capitolo 49
Logan sbatté le palpebre. Restò immobile, in silenzio. Poi buttò fuori un respiro immenso, mentre il sangue gli martellava nelle orecchie. Oh, grazie a Dio. «La sicura, coglione».
«Non è…». Anthony fissò la pistola che stringeva in mano.
Poi Logan gli piantò un gomito in faccia, sollevandolo da terra e mandandolo a colpire il muro alle sue spalle, con le braccia spalancate. La pistola rotolò al piano di sotto.
Nell’interesse della Salute Pubblica, Logan lo colpì anche con un rapido calcio nei testicoli. Anthony Chung si raggomitolò in posizione fetale, con una mano premuta contro il naso rotto e sanguinante e l’altra contro l’inguine contuso.
Poi Logan si piegò e si strinse le ginocchia al petto a sua volta, mentre la stanza girava selvaggiamente intorno a lui.
«Capo?». La Sim gli batté una pacca sulla schiena. «Tutto bene?»
«Ammanettalo. Per favore».
«Bene, stronzetto: Anthony Chung, sei in arresto per tentato omicidio di tre ufficiali di polizia, possesso illegale di armi da fuoco e di un cane orribile». Gli portò le mani dietro la schiena e gliele ammanettò con decisione. «E sono davvero molto arrabbiata per quel fucile dietro la porta!».
Non era il momento di riposare. Non avevano ancora trovato la Chalmers. Avanti, muovi il culo.
Logan prese un altro profondo respiro e si raddrizzò. Poi finì di salire le scale con Rennie che lo seguiva ansimando.
Il pianerottolo in cima era coperto di una moquette a spirali rosse e marroni, che si stava ormai sollevando ai lati. Una porta era aperta su una camera con un letto dalle lenzuola nere e un pentacolo dipinto sul soffitto. Un paio di contenitori erano sul pavimento, con delle macchie di unto sul cartone che testimoniavano la passata presenza di una pizza.
Altre due porte.
Rennie indicò se stesso e quella di sinistra.
Logan annuì e si avvicinò all’altra, aprendola di scatto e bloccandosi sulla soglia.
Era un bagno, costruito in quello che sembrava un ampliamento della casa, con il soffitto coperto di fioriture di umidità e muffa. Le piastrelle sul pavimento ormai ingiallite, con la malta in mezzo grigia e sporca. C’era una vecchia vasca macchiata di ruggine e piena d’acqua. E lì accanto, Agnes Garfield.
Era inginocchiata davanti alla vasca e teneva fermo qualcosa sotto la superficie. Qualcuno, piuttosto: aveva la testa sott’acqua, faccia avanti, e si dibatteva selvaggiamente. Due piedi nudi spuntavano fuori, con le caviglie legate ai rubinetti.
La Chalmers.
«Lasciala andare!».
Agnes alzò lo sguardo su di lui. Le lentiggini spiccavano come macchie di sangue sulla sua pelle di porcellana, i capelli rosso fuoco erano legati in una coda di cavallo, e aveva così tanto trucco nero intorno agli occhi da sembrare un cadavere. Gli mostrò i denti. «Sto salvando la sua anima».
«Lasciala… andare!».
Lei si strinse nelle spalle. «Come desideri…». Si alzò in piedi, sollevando le mani a palmo in su.
La schiena nuda della Chalmers si sollevò sulla superficie, con i polsi legati dietro. Cominciò a lottare ancora più furiosamente.
Dannazione… con le caviglie legate ai rubinetti e le mani dietro la schiena, non avrebbe potuto in alcun modo tirare fuori il viso dall’acqua.
Logan scattò avanti, spintonò via Agnes e tirò su la Chalmers.
La donna tossì e sputò, con l’acqua che le scorreva a rivoli dal naso e dalle labbra gonfie, gli occhi rossi e sgranati. «Aaaaaaaaaagh!». Aveva un lato del volto coperto di lividi violacei e minuscole ferite sulle spalle e sul petto, che lasciavano scivolare nell’acqua sporca sottili fili di sangue. La sua testa era completamente rasata, e coperta anch’essa di tagli e croste gonfie.
