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«La prima cosa da fare, la più urgente, è farti uscire da Doha» affermò Eli Yadin. «Sto predisponendo una squadra di agenti del Kidon, proprio adesso.»
«Temo non sia una buona idea, direttore» replicò Sara.
Aveva ordinato a Blum di procurarsi un paio di cellulari prepagati: era l’unico stratagemma per evitare di essere intercettati dagli uomini di Khalifa. Anche se il colonnello del CCTN era morto, Sara era certa che gli ordini relativi a Blum non fossero stati revocati. Aveva subito chiamato suo padre attraverso una linea criptata. L’uomo aveva riattaccato non appena lei ebbe finito di aggiornarlo.
Aveva richiamato dopo un’ora. Nell’attesa, Sara aveva scritto un messaggio in codice che conteneva le preziose informazioni raccolte da Blum: il legame tra El Ghadan, Khalifa Al Mohannadi e Ivan Borz. Lo spedì a un server criptato al quale Bourne poteva accedere in qualsiasi momento.
«Non me ne frega nulla di quello che ne pensi tu. Io ti tiro fuori da lì!» Il tono di Yadin non ammetteva repliche, e non sembrava in vena di convenevoli. «Rebeka, non avrei dovuto permetterti di andare.» Era un’operazione sul campo: lui non pensava a lei come Sara e lei non lo avrebbe chiamato papà.
«Sono felice di essere venuta. Altrimenti non avremmo mai scoperto che Khalifa era l’intermediario tra El Ghadan e Ivan Borz.»
«Il nostro problema più grande è che Khalifa è morto. Stiamo parlando di un colonnello del CCTN del Qatar! Da quel che mi hai detto, alcuni testimoni ti hanno vista salire sulla barca con lui. Il capitano potrebbe riconoscerti. Gli uomini di Khalifa faranno di tutto per catturarti.» Sentirono un fruscio di carte. «La squadra del Kidon è operativa, ti preleveranno entro tre ore. Nel frattempo, non uscire e non sostare vicino alle finestre.»
Eli si schiarì la voce, come se stesse per soffocare. «E adesso voglio parlare con quel coglione di Blum.»
Sara aprì bocca per tentare di giustificarsi, ma sapeva che era inutile parlare con suo padre quando era così arrabbiato. Passò il cellulare a Blum. Forse, pensò, diventare un agente ai suoi ordini non era stata un’idea così brillante da parte sua.
«Per te» annunciò in tono sgarbato.
Blum prese in mano l’apparecchio con cautela, come se fosse una bomba sul punto di esplodere. Probabilmente avrebbe preferito lanciarlo fuori dalla finestra per evitare di essere fatto a pezzi dal direttore Yadin.
«Stammi a sentire, stronzetto. Dovrei ordinare a Rebeka di spararti un colpo in testa, ma le prime analisi dei miei uomini confermano le tue scoperte, e ho deciso di continuare a usarti.»
«Grazie, direttore.»
«Non ringraziarmi. Sei ancora in prova. Abbiamo fatto evacuare le nostre persone dal Waziristan e bruciato ogni traccia. Per causa tua dobbiamo ricominciare tutto da capo.»
«Rebeka le ha spiegato che non potevo rischiare di mettermi in contatto con lei.»
«Blum, c’erano altri modi, ma tu sei troppo pigro per pensarci. Ho sempre creduto che questo fosse il tuo difetto. Per quale motivo pensi che ti abbia mandato in un posto insignificante come Doha?»
«Tutto sommato, non è così insignificante.»
«Non mi interessa la tua opinione.»
«Va bene, signore.»
«Mi chiedo se sei solo pigro o se sei completamente fuori di testa.»
«Direttore, forse sono entrambe le cose» ammise Blum, accondiscendente, «ma ho rischiato la vita facendo il doppio gioco con quel bastardo di Khalifa.»
«Non me ne frega niente, Blum. Ti tengo gli occhi addosso. Ora obbedisci ai miei ordini: ho detto a Rebeka che avrei inviato una squadra a recuperarla. Non è così. Volevo solo spaventarla.»
«Non credo sia possibile» commentò Blum, lanciando un’occhiata alla ragazza.
«Su questo punto devo darti ragione. Quella donna non ha paura di niente. È il suo limite. Per questo motivo il tuo compito adesso è di proteggerla.»
«Come?»
«Blum, sei stato bravo a guardarti le spalle in una situazione difficile. Adesso la aiuterai e sacrificherai la tua vita per lei, se necessario. Se morirà mentre è sotto la tua protezione, provvederò personalmente a impalarti in mezzo al deserto. Sono stato chiaro?»
«Chiarissimo, direttore.»
«Lo spero. E adesso passamela.»
