Una settimana dopo

«Non è stato facile trovare un posto per lui. Dopotutto, non era ebreo e nemmeno arabo» spiegò Sara.

«E neppure iraniano, almeno secondo i loro parametri. Non aveva patria. So come ci si sente» replicò Bourne.

Erano in piedi davanti alla tomba di Aashir. Era una giornata serena e ventosa. La polvere sembrava portare con sé brandelli della storia di antiche civiltà, insieme con l’odore del sangue dei caduti. Si trovavano nel vecchio cimitero di Mamilla, a Gerusalemme Ovest.

«Come se non bastasse» continuò Sara ignorando le sue parole, «era un Sefavid. Furono i suoi antenati a imporre lo Sciismo come religione di Stato dell’Iran, a dichiarare tutti gli ebrei najis, sporchi, e a espellerli dal Paese.»

«Hai sentito quello che ho detto?»

Sara chinò la testa. «Certo che ho sentito.»

Sopra di loro si innalzava il Monte del Tempio, con i suoi monumenti sacri che risalivano al settimo secolo. Il luogo in cui Ebraismo e Islam si incontravano: la roccia alla quale Abramo aveva legato il figlio Isacco per sacrificarlo a Dio era la stessa dalla quale Maometto era stato assunto in cielo.

«Questo non è un problema religioso» replicò seccamente Bourne.

«A Gerusalemme, tutto è un problema religioso.»

Lui fissò la tomba senza rispondere.

«Comunque sia, ho capito quello che intendevi dire» aggiunse Sara.

Lui rimase immobile e a Sara sembrò per un istante che non respirasse nemmeno, come se si fosse trasformato in un albero, con le radici affondate nella terra.

«Non potevi farci nulla» sussurrò, con dolcezza. «Hai salvato Soraya e Sonya, non è abbastanza?»

«Non è mai abbastanza.»

Lei vide la tristezza sul suo volto. «No, hai ragione. Non lo è.»

Per molto tempo sentirono soltanto il rumore del vento che stormiva tra le foglie. Poi, all’improvviso, una voce infantile iniziò a cantare una filastrocca. Una specie di ninna nanna.

«Capisco quello che è successo, ma nello stesso tempo c’è qualcosa che mi sfugge» confessò Bourne, dopo un lungo silenzio.

Sara gli passò un braccio attorno al fianco e lo attirò a sé. «Considerando chi era, e da dove veniva, non ha mai avuto alcuna speranza di farcela.»

«È proprio questo che non riesco a capire.»

«Allora pensa che tu gli hai dato qualcosa di prezioso, che non avrebbe mai creduto di poter avere. Lo hai accettato. Sei stato suo amico e lo hai aiutato a crescere.»

«L’ho aiutato a morire.»

«No, Jason, è stata una sua scelta. Una decisione da adulto. Aveva capito che era arrivato il momento di chiudere con l’infanzia e di ritornare da suo padre.»

«Cercava solo di adattarsi, ma non apparteneva a nessun luogo.»

«Proprio così.» Gli prese la mano. «Nient’altro.» Lo baciò sulle labbra. «È la fine della storia.»

Il bambino continuava a cantare, una nenia malinconica che riecheggiava tra i muri secolari. Ben presto, altre voci si unirono a lui.