Qualcosa fece un rumore stridente nel bagno, alle sue spalle, mentre la Chalmers era scossa da conati di vomito.
«Va tutto bene! Ti ho trovato».
E poi sentì il respiro caldo di Agnes su una guancia, con le labbra che gli sfioravano un orecchio e la voce ridotta a un basso sussurro. «Ciò che faccio al suo servizio accende un fuoco nel nome di Dio».
Il dolore gli esplose nella schiena, e lui crollò in avanti addosso alla Chalmers, facendola finire di nuovo sott’acqua, gorgogliando e agitandosi.
Si rigirò e piombò sul pavimento.
Agnes torreggiava su di lui, con il coperchio del serbatoio dell’acqua del gabinetto tra le mani come Mosè con le tavole della legge. Lo sollevò sopra la testa, colpendo inavvertitamente la lampadina e facendola ondeggiare.
Poi Rennie le finì addosso, spingendola contro il gabinetto pieno di crepe. Il coperchio si spezzò contro il bordo della vasca di ghisa. «Lasciami!».
«Capo? Tutto bene? Ah!».
«lasciami!».
Logan si alzò sulle ginocchia e prese la Chalmers per le spalle. Le sollevò il busto mentre l’acqua fuoriusciva dalla vasca riversandosi sul pavimento e la lampadina dondolava da una parte all’altra, facendo roteare le ombre intorno a loro come fumo.
La Chalmers aprì la bocca insanguinata e urlò.
Riflessi d’oro e di rame danzavano sui campi di colza ai due lati del casale, mentre il sole proiettava lame di luce attraverso un sottile squarcio tra le pesanti nuvole grigie che si ammassavano all’orizzonte. Due ambulanze e un gruppo di volanti bloccavano la strada, con i lampeggianti che disturbavano le ombre ormai lunghe. Quattro membri della squadra armata, arrivata troppo tardi per fare qualcosa di utile, se ne stavano seduti su un muretto al sole, fumando e ridacchiando tra loro.
A una certa distanza, un Transit impolverato che una volta era bianco stava risalendo la strada sterrata, ondeggiando e sussultando. Era la Scientifica che veniva a confiscare la marijuana.
Logan passò il cellulare da un orecchio all’altro. «Senta, Dave, sono impegnato, ora, quindi…».
All’altro capo del telefono, Goulding sospirò. «E io dovrei assistere a una rappresentazione di Kiss Me Kate, e invece sono bloccato in ufficio a controllare le trecentosessantadue email che lei mi ha appioppato».
Le lettere dei fan. «Ah…».
«Ah, e già che…». Una pausa. «Ma santo cielo! Sono le nove e mezza!».
«Dave, ascolti…».
«Ne ho controllate la metà, e a parte i disgustosi errori di ortografia e grammatica, credo di avere una ventina di possibili sospetti per la persona che sta torturando le sue vittime, e tre potenziali assassini. Domani guarderò le altre, ma ho chiesto al dipartimento di informatica di conservare i backup del server e…».
«A dire il vero… Dave… ecco, stavo per chiamarla. Abbiamo appena arrestato Anthony Chung e Agnes Garfield».
Silenzio.
«Dave?»
«Mi aveva detto che Anthony Chung era morto!».
«Sì, be’… si è ripreso. E lei è sicuramente l’assassina che stavamo cercando, quindi può anche cestinare il resto delle email».
«Ha anche solo una vaga idea di quanto tempo ho sprecato per mettere insieme quel profilo, cercando di far quadrare tutto perché lei mi aveva detto che…».
«Aveva ragione, riguardo alla prova dell’acqua. Stava cercando di affogare il sergente Chalmers, quando l’abbiamo trovata».
«L’avevo detto che non l’avrebbe mai ucciso».
«Non è colpa mia: il padre di Anthony Chung aveva identificato il cadavere e io… Aspetti un attimo». Logan posò la mano sul ricevitore, mentre un paramedico, una donna di bassa statura, si fermava proprio davanti a lui. Aveva i capelli raccolti in una coda floscia e le guance cadenti intorno alle labbra sottili e incurvate verso il basso. Come una mamma delusa.
