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«Islam, da quanto tempo sei chiuso qui dentro con gli ospiti di El Ghadan?» chiese Sara.
«Da alcuni giorni» rispose il ragazzo tenendosi sul vago.
Lei inclinò la testa. «Non dev’esser facile, per un uomo d’azione come te.»
Il cortile era silenzioso. Il sole era basso e gli uccelli erano volati via; le foglie del fico erano immobili. Il terreno rovente sembrava assorbire tutti i suoni. Rimaneva soltanto la polvere, che fluttuava nell’aria.
«Per noi, non c’è niente di facile.»
«Ovviamente» ammise Sara. «Altrimenti non avreste alcuna ragione per vivere.»
Il volto di Islam era illuminato da un raggio di sole. Toccò la pistola appoggiata sul tavolo.
«È il momento di decidere.»
Sara esitò, poi prese l’arma. Estrasse il caricatore e scoprì che era vuoto. La pistola era scarica.
Islam le sorrise. Una linea sottile nel suo volto color sabbia. «Sapevi che non era carica.»
«Sarei stata una stupida se avessi pensato il contrario.»
«Tuttavia, devi prendere una decisione per quanto riguarda i nostri ospiti.»
Lei annuì. «Allora andiamo.»
Si alzarono e lui l’accompagnò all’interno. In fondo al corridoio che avevano percorso all’andata c’era un’altra porta di metallo, che Islam aprì con una tessera magnetica. Il battente si schiuse con un sibilo, come se l’area al suo interno fosse stata chiusa ermeticamente. Entrarono in un corridoio meno sfarzoso e superarono due locali con la scritta BAGNI e DOCCE, in arabo e in inglese.
Islam si fermò davanti a una porta chiusa con una serratura. «Qui dentro.» Girò la chiave nella toppa, ma non appena fece per entrare Sara lo trattenne.
«Vado da sola.» Sostenne lo sguardo di Islam con fermezza. «Deve essere così.»
Lui acconsentì senza obiettare, confermando i sospetti di Sara. Sarebbe stata sorvegliata, via audio o video.
«Bussa quando avrai finito.»
Entrò e richiuse la porta alle sue spalle. Dopo una decina di minuti bussò per uscire, e la serratura fu nuovamente aperta.
«Allora? Cos’hai deciso?» chiese Islam non appena fu fuori.
Sara sapeva che lui stava cercando di leggere il suo volto. Tentò di non far trapelare alcuna emozione, anche se la vista di Soraya e di Sonya, che non aveva mai incontrato prima, era stata una stilettata al cuore. Aveva dovuto fare uno sforzo sovrumano per fingere di non conoscere la loro identità. Nel momento in cui aveva alzato il pugno per bussare, si era accorta di disprezzare El Ghadan e Islam più di quanto avesse creduto. Per un attimo aveva perso il distacco professionale e tutto era diventato personale. Poi, facendo affidamento su tutte le sue forze era riuscita a riprendere il controllo della situazione.
«Chiedilo a El Ghadan, dopo che avrò parlato con lui» rispose in tono secco prima di avviarsi lungo il corridoio, seguita inutilmente dal jihadista.
Camilla guardò il cellulare. Hunter la stava chiamando, ma decise di non rispondere. Era nelle scuderie, con Ohrent e i cavalli scelti per la gara, e non aveva voglia di parlarle. La distanza permetteva di collocare le cose nella giusta prospettiva.
«I cavalli sono irrequieti» osservò.
«Lo sono sempre, prima di una gara.» Ohrent aveva posato la mano sulla criniera di Jessuetta. «Non vedono l’ora di scendere in pista. È un buon segnale. Se non sono nervosi, allora ti devi preoccupare.»
Si allontanò dal cavallo e si avvicinò a Camilla, che scrutava la notte. Le mille luci della città tingevano il cielo come un’aurora boreale.
«È meravigliosa» mormorò Camilla.
«Una sera come tante, a Singapore.» Un cavallo sbuffò, altri risposero, uno sbatté contro il box. «Cosa farai?» le chiese in un sussurro.
Lei gli mostrò il cellulare. «Ho deciso di fidarmi di te.»
Lui non rispose. Rimase in attesa, dimostrando una volta ancora quelle doti di calma e pazienza che lei aveva già imparato ad apprezzare.
Recuperò il documento con la foto di Kettle e glielo fece vedere.
«Un cecchino del dipartimento della Difesa!»
«Non è tutto.» Gli lasciò ascoltare il file audio nel quale Anselm e Finnerman aggiungevano la sua eliminazione all’incarico di Kettle.
