare il bambino. Andai a recuperare delle armi – non quelle utilizzate per l’omicidio Capocchiani – per la precisione due pistole semiautomatiche calibro 9 x 21, un fucile a canne mozze e un kalashnikov. Tutte con il relativo munizionamento.

DOMANDA Dove andò a prendere queste armi?

RISPOSTA Mi scusi, dottoressa, ma questo preferirei non dirlo. Quello che me le teneva era un ragazzo pulito, che non ha mai fatto niente di male e che custodiva le armi un po’ per amicizia un po’ per timore.

DOMANDA Le faccio presente che lei non ha facoltà di scegliere cosa dire e cosa non dire. La collaborazione con la giustizia – e la fruizione dei relativi benefici – richiede dichiarazioni del tutto prive di ogni forma di reticenza. Dunque ripeto la domanda: chi custodiva queste armi?

Si dà atto che l’indagato, dopo avere esitato a lungo, chiede una sospensione del verbale per consultarsi con il suo difensore.