Sara iniziò a parlare non appena Blum le passò il cellulare «Credo che i recenti sviluppi ci abbiano fornito un’opportunità unica.»
«Spiegati meglio.»
Rebeka espose il suo piano nel dettaglio, punto per punto, con una chiarezza e una precisione che nessun altro agente era in grado di emulare.
Dopo cinque ore, la stampante del medico prese a sputare fogli.
Il C-17 si sollevò in volo puntando verso nordest. Bourne guardava fuori dall’oblò. File interminabili di persone, carretti e automobili ammaccate che fuggivano da Damasco, dalla Siria, dalla guerra, per cercare rifugio nei campi profughi all’estero. Perfino in Iraq, per quanto fosse paradossale. Faraj impartì un ordine al pilota, che virò verso est.
Faraj si alzò dal suo posto e si avvicinò a Bourne. «Yusuf, amico mio, sono venuto a conoscenza di una cosa che voglio mostrarti. Voglio che tu veda quello che succede davvero nel tuo povero Paese.»
Seguendo gli ordini di Faraj, il pilota si abbassò e videro apparire le case. Le persone sembravano formiche. Tentavano di sfuggire a un massiccio bombardamento. Le esplosioni sembravano soffocate, come se fossero attutite dal suolo. Bourne si chiedeva che cosa contenessero le testate.
Non ci volle molto per scoprirlo. Ampie volute di polvere si sollevavano dai crateri delle esplosioni, si infilavano nelle strade e nei vicoli dell’area del Ghouta. Uomini, donne e bambini correvano urlando, inciampavano e cadevano, si portavano le mani alla gola e boccheggiavano in cerca di ossigeno, mentre quella nuvola velenosa scendeva e si insinuava tra loro, simile a un mostruoso serpente con molte teste.
Il serpente divorava gli uomini, e le donne correvano cercando di portare in salvo i loro magri bambini. Una ragazza incinta cadde all’indietro e rimase sdraiata a terra, urlando, tenendosi la pancia con le mani. I fuggitivi la calpestarono. Nessuno badava ai feriti. Era una fuga inutile, il serpente di polvere era più veloce di loro.
Mentre il C-17 virava di nuovo verso nord, Faraj spiegò: «Yusuf, è il tuo esercito a sferrare gli attacchi. Sono i cosiddetti difensori della Siria. Non gli bastava bombardare la popolazione: adesso usano anche il sarin. Un’arma di distruzione di massa».
Bourne avrebbe voluto afferrare un paracadute e lanciarsi giù dall’aereo, ma cosa avrebbe potuto fare contro un attacco del genere? Rimase seduto a guardare, inerme e sconvolto, mentre l’aeroplano si allontanava e si lasciava alle spalle il triste spettacolo del massacro.
«Yusuf, è questa la situazione che dobbiamo affrontare. Ogni giorno ci porta una nuova atrocità. E non solo in Siria: Yemen, Iraq, Iran, e la lista potrebbe continuare.» Strinse la spalla di Bourne. «Ecco perché facciamo quello che facciamo, con ogni mezzo, per portare la volontà di Allah tra i musulmani di tutto il mondo.»
«Hai detto che eravamo diretti a casa.»
«A casa! Amico mio, quelli come noi non hanno una casa! Siamo trascinati da un posto all’altro, siamo rinnegati, scacciati dalla nostra patria, sempre in fuga, respinti ai margini della società.»
«Ma avete un piano.»
Lo sguardo di Faraj brillava di una luce sinistra. «Un piano, sì. Ci sono voluti anni per metterlo a punto, e adesso è quasi pronto. Non voglio mentirti: è un progetto insidioso, che può essere ideato ed eseguito soltanto da gente come noi. Emarginati, che non hanno più nulla da perdere. Ma noi possiamo e vogliamo farlo: realizzeremo il nostro piano. Il nostro momento è giunto: per il Grande Satana è arrivato il canto del cigno.»
Duemila miglia separavano il Waziristan da Damasco. Il C-17 non era certo il più veloce degli aerei e volava sferragliando in un cielo pieno di nubi. Bourne continuava a pensare allo spettacolo al quale aveva assistito. Era stato testimone di molte atrocità, più di quante ne potesse ricordare, ma ciò che aveva visto quel mattino era particolarmente orribile. La guerra chimica era stata messa al bando da tempo. Era un atto scellerato, come avvelenare i pozzi di acqua potabile, e meritava di essere punito con la massima severità. Ma lui non era potuto intervenire, e l’impotenza lo distruggeva. Aveva perso se stesso nelle nebbie di un passato ormai irrecuperabile, e poteva redimersi soltanto salvando altre vite. Non era in grado di fare nulla, eppure non riusciva ad astenersi dall’azione. Guardò Faraj e pensò che forse poteva essergli utile per aprire una crepa nella corazza di El Ghadan.
