capitolo 42
Reuben spostò il Transit ammaccato in retromarcia, raggiungendo la zona di carico dietro al Turf and Track, fermandosi a pochi centimetri dalla piattaforma di cemento. Scese dal lato del conducente, andò sul retro e aprì i portelli.
Mr Fisher era sdraiato su un fianco e stava tentando di strisciare più all’interno del furgone, con i piedi che premevano contro i fogli di plastica. Tremava violentemente, mentre una serie di sommessi singhiozzi proveniva da sotto la federa macchiata di sangue.
Reuben entrò e lo trascinò in avanti, rimettendolo dritto. Poi gli piantò un enorme pugno nello stomaco. «Molto bene, Mr Fisher. Ecco come funziona: tu ci dici tutto e te la cavi con qualche livido. Se invece penserò che non vuoi collaborare, comincerò a romperti le ossa. E se inizierò a pensare che mi stai mentendo, ti farò a pezzi come un pollo e ti darò in pasto ai maiali un pezzettino alla volta. Mangiano tutto: capelli, pelle, ossa».
A quel punto, tirò via la federa.
A che razza di gioco stava giocando? Se Fisher li avesse visti in faccia, Reuben non avrebbe potuto lasciarlo in vita in nessun caso. Stupido grassone: cosa avrebbe dovuto fare, considerò Logan, starsene fermo a guardare?
Solo che Mr Fisher non poteva vedere niente. Tre strisce di nastro adesivo gli coprivano gli occhi: una in orizzontale e due in verticale, come se fossero dei mirini. Un altro pezzo gli copriva la bocca. Aveva i capelli lunghi da un lato e rasati dall’altro, un divaricatore nel lobo dell’orecchio sinistro e tre anelli d’argento al di sopra… l’amico di Anthony Chung, quello che lavorava nel bar. Quello che aveva cercato di difendere l’onore di Agnes Garfield, e si era preso un calcio nelle palle come ringraziamento.
Reuben afferrò un angolo del nastro adesivo e lo strappò via, portandosi dietro il piercing che Dan Fisher portava sul labbro inferiore.
«Aaaaagh… bastardo…». Un rivolo di sangue gli scivolò lungo il mento.
Dan Fisher. Amico di Anthony Chung. Anthony che aveva sempre l’erba migliore.
Per lo meno, adesso era chiaro da dove l’aveva presa.
Reuben lo colpì di nuovo con un poderoso pugno nello stomaco. Poi si scostò e aspettò che i suoi conati di vomito si calmassero. «La prima domanda è questa: chi sta rubando l’erba dei fratelli McLeod?».
Un lungo filo di bava colò dal suo labbro inferiore sanguinante. «Oddio…».
Reuben risucchiò aria tra i denti e scosse la testa. «Risposta sbagliata». Fece scattare un coltello a serramanico e tagliò i cavi che tenevano legate le caviglie di Dan Fisher. Dopodiché, gli strattonò un piede fino a farlo pendere appena oltre il paraurti posteriore del furgone.
«ti prego, no! io non…».
Il furgone ondeggiò mentre Reuben piombava con tutto il peso sulla caviglia di Fisher. Si sentì uno schiocco soffocato, e il piede del ragazzo si piegò in un’angolazione innaturale.
Due secondi più tardi, cominciarono le urla. Reuben lo lasciò gridare per tre secondi, poi lo zittì con un altro pugno nello stomaco.
Logan lo prese per un braccio: solido come un palo del telegrafo. «Ora basta».
«Nah, abbiamo appena cominciato». Afferrò l’altro piede di Fisher. «Allora, vogliamo riprovare? Stessa domanda».
Fisher mugolò e singhiozzò, il labbro superiore scintillante di muco. «Ti prego… io la vendo e basta, non lo so chi…».
Il furgone ondeggiò di nuovo e dall’altra caviglia venne lo stesso schiocco soffocato di prima.
«aaaaaaaaaaaaaaaaaaaagh…».
Reuben si pulì le mani sul davanti della tuta da meccanico e sorrise a Logan. «Non è molto sveglio, eh?»
«Santo Dio…». Logan lo spinse di lato e salì sul retro del furgone.
