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Scavare alla ricerca di informazioni non era un’attività particolarmente interessante. Molti agenti operativi cercavano di evitarla e di rifilarla ai loro sottoposti. E non era nemmeno un lavoro semplice. Dipendeva in gran parte dall’intuito, e non solo dall’impegno. Per Sara era ancora più complicato. Era una donna in un Paese arabo. Se si fosse trovata a Riad, dove le donne non potevano nemmeno guidare, non avrebbe potuto lavorare. Per fortuna Doha era un po’ più permissiva.
Ma Sara non era il tipo da arrendersi. Perfino i suoi pochi detrattori, che ne criticavano l’ambizione, dovevano ammetterlo a malincuore.
Fece come le avevano insegnato durante l’addestramento, e iniziò da quello che già conosceva.
Il padre non si era opposto al suo viaggio a Doha. Sapeva che lei aveva molte fonti preziose in Qatar. Ma aveva trascorso troppo tempo in un letto d’ospedale, e i rapporti con i suoi contatti si erano un po’ allentati. Provò a chiamarli: il primo era all’estero, il secondo non sapeva nulla e il terzo aveva avuto un infarto ed era ricoverato in terapia intensiva.
Si rivolse ad Hassim, proprietario del Vongole, un esclusivo ristorante situato su una spiaggia elegante chiamata La Croisette.
Hassim non era al lavoro e dovette raggiungerlo a casa. Abitava in una villa circondata da alte mura, oltre le quali si scorgeva la cima delle palme che ondeggiavano al vento. Il cancello era aperto e Sara vide che l’edificio aveva tre piani, il tetto a terrazza e un portico all’ingresso. Nel vialetto c’era la Rolls Royce color argento di Hassim. Parcheggiò accanto all’altra vettura, uscì nel caldo rovente del deserto e suonò il campanello, all’ombra del portico.
Venne ad aprire Hassim in persona, anziché uno dei suoi servitori.
«Mi stavi aspettando?» scherzò Sara.
«Ti ho vista arrivare» replicò lui, invitandola in casa con un cenno. «Rebeka, è un piacere vederti, anche se la tua presenza qui mi sembra poco opportuna.»
«Lo so, ma non ho avuto tempo per il solito protocollo.»
Lui annuì. «Va bene così.»
Superarono l’ingresso a pianta ottagonale ed entrarono nella zona giorno. Hassim era un uomo minuto, curato e dall’aspetto un po’ snob. La sua famiglia si era arricchita grazie al petrolio, ma lui aveva deciso di diversificare gli investimenti. Il Vongole era il suo terzo ristorante a Doha, l’ultimo in ordine di apertura e il più famoso, per quanto anche gli altri due continuassero a riscuotere un grande successo.
«Posso offrirti qualcosa da bere? Un succo di frutta fresco?»
«Grazie. Va bene qualsiasi gusto.» Aveva poco tempo, ma sapeva che sarebbe stato scortese declinare l’offerta.
Hassim si avvicinò a una credenza, aprì un piccolo frigorifero e tirò fuori una caraffa di succo di frutto della passione. Riempì due bicchieri e bevvero in silenzio.
«Allora… Come posso aiutarti?»
Sara raccontò quello che Bourne le aveva riferito circa il massacro all’Al-Bourah Hotel. Il suo racconto era molto più dettagliato delle notizie trasmesse dalle televisioni e riportate dai giornali locali.
«Sono giunta alla conclusione che l’attacco non sarebbe stato possibile senza la connivenza delle forze di polizia.»
«E vuoi un nome.»
«Sono qui per questo.»
Hassim annuì, ma sembrava a disagio. «Non è una domanda semplice.»
«È semplicissima, invece.» Sara appoggiò il bicchiere e guardò il padrone di casa. «Tutte le sere i pezzi grossi della polizia cenano al Vongole. Così come i collaboratori dell’emiro. Sono certa che hai sentito qualcosa che può essermi utile.»
«Non ho detto il contrario» disse Hassim, incapace di sostenere lo sguardo di Sara.
«Hassim, cosa c’è?» chiese lei, avvicinandosi.
«Qualcosa è cambiato.»
«Qualcosa? Cosa, per l’esattezza?»
«Non so. Penso riguardi direttamente l’emiro.» Le rivolse uno sguardo fugace e si passò la lingua sulle labbra. «Tanto per iniziare, danno più soldi ai ribelli siriani.»
