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Se c’era una cosa che Camilla aveva imparato, era che non doveva fidarsi di nessuno. Non era stato necessario che Hunter glielo ricordasse. Hunter: proprio lei, per la quale provava sentimenti diversi e contraddittori. Ohrent le piaceva, ma continuava a chiedersi se davvero potesse fare affidamento su di lui.
Dopo essere rimasta sola prese il cellulare, inviò l’email con i due allegati al telefonino che aveva comprato a Singapore e poi inoltrò lo stesso messaggio al numero privato del presidente.
Un attimo dopo, uscì dalla casa sicura e si mise alle calcagna di Ohrent. Lungo la strada, gettò il nuovo apparecchio in un cestino. Non sapeva dove stesse andando, né perché, ma doveva verificare se Jimmie le aveva mentito.
Non dovette aspettare molto. Ohrent si diresse verso una moschea ed entrò dalla porta laterale. Sentì il segnale, ma non sarebbe potuta entrare senza modificare almeno in parte il suo aspetto. Indossava i suoi jeans preferiti e aveva avuto la buona idea di sostituire la canottiera con una camicetta di lino con le maniche arrotolate.
Prese il fazzoletto che aveva deciso di portare con sé da Washington, dopo aver scoperto che a Singapore c’era un gran numero di meravigliose moschee che sarebbe stato interessante visitare. Se lo avvolse attorno alla testa, poi si avvicinò e bussò, ripetendo lo schema di Ohrent.
La fecero entrare, ma non aveva idea di come muoversi. Si tolse le scarpe e si lavò le mani, poi si avviò lungo il corridoio.
Al di sopra del mormorio dei fedeli, le parve di sentire la voce di Ohrent, mescolata a un’altra sconosciuta. Svoltò a destra e proseguì senza fare rumore. Quando si avvicinò ogni dubbio si dissolse. Era proprio Jimmie.
«L’incarico è stato definito. Lo porterò a termine, non voglio problemi.»
Poi sentì la replica di Ohrent. «Siamo a Singapore. Qui niente è così semplice, Kettle.»
«Jimmie, parla chiaro. Ci conosciamo da un sacco di tempo, non menare il can per l’aia.»
«Non me ne importa un cazzo del tuo obiettivo primario, ma la ragazza…»
«Cosa? Ti ha già conquistato? Jimmie, potresti essere suo padre. O suo nonno, in alcune parti del mondo.»
«Lei è speciale. Tirati indietro e lasciala stare.»
«Sai bene che non posso farlo.»
«Te lo chiedo da amico.»
«E io da amico ti rispondo che un incarico è un incarico. Non posso fare eccezioni.»
«Certo che puoi. In occasioni particolari…»
«L’unico modo che hai per fermarmi è uccidermi. Ma sei troppo vecchio e ci conosciamo troppo bene perché tu ci possa provare. Va’ a casa, Jimmie. È un consiglio. Va’ a casa e dimenticati di questa storia.»
Camilla si sentì gelare il sangue nelle vene. Aveva fatto bene a pedinare Ohrent. Le sembrava di essere finita in un romanzo di Kafka. Esisteva una via d’uscita per lei?
Si stava allontanando quando si rese conto che qualcuno la osservava. Girò la testa di scatto.
In un angolo c’era una bambina di quattro o cinque anni. Per un attimo Camilla rimase sorpresa di vedere una bimba in giro a quell’ora della notte, ma ricordò che gli imam, e la loro famiglia, spesso abitavano nella moschea.
Era terrorizzata al pensiero che la piccola potesse fare rumore e avvertire i due uomini della sua presenza. Si mise un dito davanti alle labbra, il gesto universale per implorare il suo silenzio. La bambina le sorrise, poi imitò il suo gesto con un’espressione radiosa.
Nonostante l’ansia, Camilla non riuscì a non farsi contagiare dall’allegria di quello sguardo infantile. Quella bimba dal volto delicato e dai grandi occhi scuri la osservava senza ombra di inganno o di menzogna, completamente innocente. Non aveva ancora imparato a tradire e a odiare. La purezza e l’affetto di quel viso la colpirono, facendo scattare un interruttore nella sua testa. Era come se la bambina avesse spazzato via con un gesto della mano la nebbia di odio e ostilità che nei giorni precedenti aveva offuscato la sua mente, allontanandola da ciò che davvero contava.
Come aveva fatto a cadere così in basso? A sprofondare nel tradimento, nella meschinità e nel cinismo? Era successo di colpo o era stato un processo lento, una trasformazione progressiva della quale non si era resa conto fino a quel momento? In ogni caso doveva esorcizzarlo subito, prima che si impossessasse di lei. Era una questione di sopravvivenza.
L’innocenza di quella bimba sconosciuta era un segnale che non poteva ignorare. E ora sapeva quel che avrebbe fatto. Doveva recuperare la sua purezza, restituirla alla bambina che era in lei. Non era mai stata così certa di qualcosa in vita sua.
Si portò di nuovo l’indice davanti alle labbra, e la bambina la imitò. Mentre la piccola iniziava a ridacchiare lei corse via veloce, ancora senza fiato per quella rivelazione recuperò le scarpe e uscì di nuovo nella notte afosa di Singapore.