Si alzò e si avvicinò a lui, poi gli si accovacciò accanto. «La questione non è semplice come una volta» esordì, sovrastando il rumore e la vibrazione dei motori.
«Non sono d’accordo: ci siamo noi e c’è il Grande Satana» replicò il terrorista.
«Questo odio per il Grande Satana nasconde la complessità del problema.»
Faraj si voltò verso Bourne, sorpreso da quella replica. «E quale sarebbe?»
«L’Islam stesso. Noi siamo come un soldato che è andato in pezzi moltissimi anni fa, e adesso ciascun frammento combatte contro gli altri. I sunniti contro gli sciiti, gli alawiti contro i sunniti. E poi i sauditi, che hanno le mani in pasta ovunque, odiati e temuti da tutti; gli iraniani, gli afghani, i signori della guerra pachistani di etnia pashtun, ricacciati tra le montagne, e i punjabi, che non si inchinano a nessuno. L’elenco potrebbe continuare. Faraj, i massacri non sono causati soltanto dal Grande Satana. Anche noi dobbiamo prenderci le nostre responsabilità.»
Faraj sbuffò. «Yusuf, hai strane idee nella testa.»
«Le strane idee sono quelle di cui abbiamo bisogno adesso. Sono arrivato a queste conclusioni dopo una riflessione lunga e profonda.»
«Parli come un leader, non come un cecchino solitario.»
«Forse è stata la solitudine a darmi il tempo per formulare le mie strane idee.»
«Hai intenzione di imporre le tue convinzioni agli altri?»
«Come potrei riuscirci, Faraj? Non ho alcun potere sugli altri, né cerco di conquistarlo.»
«E allora cosa vorresti fare per diffonderle?»
Bourne sorrise. «Intendo esporle a chi detiene il potere. A quelli come te, Faraj.» Stava per fare anche il nome di El Ghadan, ma era troppo presto. Il suo interlocutore si sarebbe insospettito.
«Che cosa vuoi, esattamente?»
«Lascia che te lo spieghi in un altro modo» replicò Bourne dopo aver finto di riflettere per qualche istante. «Perché vi nascondete in Waziristan?»
«Lo sai il perché. Per non farci scovare dal Grande Satana mentre perfezioniamo il piano.»
«Con mezza dozzina di droni americani che ogni giorno scaricano missili sulla zona? Non ci credo.»
Faraj gli rivolse uno sguardo colmo di rabbia. Bourne sapeva che il suo gioco era pericoloso, ma non aveva alternative.
«E allora dimmelo tu, che sei così furbo.»
«Siete assediati su tutti i lati da altre milizie jihadiste: l’ISIS, come tu stesso mi hai detto, al-Qaida, il Fronte al-Nusra, i Fratelli Musulmani, il KOMPAK in Indonesia, Ansar al-Sharia in Libia, il Fronte islamico in Siria, Hamas, Hezbollah… devo continuare? No, non è necessario. Faraj, tutti questi gruppi dichiarano di perseguire obiettivi identici ai vostri, ma è davvero così? Non applicano i vostri metodi né usano le parole che usate voi, e non vogliono che voi otteniate maggiore potere e influenza.»
«Ciò che dici è vero» ammise Faraj.
«Ti piace nasconderti in Waziristan?»
«Sei mai stato in Waziristan?»
Bourne sorrise. «È quello che pensavo. Io ho un’idea.»
«Lo immaginavo. Ma non devi parlarne con me.» Faraj si grattò nervosamente la barba.
«No? Ma tu sei il capo.»
«Sono il capo di quello che hai visto e di quello che vedrai all’atterraggio, ma El Ghadan è il leader supremo della Milizia del Domani.»
«Lo troveremo in Waziristan?»
Faraj fissò Bourne senza parlare e si voltò dall’altra parte.
«Ne sei sicuro?» chiese Howard Anselm.
«Sono informazioni grezze, raccolte dalle fonti del dipartimento della Difesa a Gerusalemme e sulle alture del Golan.»
Ci siamo, pensò Anselm, fissando i documenti.
«La Knesset israeliana ha deciso di continuare a costruire insediamenti nei territori occupati e gli attentati di Hamas a Tel Aviv hanno subito un aumento esponenziale. Cinquantacinque morti solo nell’ultima settimana.»
Finnerman e Anselm si trovavano in una sala operativa del Pentagono. Le luci erano basse. Gli otto schermi appesi alle pareti trasmettevano immagini del personale e dei soldati, carte geografiche animate dell’Iraq, dell’Afghanistan, dell’Egitto e della Siria, oltre ai filmati di sorveglianza ottenuti dai droni e dalle telecamere a circuito chiuso e le riprese dei cellulari impiegati al fronte.
