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Eli Yadin, il direttore del Mossad, navigava di bolina per sfruttare al massimo le condizioni atmosferiche. Stava conducendo il suo sloop di dieci metri e si trovava a un miglio dalla costa di Tel Aviv. Il sole sbucava a tratti dalle nuvole gonfie di pioggia. Alzò lo sguardo e sorrise a Sara. Erano usciti in barca per festeggiare la guarigione della ragazza dalla pugnalata che l’aveva quasi uccisa. Avevano fatto uno spuntino, aperto una bottiglia di rosé e si erano concessi una breve nuotata.

Poi il telefono squillò. Non il cellulare, ma quello satellitare. Padre e figlia si fissarono per un attimo: non poteva trattarsi di una buona notizia. Eli passò le cime alla figlia e scese sottocoperta per rispondere.

Era il suo agente a Doha.

«Direttore, un tizio del ministero degli Esteri francese è appena stato scaricato davanti all’ingresso dell’ambasciata di Francia.»

Yadin sentì un nodo allo stomaco. Possibile fosse lui? «Vivo o morto?»

«Gli manca metà testa.»

«Non un lavoro da professionisti, quindi.»

«Probabilmente no.»

Yadin guardò fuori dall’oblò. Tel Aviv sembrava lontanissima, eppure il suo lavoro lo aveva trovato anche lì. Esitò a porre la domanda più importante.

«Come si chiama?»

«Aaron Lipkin-Renais. So che era un collaboratore occasionale, ma ho pensato che la sua morte fosse abbastanza importante da…»

«Hai fatto la cosa giusta.» Yadin strizzò gli occhi per un istante. Maledizione, pensò. Maledetti bastardi. «Ora dimmi tutto quello che sai.»

«Sara! Sara!»

La figlia aveva il sole negli occhi, e il vento le scompigliava i capelli. Eli Yadin pensò che non era mai stata tanto bella, né tanto preziosa per lui.

«Cosa c’è?» La ragazza legò la cima e gli si avvicinò, mentre lui si metteva al timone.

Quando seppe cos’era accaduto, gli occhi le si riempirono di lacrime. «Com’è andata? Cosa è successo?»

«Aaron era assente da due giorni, assieme alla famiglia. La figlia era stata poco bene, e all’inizio tutti hanno pensato che fossero partiti per una breve vacanza. Ma dodici ore dopo continuava a non rispondere alle chiamate di emergenza dell’ufficio. Hanno chiesto ai colleghi, ma nessuno sapeva nulla. Spariti. Lui, la moglie e la figlia.»

«E poi il suo cadavere salta fuori davanti all’ambasciata francese di Doha?» Sara scosse la testa. «Non ha senso.» Si sedette sul coronamento di teak. «Dove sono finite la moglie e la figlia?»

«Non lo sappiamo. Nessun indizio» replicò Eli.

La ragazza distolse lo sguardo. Il vento le fece scivolare i capelli sul volto, ma lei non si mosse per scostarli.

«So che tu e Aaron eravate molto amici» disse Eli. Lei non rispose, e lui continuò. «La situazione è cambiata dopo il suo matrimonio?»

Sara gli rivolse uno sguardo tagliente. «E perché avrebbe dovuto?»

Eli si strinse nelle spalle. «Un uomo si sposa, diventa padre: le sue priorità cambiano.»

«Abba, per te non è stato così.»

Questa volta fu lui a guardarla con asprezza. «Mi stai rimproverando?»

«Come potrei, papà? Sei l’uomo più coraggioso che conosca.»

«Sara…»

«Aaron è morto, e sua moglie e sua figlia sono scomparse.»

Eli corresse la rotta, pensieroso. «È davvero una brutta faccenda.»

Sara raddrizzò la schiena. Mantenne i piedi leggermente divaricati, alla stessa larghezza delle spalle, per rimanere in equilibrio. Cercò di riordinare i pensieri. «Papà, devo scoprire cosa è successo. Voglio andare a Doha.»

Senza protestare, Eli virò e puntò verso Tel Aviv. Non gli piaceva l’idea di mandarla in Qatar, ma conosceva quel tono di voce e sapeva che sarebbe stato inutile contraddirla.

«Sonya.»

Silenzio.

«Sonya!»

Di colpo la luce inghiottì il buio e la bambina corse verso di lei, singhiozzando.

«Sono qui, tesoro.» Soraya prese la figlia tra le braccia e iniziò a cullarla, accarezzandola. «Sonya, sono qui. Va tutto bene, va tutto bene» sussurrò.