Il presidente Magnus si era svegliato all’alba. A dire il vero, non aveva dormito, sebbene ci avesse provato almeno una decina di volte, mentre l’orologio ticchettava e i minuti trascorrevano lenti come ore.
Riusciva a pensare soltanto a lei: Camilla che lo cavalcava, Camilla che baciava il suo sesso eretto, Camilla nuda, avvolta nella bandiera americana. Alla fine si era alzato, si era infilato una vestaglia ed era andato nel soggiorno della suite. Aveva acceso la luce, si era seduto sul divano e aveva tentato di immergersi nella lettura di una biografia di Lyndon Johnson e del rapporto del dipartimento degli Affari esteri. Era stato tutto inutile. I suoi pensieri tornavano sempre a Camilla. Non a Charlie: sua figlia era sua figlia. Stava crescendo, e di lì a qualche anno, o mese, le sarebbe passata, o gliel’avrebbero fatta passare. Così va il mondo. Ma Camilla…
Magnus non era il tipo d’uomo da cambiare idea una volta presa una decisione. Non appena aveva visto Camilla aveva deciso che la voleva accanto a sé, e quella posizione vacante era stata l’occasione perfetta per prendersi quel che voleva. Quando gli avevano riferito che era solita rimanere al lavoro fino alle prime ore del mattino non aveva avuto più dubbi. Ben prima del fatidico pranzo che secondo Anselm e Finnerman era stato all’origine della tresca.
Andò alla finestra, rimanendo dietro la tenda. Non era vero che aveva desiderato Camilla la prima volta che l’aveva vista. Sbagliato: era successo in seguito. E non era soltanto desiderio: era amore. Un sentimento vero, che non aveva mai provato per nessun’altra donna. Avrebbe ucciso per proteggerla, ne era certo, così come era certo che avrebbe pagato tutto l’oro del mondo per riuscire a dormire almeno un’ora.
Sapeva di aver sbagliato a permettere che fosse scelta per il dossier Black Queen. Aveva capito troppo tardi le vere motivazioni di Anselm e Finnerman: volevano soltanto allontanarla da lui e da Washington. La consideravano una minaccia. Ma allora perché l’avevano spedita nella stessa città in cui si trovava anche lui? Non aveva alcun senso. Eppure doveva esserci una ragione che gli sfuggiva.
Spuntò l’alba, con la sua luce rosata. Magnus si passò una mano tra i capelli e si sorprese di trovarli umidi di sudore. E in quel momento un pensiero terribile gli attraversò la mente. Era troppo agghiacciante perché potesse metterlo a fuoco, ma assolutamente plausibile. A dire il vero, era così logico, così coerente con tutto quello che stava accadendo che non poté non apprezzarne per un istante l’audacia, prima di essere nuovamente travolto dal disgusto.
Si allontanò dalla finestra e tornò a sedersi sul divano dove aveva tentato di leggere i rapporti quotidiani e riservati del dipartimento della Difesa. Li aveva ricevuti tardi, intorno alla mezzanotte, a causa del fuso orario. Solitamente venivano letti prima da Anselm, che sbrogliava per conto suo le informazioni poco rilevanti e lasciava che Bill si concentrasse sulle decisioni più delicate.
Era un’abitudine che aveva alcuni aspetti positivi, ma in quel modo il capo di gabinetto gli aveva tenuto nascoste le voci che parlavano del summit come di un fallimento annunciato. Era un atteggiamento che al presidente sembrava quasi criminale, oltre che umiliante. E non aveva ancora letto le notizie relative alla rivolta interna al partito contro il programma dei droni. Cristo, cos’altro gli tenevano nascosto?
La risposta non tardò ad arrivare. Dopo qualche minuto sentì la suoneria del suo cellulare privato che annunciava l’arrivo di un’email. Era un messaggio da un mittente sconosciuto. Stava per cancellarlo, ma il suo sesto senso lo fermò. Pochissime persone conoscevano quel numero, non poteva trattarsi di spam.
Non c’era testo, ma solo due allegati. Il primo era un documento del dipartimento della Difesa nel quale l’ufficio di Finnerman incaricava l’agente Kettle di andare a Singapore per trovare Jason Bourne e assassinarlo.
Incuriosito, aprì il secondo allegato. Era un file audio. Ascoltò incredulo la conversazione tra Anselm e Finnerman, che decidevano di ampliare l’incarico di Kettle. Quando sentì Anselm pronunciare il nome di Camilla andò su tutte le furie. Dopo una prima ondata di rabbia, si sforzò per recuperare una parvenza di controllo. Aveva molte cose da fare e pochissimo tempo a disposizione.
Nonostante fosse molto presto fece una serie di telefonate per impartire ordini. Poi andò alla porta e la aprì.
«Sveglia il capo di gabinetto tra un’ora. Adesso portami l’addetto stampa» ordinò all’agente dei servizi segreti che vegliava sulla sua sicurezza. «E fai preparare la colazione per tre persone.»