Finnerman era in piedi alle spalle di Anselm. «Sta succedendo ciò che i nostri amici di Gravenhurst avevano previsto. Noi non vogliamo la pace: i membri di Gravenhurst, e quelli come noi, che si sono formati presso di loro, costituiscono l’asse portante politico e produttivo di questo Paese. A dire il vero, la parola “compromesso” non fa parte del nostro dizionario. Anche se i negoziati di pace condotti dal presidente sono ormai molto avanzati, non potranno che concludersi con un disastro.»
«È per questo che abbiamo delineato il piano d’emergenza nel caso in cui il vertice fallisse.»
Finnerman annuì. «Sappiamo entrambi che la valutazione del rischio eseguita da Gravenhurst è corretta. La Siria è la porta d’ingresso per l’Iran, che a sua volta rappresenta il prossimo passo nella guerra al terrorismo. Se neutralizzeremo la Siria, priveremo l’Iran di uno dei suoi principali satelliti nella diffusione del jihadismo. È una misura drastica, ma necessaria per garantire la sicurezza del mondo e del nostro Paese. Secondo Gravenhurst gli Stati Uniti corrono un grave pericolo. Il peggiore dopo l’11 settembre.»
Finnerman fece una smorfia di disgusto. «Ormai siamo fuori dall’Iraq, e presto lasceremo l’Afghanistan. Abbiamo a disposizione armi tecnologiche per un valore di seicentocinquanta miliardi di dollari. È arrivato il momento di impiegarle per distruggere il nostro obiettivo.»
Anselm scosse la testa. «Lo sai cosa dirà il presidente. La popolazione è stufa della guerra.»
«E allora l’amministrazione dovrà spiegare agli americani che si sbagliano, che la loro sopravvivenza e quella dei loro figli e dei loro nipoti dipende dall’intervento in Siria.»
«I russi ci hanno reso la vita difficile.»
«Mostreremo loro che il presidente russo è solo un opportunista. Non dovrebbe essere molto difficile, quello stronzo non piace a nessuno. La CNN e la Fox ci aiuteranno, per non parlare del “Washington Post” e di tutti i blogger conservatori e religiosi che agiscono sotto la mia direzione. E non dimentichiamo i senatori e i membri del Congresso che hanno interessi nell’industria militare.» Finnerman sorrise. «Howard, questo è il tuo elemento. Rettitudine, signore! La rettitudine è la cosa più importante.»
«Forse hai ragione, ma dobbiamo ancora convincere il presidente. Sapevamo fin dall’inizio che sarebbe successo.»
Finnerman sorrise. «Per quanto riguarda questo problema, il destino ci è venuto in aiuto. Guarda qui.» Indicò lo schermo centrale, che mostrava un fotogramma ripreso da un dispositivo di sorveglianza.
«È appena arrivato, trasmesso da una delle nostre postazioni in Medio Oriente.»
L’immagine mostrava due uomini.
«È sfocata. Chi diavolo sono quei due?» chiese Anselm.
Finnerman fece un cenno col telecomando in mano, indicando uno dei volti. «Quello sulla sinistra è Abu Faraj Khalid, capo della sezione siriana della Milizia del Domani.»
«Gli uomini di El Ghadan.»
«Esatto.» Finnerman annuì. Da quando era arrivato il video, aveva sentito montare la rabbia dentro di sé. «E il tizio vicino a lui…»
«Sembra un soldato siriano.»
«Già.» Finnerman usò il telecomando per ingrandire il volto del compagno di Faraj. «Abbiamo usato il software per il riconoscimento facciale.» Schiacciò un altro pulsante e sul viso dello sconosciuto apparvero dodici triangolini bianchi, che presero a lampeggiare velocemente.
«Smettila, mi fai venire il mal di testa.»
«Pazienza.» I triangolini si fermarono. «Ci siamo.» La foto del terrorista scivolò sulla sinistra dello schermo e accanto all’ingrandimento apparve una foto di Jason Bourne. I triangolini ripresero a lampeggiare, alternandosi a quelli sulla faccia del misterioso siriano. «Si tratta di Bourne. Ha usato un travestimento molto efficace, ma il software è in grado di analizzare i veri tratti del viso.»
«Bourne…» ripeté Anselm. Sembrava ipnotizzato.
«In compagnia di uno dei più noti leader terroristi.»
Anselm sorrise. «Era vero, allora.»
«Sì. Abbiamo la prova incontrovertibile che convincerà il presidente. Bourne lavora con El Ghadan.»