Avevano ottenuto il permesso di uscire dalla stanza per usare il bagno. Un jihadista era rimasto di guardia mentre si lavavano e si asciugavano, poi le aveva scortate di nuovo in cella.

Soraya cercava di non pensare ad Aaron, al suo cadavere che era stato slegato e disteso tra lei e la bambina: un monito agghiacciante perché non dimenticassero il potere dei loro carcerieri. Come se ce ne fosse stato bisogno. Ora Aaron non c’era più, e Soraya si chiedeva in quali terribili modi avessero infierito sul suo corpo. Non riusciva a non pensare a lui. Era morto, la sua vita era stata spazzata via in un istante. Era un pensiero insopportabile. Soraya era una donna forte ed era stata addestrata dai migliori istruttori di Treadstone, ma sapeva che se non fosse stato per Sonya sarebbe crollata. Doveva resistere per sua figlia, doveva impegnarsi a tranquillizzarla e a rassicurarla. Avrebbe pianto la morte del marito quando fossero state al sicuro, lontane da quel luogo – ovunque si trovassero. Fece ciò che era addestrata a fare: relegò il dolore in un angolino della mente e ve lo sigillò.

«Tesoro» sussurrò, cercando di sembrare convincente. «Sono qui. Sei al sicuro.»

«Mamma!»

La voce di sua figlia, colma di angoscia e di paura, le spezzò il cuore.

«Mamma, non ti vedevo più.»

«Ero qui, piccola. Sono sempre stata qui.»

«Ma io non ti vedevo!» replicò la bimba con infantile ostinazione.

Signore, dammi la forza, pregò Soraya. Dammi la forza di proteggere mia figlia, e ti amerò per sempre. «Tesoro, se le luci si spegneranno di nuovo, ecco cosa devi fare: ascolta la mia voce. Seguila e mi troverai.»

«Non ce la faccio!»

«Sì che ce la farai. Ti ricordi di Sherazad, delle storie che raccontava al vecchio re? Quei racconti che ti ho cantato in farsi, la sera, prima di dormire?»

«Me le ricordo tutte, mamma.»

«Ma certo, piccola mia. La tua memoria è come un fiume, lungo e meraviglioso. Pensa alla canzone di Dunyazad nella caverna del genio. Ricordi com’era buia la grotta?»

«Molto buia.»

«Così tanto che Dunyazad non vedeva nulla.»

«E non aveva nemmeno una lampada da accendere. Fuori era notte, non c’era la luna e neanche una stella nel cielo.»

Soraya sorrise tra sé e sé. Sonya era una bambina straordinaria. «Sì, ma Dunyazad doveva ritrovare la strada. E come ha fatto?»

«Ha ascoltato il vento che fischiava nella caverna, e ne ha seguito il rumore.»

«E poi cosa è successo?»

«Ha trovato la casa del genio, che era piena di stanze.»

«E come ha fatto?»

«La sua voce aveva lo stesso suono del vento, quando le parlava.»

Soraya iniziò a cantare in farsi. «Verrò a prenderti quando la luna sarà piena come un melone, / quando gli alberi fremeranno e si piegheranno al mio volere, / quando il buio ti avvolgerà per farti addormentare. / Verrò da te, / ti stringerò tra le braccia e navigheremo verso terre sconosciute.» Le parole quasi le morirono in gola. «Adesso dimmi, tesoro, la mia voce non è come il vento?»

«Sì, mamma.»

«Allora seguila, e mi troverai anche al buio, e io ti difenderò dal male, come ha fatto il genio con Dunyazad.» Soraya continuò a cantare, trattenendo a stento le lacrime. «Perché io sono il sole e la luna, / le stelle eseguono i miei ordini, / nessuno osa opporsi a me / perché sono fatto di aria, di mare e di cielo. / Quando sei con me / e ti stringo forte, / sei tra le braccia di Dio.»

«Quindi hai accettato.»

«Sissignore.»

«Camilla, per l’amor di Dio, non chiamarmi “signore” quando siamo soli.»

Lei sorrise. La sua bocca era carnosa e sensuale. «Come vuoi, Bill.»

Erano seduti su uno dei due divani dello Studio Ovale, davanti al grande tappeto blu con il simbolo presidenziale: chiunque entrasse in quella stanza doveva sapere chi aveva di fronte.

«Hai letto il rapporto.»

«Certo.»

«Tutto quanto.»