Fisher era disteso su un fianco, intento a piegare le ginocchia al petto per poi distenderle di nuovo, come una fisarmonica rotta. La bocca spalancata in un grido muto.
Logan lo prese per le spalle e lo spinse contro la parete coperta di plastica, tenendolo fermo. Poi si piegò finché le sue labbra non furono a un centimetro dalla sua collezione di orecchini e abbassò la voce a un sussurro. «Ascoltami, stupido bastardo: non stanno giocando. Questa non è la tv, non arriverà la cavalleria a salvarti all’ultimo momento. Ti ammazzeranno, se non gli dici chi sta rubando la loro droga».
«Non lo so, non lo so, non lo so…». Un unico, profondo, tremante respiro.
«Allora morirai, lo capisci? E non sarà una cosa veloce. La tua condizione attuale sarà un ricordo felice, quando avranno finito con te!».
«Ti prego… fa male…».
«Si stava soltanto scaldando, aspetta che raggiunga il suo ritmo normale. Avanti, chi sta rubando quella dannata erba?».
Il labbro inferiore di Fisher prese a tremare. «È… Ton. È stato Ton. Anthony Chung».
Ovviamente.
«Eri il suo migliore amico: tutti sanno che aveva sempre con sé un sacco di cannabis. E tu la vendevi per lui, giusto? La spacciavi nel bar. E hai continuato a farlo anche dopo che ti ha preso a pugni?»
«Era… non avevo scelta». Il suo volto era imperlato di sudore. «Ti prego, ti prego, devi aiutarmi…».
«Con chi lavorava?».
La voce di Reuben riecheggiò alle loro spalle, dall’esterno. «Se te lo devi scopare, sbrigati, così posso cominciare a lavorargli le rotule».
«Puoi chiudere il becco per due minuti?», sbottò Logan, prima di tornare a Fisher. «Con chi lavorava Anthony, Dan? Chi è a capo del gruppo, ora che lui è morto?»
«Non lo so, non lo…».
Logan afferrò l’orecchio adornato di Fisher e lo rigirò tra le dita.
«Aaaaaagh!».
«Vuoi finire tagliato a pezzetti?».
La risposta venne in mezzo a una serie di singhiozzi spezzati. «Avevo contatti soltanto con Ton! Diceva… diceva di conoscere uno che lavorava in quelle piantagioni di cannabis, e che poteva scoprire dove si trovavano… Io mi limitavo a spacciare, non ho mai rubato niente, lo giuro sulla tomba di mia madre, non lo so…».
Reuben richiuse con un tonfo i portelli posteriori del furgone, soffocando il rumore dei singhiozzi di Dan Fisher.
Simon McLeod indossò nuovamente gli occhiali da sole a fascia sopra ai buchi che aveva al posto degli occhi. «Allora, avanti: chi è e dove lo trovo?». Un lieve sorriso gli sfuggì, poi svanì di nuovo. «Così potrò incontrarlo e risolvere pacificamente la faccenda, proprio come desidera Wee Hamish».
Sì, certo.
Logan si ficcò le mani in tasca. «È all’obitorio. Ha tradito la sua ragazza una volta di troppo e lei l’ha legato sul pavimento di una cucina, l’ha accoltellato trecentosessantacinque volte e l’ha strangolato».
Le sopracciglia di Simon McLeod si abbassarono di pochi millimetri. «Hmm…».
«Cosa?».
L’uomo inspirò. «Quella ragazza è proprio il mio tipo. Comunque, voglio il nome di quel bastardo».
«Così potrai rifarti sulla sua famiglia? Neanche per sogno. Non avevano niente a che fare con questa storia. Quello che ti ha rubato la cannabis si è fatto torturare a morte e tu non hai dovuto alzare un dito per occupartene». Logan mantenne le mani nelle tasche. «Wee Hamish vuole che la smettiate con i pestaggi. In fondo, non vi hanno portato nessun vantaggio, no? Nonostante tutto, non avevate ancora scoperto chi era il ladro».
Simon alzò le spalle. «È questo che succede quando si fa la domanda giusta alla persona sbagliata. Ipoteticamente parlando».
«Basta con i pestaggi».
Una nuvola di gas di scarico grigio-azzurrino sbuffò fuori dal tubo di scappamento del Transit.