Ohrent si infilò le mani nelle tasche posteriori dei jeans. «Credo che tu abbia risposto alla mia domanda.» Spostò il peso da un piede all’altro. «In tal caso, è meglio che tu venga a casa con me.» Lei si voltò a guardarlo e lui aggiunse: «È l’unico posto nel quale sarai al sicuro».
«Non verrò a casa con te e non rientrerò in albergo.» Scosse la testa. «Credi che sarò al sicuro con te? Be’, io no. In questo momento è come se io fossi radioattiva, e lo sarò finché questa storia non sarà finita. Non voglio coinvolgerti.»
«Camilla, io sono già coinvolto» la interruppe Ohrent con tono pacato. «E poi, sono troppo vecchio e permaloso per prendere ordini da una giovane puledra come te.» Sorrise. «Verrai con me.»
«Ti ho detto che non lo farò.»
«Calma. Non a casa mia, su questo hai ragione: sei molto più che radioattiva in questo momento. Ma conosco il posto perfetto per te. Si trova a cinquanta chilometri esatti dal centro del nulla.»
«Cosa significa?»
«Significa che nessun cazzo di cecchino potrà trovarti lì.» Le rivolse un sorriso rassicurante. «Trascorrerai la notte senza doverti guardare le spalle. Mi sembra una buona idea, dal momento che sei distrutta.»
In effetti, era sfinita. L’adrenalina ti fa correre molto lontano, ma finisce all’improvviso. Camilla ricambiò il sorriso. «Va bene. Mi affido alle tue mani provvidenziali.»
«Non è tutto. Ti accompagnerò e poi me ne andrò.»
«Dove andrai?» chiese Camilla, aggrottando la fronte.
Ohrent la guidò all’uscita delle scuderie. «Io? Troverò quel maledetto cecchino e lo sistemerò.»
Ci fu un istante, subito dopo che Rebeka se ne fu andata e prima che Islam tornasse, in cui Soraya sentì che forse c’era una speranza, per se stessa e per sua figlia. Aveva assistito a situazioni simili, durante i suoi anni nell’Agenzia, soprattutto nel periodo di Treadstone. Sapeva che il prolungarsi del sequestro riduceva le probabilità di essere salvati. Sapeva anche che Jason stava facendo il possibile, ma per quante imprese miracolose gli avesse visto compiere, non era certa che quella volta potesse farcela.
Dopotutto, non si può sempre vincere. Prima o poi, è inevitabile incontrare qualcuno più forte, più preparato e soprattutto più furbo. Jason non aveva mai incontrato un avversario con tali caratteristiche, ma la legge dei grandi numeri stabiliva che a un certo punto sarebbe successo anche a lui. El Ghadan era il jihadista più temibile del mondo: comandava una milizia costituita da migliaia di soldati, distribuiti ai quattro angoli della Terra, e il suo potere continuava a crescere.
Quei pensieri negativi, che si accumulavano su di lei rischiando di seppellirla, erano stati spazzati via dall’arrivo di Rebeka. Soraya sarebbe stata meno sorpresa se fosse entrato nella stanza il papa in persona, seguito da un codazzo di sacerdoti coi turiboli in mano.
La conosceva perché Aaron gliel’aveva presentata. Immaginava che Rebeka non fosse il suo vero nome, ma non importava. Anzi, era preferibile non sapere la sua vera identità. Era una donna gentile e le era piaciuta fin da subito. E adesso, in qualche modo, era riapparsa ed era disponibile ad aiutarle. Era stato Jason a mandarla? Forse sì, ma le spiegazioni non contavano: quel che contava davvero, era che lei fosse in grado di liberarle. Ma a Soraya sarebbe bastato che portasse via Sonya, lontano da quelle persone.
Chiuse gli occhi per cercare di evitare un altro attacco di ansia. Iniziò a respirare lentamente. Era quasi riuscita a recuperare la calma quando Islam entrò nella stanza. Portava la videocamera e il giornale. Soraya prese Sonya in braccio: ormai conosceva la procedura.
Finirono prima che potesse rendersene conto. Durante le riprese continuò a pensare ad altro. Quella situazione era umiliante e disgustosa.
Mentre ripiegava il giornale sotto il braccio, Islam si scoprì la testa, mostrando il suo volto. Era un bel ragazzo, con il viso lungo, magro e il naso pronunciato. Ma la sua vista spazzò via la calma conquistata a fatica e Soraya fu travolta dal panico.
Il fatto che Islam si fosse scoperto era una minaccia, o forse un messaggio. Di certo voleva dire che avevano preso la loro decisione: se lei e Sonya fossero state liberate, lei avrebbe potuto identificarlo. E questo significava che per loro non era prevista liberazione: sarebbero state uccise.