«L’ho memorizzato. È piuttosto complesso.»

«Deve esserlo. A così pochi giorni dal vertice, non poteva essere diversamente.»

«Perché non rimandarlo? O almeno cambiare luogo?»

Magnus scosse la testa. «È troppo tardi. E non mi lascerò intimidire da un gruppo di terroristi. Si tratta del momento cruciale del più importante processo di pace della nostra epoca.»

«Hai ragione. È solo che…»

«Lo so.» Il presidente sospirò. «Camilla, perché hai accettato? Howard è stato così convincente?»

«Bill, tu mi conosci. Amo il mio Paese, e vado dove c’è bisogno di me. Sono stata addestrata per questo. Sono qui per proteggerti. Sono il capo dei servizi segreti, è il mio lavoro.»

«E il resto dell’intelligence?»

«Ho ripulito tutto, come hai ordinato. Warren ha seguito le operazioni, è in grado di sostituirmi durante la mia assenza.»

Il presidente ignorò il riferimento a Warren, il vice di Camilla. «E tu? Quali sono i tuoi bisogni?»

Lei increspò le labbra. Era un gesto istintivo, di cui non si rendeva conto, ma era ancora più affascinante quando lo faceva, pensò il presidente. «Non essere ipocrita. Non è dei miei bisogni che stiamo parlando.»

«Dei nostri bisogni.»

Camilla lo fissò senza parlare. Il presidente era un uomo dall’aspetto non comune: alto, spalle larghe, decisamente virile. Le donne lo adoravano e gli uomini lo invidiavano. Era un ottimo oratore, ma il suo vero punto di forza era la capacità di entrare in sintonia con tutte le persone che incontrava: leader politici, legislatori, gente comune. Aveva vinto le elezioni con una maggioranza schiacciante, e il gradimento dei cittadini era rimasto molto alto anche nel secondo anno del mandato, quello più difficile, dopo la fine della luna di miele con gli elettori. Nel suo caso la luna di miele non era mai terminata.

«È stato divertente il modo in cui questa mattina Howard ha cercato di allontanarmi da te» replicò Camilla.

«Immagino abbia usato la scusa del caffè» ipotizzò il presidente.

Lei rise, e lui fece lo stesso.

«Vieni qui.» La invitò a sedersi più vicino a lui.

«Non mi sembra una buona idea.»

Gli occhi grigi del presidente si adombrarono. «Sembra che non esistano più buone idee.»

«Non fare il ragazzino.»

«Io voglio quello che voglio. Come tutti: è una caratteristica primaria degli esseri umani.»

«Una caratteristica primaria degli animali, vorrai dire.»

Lui si strinse nelle spalle e si passò una mano tra i capelli brizzolati. «Qual è la differenza?»

«Nessuna, almeno in questo caso.»

Il presidente scosse la testa, impaziente. Tentò di tenere a bada le mani, che la bramavano disperatamente. Non ci riuscì. «Tu conosci il vero obiettivo del piano: è un’idea malvagia di Howard e Marty per separarci.»

«Forse non è così malvagia.»

«Tu non sai quello che dici.»

Il telefono squillò, ma il presidente non si alzò nemmeno.

«Non rispondi?» chiese Camilla, sapendo perfettamente che non lo avrebbe fatto.

Magnus guardò la bandiera americana arrotolata dietro la scrivania. «Stavo pensando a una cosa…»

Il telefono smise di squillare, e nello Studio Ovale calò un silenzio perfetto. L’ambiente era isolato grazie alle pareti fonoassorbenti e ai disturbatori di frequenza che impedivano la ricezione ai cellulari.

«Stavo pensando…» riprese il presidente «a come sarebbe prenderti avvolta nella bandiera.»

«Vedi? Howard e Marty hanno davvero a cuore il tuo interesse.»

Il presidente si voltò verso Camilla. Il suo sguardo si era fatto improvvisamente duro. Camilla aveva imparato in fretta che il suo umore poteva cambiare da un momento all’altro.

«E tu?»

Camilla rifletté per un istante. «A dire il vero, non so se questo sia nel mio interesse.»

«“Questo”… non vuoi nemmeno pronunciare quella parola» replicò lui, ostile.

«Ci sono molti termini per descrivere quello che abbiamo fatto.»

Il presidente le sorrise. Il malumore era scomparso con la stessa rapidità con cui era arrivato. «Non vuoi venire qui e scoparmi un’altra volta?»