«Questa non è una novità.»
«Sì, ma il denaro non arriva direttamente ai combattenti. Finisce nelle mani di un intermediario, che lo spende per comprare armi. Almeno, questo è ciò di cui sono convinti l’emiro e i suoi collaboratori.»
Sara si avvicinò di un altro passo. Ora poteva annusare l’odore rancido della sua paura. «E qual è la verità, invece?»
«La verità è un’altra. Stammi a sentire, io…»
«Vuoi più soldi? Posso farteli avere. Un bel bonus.»
«Soldi!» ripeté lui, ridendo nervosamente. «No, non è un problema di soldi.»
«Cosa vuoi, allora? Cosa posso darti in cambio della tua completa collaborazione?»
«Garanzie.»
«Le hai già.»
«Protezione.»
Sara annuì. «Va bene.» Si chiese cosa lo avesse reso così timoroso.
«E la promessa che mi farai uscire da questa storia il prima possibile.»
«Va bene.»
«I soldi vanno a questo intermediario. Fiumi di denaro. A tonnellate.»
«Hassim, me l’hai già detto. È un trafficante d’armi? Se è così, allora probabilmente so chi è.»
«Lo sai di sicuro. El Ghadan.»
Sara lo fissò, turbata. Non soltanto la polizia era in combutta con El Ghadan, ma lo stesso governo del Qatar! Non c’era da stupirsi che Hassim avesse chiesto tutte quelle garanzie.
Rimase un attimo in silenzio, per riprendersi dalla notizia e continuare con le domande. «Hassim, chi è il suo contatto all’interno della polizia?»
«L’intero dipartimento, temo.»
«Hai fatto trenta… Ora non puoi più fermarti.»
«Hai ragione.» Hassim sembrava disgustato: forse dalla vicenda che stava raccontando, o forse da se stesso. «Ma prima devo fare una telefonata.» Si alzò in piedi. «Torno subito.»
Sara lo vide uscire dalla stanza. Avrebbe voluto seguirlo e origliare la conversazione, ma decise di non farlo. Era l’unico filo che aveva per le mani ed era decisamente sottile. Non voleva rischiare di spezzarlo con una mossa avventata.
Si alzò in piedi e si mise a passeggiare nella stanza, concentrandosi su un posacenere di cristallo e su una statuina di bronzo. Prese in mano una conchiglia rosa come l’interno di un orecchio. Con sorpresa, si rese conto che non era vera, ma fabbricata in resina artificiale. La capovolse. Un marchio dorato a forma di conchiglia.
La appoggiò proprio mentre Hassim rientrava nella stanza. «Non è stato facile, ma ce l’ho fatta.»
«Mi sbaglio o c’è una leggera esitazione nella tua voce?»
Hassim si schiarì la voce. «Adesso sono soltanto un proprietario di ristoranti. Mentre tu eri via, ho ampliato il mio impero. Voglio concentrarmi su questo e su nient’altro.»
«Dunque abbiamo finito?»
L’uomo le rivolse uno sguardo triste e nello stesso tempo sollevato. «Rebeka, questa è l’ultima informazione che ti passo. Non posso permettermi di continuare a ficcanasare in giro per te.»
«Ti capisco, ma non è così facile interrompere la collaborazione» commentò Sara con voce decisa.
«Eppure è proprio quello che sto per fare.» Hassim non abbassò lo sguardo. «È questo il prezzo del mio aiuto: me ne tiro fuori, te l’ho detto. Tutto qui.»
«Prendere o lasciare, vero?»
Lui annuì.
Sara sospirò. «Va bene.»
«Ho la tua parola?»
«Sì, hai la mia parola.»
«Si chiama Khalifa Al Mohannadi. È un colonnello del Centro di Comando Tattico Nazionale, qui a Doha.»
«Il CCTN. Antiterrorismo. Sei sicuro? La tua fonte è affidabile?»
«Al cento per cento.»
«Un colonnello del CCTN che va a letto con El Ghadan. Sembra uno scherzo.»
«Se lo fosse, sarebbe uno scherzo molto pesante per il mio Paese.»
Sara lo ignorò, cercando di mettere ordine nei suoi pensieri. «Il Qatar è sempre riuscito a mantenere un certo equilibrio in mezzo al cronico caos del Medio Oriente. Mi domando perché senta il bisogno di fare un accordo segreto con il terrorista più pericoloso del mondo.»