«Immagina che ci sia un imprenditore che ha investito una grossa somma di denaro per mettere su una serie di piantagioni al chiuso, chiamando degli specialisti per occuparsene. E poi immagina che qualcun altro arrivi e rubi da quelle piantagioni. E che sparisca qualcuno di fondamentale dello… staff specializzato. Se fossi quell’imprenditore, non riterresti che i giardinieri siano in qualche modo responsabili? Non li incoraggeresti a rendere più sicure le piantagioni?».
Il Transit si spostò in avanti di qualche metro, poi si fermò, con il motore ancora acceso.
«Non stavi gambizzando degli avversari, quindi, bensì punendo i tuoi perché non si facessero fregare ancora la roba?»
«Chiamalo pure un incoraggiamento a colpi di martello. Come quello che otterrà il tuo amichetto lì dentro, non appena uscirà dall’ospedale. Be’, a meno che Reuben non lo dia in pasto ai maiali».
Logan si girò.
«Nessuno verrà dato in pasto ai maiali! E a nessuno verranno fracassate le rotule. Non hai altro da sapere da Fisher: il suo unico contatto era l’uomo che si è fatto ammazzare, e non ne sa niente, per il resto. Lascialo perdere».
«Nessuno può rubarmi qualcosa e cavarsela».
«Ho detto lascialo perdere».
Il clacson del Transit suonò.
«Sto parlando sul serio, Simon. Se scopro che è successo qualcosa a lui, o alla famiglia del ragazzo morto, verrò a cercare te e tuo fratello. E chiederò a Wee Hamish di fare lo stesso».
Una grossa mano si posò sulla spalla di Logan, strizzandola. «Fidati di me: se provi a minacciare nuovamente me o i miei, ti farò scuoiare vivo. Sono stato chiaro? Solo perché c’è di mezzo Wee Hamish, lascerò stare il ragazzo. Ma se arrivo al capo della gang prima di te… sai benissimo cosa succederà».
Il Transit ondeggiò sulle sospensioni, mentre Reuben cambiava marcia, aumentando la velocità. Aveva schiacciato il cellulare tra il suo piccolo orecchio rotondo e la sua enorme spalla rotonda. «Sì… No, non penso… Un momento». Tese il telefono a Logan. «Mr Mowat vuole parlarti».
«Pronto?»
«Logan, ho saputo che è andato tutto bene. Sei riuscito a sistemare tutto con i McLeod?»
«Simon dice che vuole la pace, ma sai cosa succederà se metterà le mani su chiunque stia gestendo l’operazione dall’altra parte».
«Sono dei primitivi, Logan. Credono nella vendetta del Vecchio Testamento. Ma Reuben mi ha detto che tu sai chi sta rubando la cannabis dei McLeod».
«So chi la rubava. Ed è morto».
Reuben premette il piede sull’acceleratore e il furgone oltrepassò il semaforo su Westburn Drive. «Meglio. Così il Viscido non potrà prenderlo».
«È stato torturato a morte dalla sua ragazza».
«Davvero? Questo sì che è affascinante. E sei sicuro che si trattasse della sua ragazza?».
La pesante massa di cemento dell’Aberdeen Royal Infirmary torreggiava sugli edifici circostanti.
«E chi altro potrebbe essere stato?»
«Chiedi a Reuben». Una pausa. «Ora, puoi farmi un favore e mettermi in vivavoce?».
Logan aggrottò la fronte, osservando la scintillante interfaccia del cellulare, poi premette l’icona a forma di altoparlante sullo schermo.
La voce di Wee Hamish si fece sentire crepitando dagli altoparlanti, appena udibile al di sopra del brontolio del motore diesel del furgone. «Sapete, mi ha reso davvero orgoglioso vedervi lavorare insieme. Logan e Reuben: una squadra pronta a vigilare sulla mia città. Mi dona molto conforto sapere che sarà in buone mani, quando me ne sarò andato. Grazie, a tutti e due». Poi attaccò.
Logan restituì il cellulare a Reuben. «Ha detto di chiederti chi altro avrebbe potuto torturare a morte Anthony Chung».
«Ah, davvero?». Reuben si portò rapidamente su Westburn Road; prossima fermata: il pronto soccorso.