Indicò rapidamente l’ambulanza. «Se non collabora, sarò costretta a sedarla».
Logan tornò al telefono. «Dave, mi scusi, devo andare». Attaccò e seguì il grosso sedere ondeggiante della donna verso l’ambulanza, raggiungendone i portelli aperti.
La Chalmers era seduta sulla sponda posteriore e tossiva convulsamente, mentre a ogni respiro qualcosa le vibrava nel petto come se si fosse staccato dal resto del corpo. «Non voglio andare in ospedale…». La coperta termica si spiegazzò ancora di più quando lei se la strinse forte intorno alle spalle nude, facendo riflettere sulla sua superficie argentata le luci azzurre e bianche dei lampeggianti accesi. Sulla pelle del suo cranio rasato cominciava a comparire una serie di lividi grigiastri e violacei.
Il paramedico si lasciò sfuggire un profondo sospiro. Poi roteò gli occhi e guardò Logan. «Glielo dica».
«Hai bisogno di punti e di antibiotici. Devi andare in ospedale, non c’è altra soluzione».
La Chalmers prese un altro respiro profondo dalla maschera a ossigeno e tossì ancora.
Logan batté una lieve pacca sulla spalla del paramedico. «Ci dia un minuto».
«Dico sul serio: le darò un sedativo, se sarò costretta!». Poi si girò e si allontanò a passi pesanti verso la squadra armata.
«Sei fortunata a essere ancora viva».
La Chalmers annuì. «Era lì, alla mensa dei poveri. Agnes… Proprio lì, tra le ombre, a guardare tutti. L’ho seguita…». Un altro accesso di tosse. «Mi ha seminato dalle parti del retro del Bon Accord Centre».
«Perché diavolo non hai chiamato i rinforzi?»
«Allora sono tornata a controllare tutti gli indirizzi, quelli che avevo ottenuto da Duncan Cocker. Non c’era nessuno lì dentro, nel pomeriggio, ma ho pensato che…». Si strinse nelle spalle, facendo crepitare la coperta termica.
«Hai pensato di poterla arrestare da sola e prenderti tutto il merito. Be’, ha funzionato alla grande, eh?».
Una serie di ringhi e latrati si fece sentire dalla porta principale, mentre due accalappiacani trascinavano fuori il pastore tedesco, tenendolo a distanza con un collare agganciato a un lungo palo. Entrambi stavano faticando molto a tenergli il collare ben stretto.
La Chalmers evitò deliberatamente il suo sguardo. «Mi sono scontrata con Agnes in una casa vicino Fyvie. Letteralmente, intendo». Giocherellò con la maschera d’ossigeno, piegandone lievemente la plastica morbida. «Quando mi sono svegliata, ero legata in un cucinino sporco…». Si passò una mano sugli occhi. «Non le ho detto niente…».
«Non ti saresti trovata in quella situazione, se avessi chiamato i rinforzi». Logan arretrò di un passo, con il cuore che gli pulsava in gola e un calore violento che si allargava dietro le sue tempie. «A causa tua, l’agente Sim ha rischiato di morire. Rennie ha rischiato di finire fulminato. E io sono stato a tanto così», sollevò una mano, con il pollice e l’indice che quasi si toccavano, mentre la voce si alzava di tono a ogni parola che pronunciava, «dal beccarmi un proiettile in fronte!».
«Volevo soltanto… non doveva finire così».
«Ah, davvero? Allora è tutto a posto, giusto? Tutto perdonato!». Le piantò un indice nella spalla, facendo crepitare la coperta. «Ora ascoltami bene: sarei stato io a dover spiegare al marito e ai figli della Sim che era morta perché tu non volevi condividere quel cazzo di merito con gli altri!».
Gli occhi della Chalmers si riempirono di lacrime che poco dopo traboccarono, scorrendole sulle guance. «Non è stata colpa mia…».
«Spero tu sia fiera di te stessa». Le voltò le spalle e si allontanò.