«Vedi, Bill, è proprio questo che intendo. Io non voglio essere l’altra donna, sputtanata e perseguitata per tutta la vita. Monica Lewinsky ha dovuto lasciare il Paese.»

«Tu non sei Monica Lewinsky.»

«Lei e Clinton l’hanno fatto una sola volta.»

«Così pare.»

«Anche tra noi è stato così, e per fortuna non ci hanno beccati.»

«Camilla, nessuno ci scoprirà.»

«E tu… in un Paese bigotto come il nostro, tu rischieresti l’impeachment.» Scosse la testa. «No, una sola volta è sufficiente.»

Il presidente la guardò. Sembrava davvero turbato. «Non dirai sul serio!»

«Sì, è proprio quello che intendo dire.» Si alzò in piedi. «Bill, siamo troppo in gamba per comportarci in questo modo.»

«Il cuore desidera quel che desidera.»

«L’uccello, Bill. È l’uccello.»

Il presidente le rivolse un sorriso triste. Sembrava di nuovo un ragazzino. «Va bene, ho capito.» Tornò improvvisamente serio e si voltò verso di lei. «Camilla, promettimi che sarai prudente.»

«Lo sono sempre.»

Lui annuì. «Sì, ma… questa volta è diverso. Te la dovrai vedere con Jason Bourne.»

«Per anni Bourne è stato un grosso problema per la CIA, per la Sicurezza nazionale e per te. Lo so. Ma è soltanto un uomo, e lavora da solo. Il dossier Black Queen è corretto: questo è l’unico modo per arrivare a lui. Non verrà a cercarti in albergo, ci sarà troppa sicurezza. Potrebbe trovare il modo di entrare, ma non ne uscirebbe vivo, e allora…»

«Allora succederà al Thoroughbred Club, il giorno prima del vertice. Assisterò alla corsa dei cavalli dalla tribuna d’onore, insieme agli altri capi di Stato. Momento di distensione, atmosfera rilassata e informale, eccetera eccetera.»

Camilla sorrise. «Lui non si accorgerà di me, perché si aspetta un altro assassino. Qualcuno del dipartimento della Difesa… un uomo, puoi starne certo.»

«Lo so.» Aggrottò la fronte. «Però, Cam, l’equitazione è…»

«È fondamentale per la mia copertura. Solo così potrò accedere alla zona operativa del club, perché è che proverà a infiltrarsi. Secondo il rapporto, è la sua specialità. Riuscirà a entrare e a confondersi tra gli altri, ed è così che lo troverò.»

Magnus fece una smorfia. «Be’, so quanto sei abile nell’arte della seduzione.»

«E chi ha parlato di seduzione?»

«Prima lo attrai, e poi lo uccidi. Il metodo suggerito dal rapporto è vecchio come il mondo. Il miele è lo strumento migliore per catturare un assassino pericoloso. E funziona. Da Mata Hari in poi, fino a…»

«Bill, per favore!»

«Maledizione, volevo solo farti un complimento!»

Lei scosse la testa e sorrise. Un sorriso triste. «È ora di farla finita, una volta per tutte» disse, chiedendosi in quanti modi potesse essere interpretata quella frase.

Magnus aggrottò le sopracciglia, preoccupato. «L’operazione potrebbe essere molto più complicata di quel che dice il rapporto.»

«Cosa vuoi dire?»

«Be’, sembra tutto chiarissimo nel dossier: fai X e succederà Y. Tutto è logico, sulla carta. Ma sul campo è diverso. C’è confusione, e chi segue la logica si fa ammazzare. E muore chiedendosi com’è possibile che la missione abbia preso la piega sbagliata a causa di un evento che il dossier non aveva previsto. Nella realtà succede sempre qualcosa di imponderabile, che gli autori del rapporto non hanno preso in considerazione.»

«Te l’ho già detto, Bill. Starò attenta.»

«Voglio che torni a casa, con o senza la testa di Jason Bourne… Ma non riferire a Howard che te l’ho detto.»

«È una delle mie regole: non dire mai niente a Howard.»

«Brava ragazza.» Magnus annuì. «Sei sicura di essere pronta?»

«Bill» replicò lei alzandosi dal divano, «se avessi il cazzo potresti renderti conto che sono sempre pronta.»

Si avvicinò alla porta, poi si voltò e gli sorrise, lo stesso sorriso triste di poco prima. «Lo vedi? Le emozioni incasinano tutto. Siamo così preoccupati per la vita dell’altro che facciamo fatica a concentrarci sulla situazione che dobbiamo affrontare.»