«Già hai deciso che non vuoi più rendere Wee Hamish orgoglioso di te?».
Un borbottio. «Pensi di cavartela così facilmente? Io e te non abbiamo finito. Neanche per sogno».
Fantastico. E addio legami nati dalla condivisione di un lavoro ben fatto. Be’, mezzo fatto. In un certo senso.
Forse Samantha aveva ragione? Forse l’unico modo per liberarsi per sempre di Reuben era una fossa poco profonda? O sbatterlo dietro le sbarre a Barlinnie per una ventina d’anni? Sarebbe stato un po’ più difficile da organizzare, ma per lo meno non sarebbe morto nessuno. Nessuno che non era già morto, ecco…
«Chi ha torturato Anthony Chung?».
Un sorrisetto deformò le cicatrici di Reuben. «Gira voce che i nuovi arrivati si siano procurati un vigilante che è un completo psicopatico. Uno che si eccita quando tortura la gente».
«Stai dicendo che è stato ammazzato dal suo vigilante? Ma che razza di…».
«Non sarebbe certo la prima volta che un socio diventa troppo avido, e la cosa non piace al suo partner».
Quello era vero. Ma era impossibile che non fosse stata Agnes Garfield a uccidere Anthony Chung. Non con quel cerchio magico sul pavimento e il pugnale che aveva usato su di lui, lo stesso con cui aveva pugnalato Dildo…
Doveva essere stata lei.
Giusto?
Rowan si nasconde nell’erba alta all’esterno di una rete metallica. Non respirare. Non muoverti.
Il Raptor se ne è andato, a bordo della sua piccola Peugeot, con i suoi nipotini felici sul sedile posteriore, intenti a mangiare patatine.
Perché? Perché un Raptor punisce le streghe in quel modo? E non ha fatto neanche domande, si è limitato a colpire e colpire, a ritmo di una vecchia canzone degli anni Sessanta. Ha martellato le ginocchia dello Stregone finché non è rimasta una massa sanguinolenta e sparsa di frammenti di ossa, poi si è fatto portare un panino con la salsiccia e una tazza di tè, scherzando con Betty e parlando della possibilità di andare in Algarve per le vacanze estive dei nipoti.
E nel frattempo lo Stregone se ne sta disteso al suolo, dietro al furgone dei panini, a tremare e sanguinare nella polvere.
Si muove appena, quando arriva l’ambulanza. E non fa una mossa neanche quando i paramedici gli si avvicinano, nelle loro tute verdi, imprecando nel vedere quell’orrore di sangue e ossa al posto delle sue ginocchia.
Betty se ne resta da parte, sorseggiando qualcosa da una tazza e mentendo a un poliziotto. No, non ha visto nulla. No, quell’uomo non ha ordinato niente da lei. Si è accorta che qualcosa non andava quando è andata a controllare le bombole del gas e l’ha trovato disteso lì. È grassoccia e piccola, troppo per quella voce profonda, e malevoli sprazzi di verde e nero emanano da lei come onde sonore.
Rowan si morde la pelle intorno all’unghia del mignolo sinistro fino a sentire il sapore salato e metallico del sangue sulla punta della lingua.
Era compito suo trovare e salvare quello Stregone, e invece ormai è fuori dalla sua portata. La sua anima è perduta.
Ha fallito.
Il Transit si allontanò, lasciandosi dietro una nuvola di gas di scarico puzzolenti. Logan tirò su Dan Fisher dal marciapiede, issandolo su una di quelle rozze sedie a rotelle destinate all’uso ospedaliero. Praticamente una grossa sedia da soggiorno con quattro rotelle poco stabili alle estremità.
Fisher mugolò dietro al nastro adesivo che gli copriva la bocca, al di sotto della federa macchiata di sangue.
Logan tirò via entrambi.
Al di sotto, il volto del ragazzo era pallido e sudato. Shock.
Uno schiaffetto leggero sulla guancia gli fece sbattere le palpebre, la voce bassa e rauca. «Ti prego, non lo so…».
«Sei al pronto soccorso. Dan? Dan, riesci a sentirmi?».
Le porte automatiche dell’ospedale si aprirono cigolando, e uno dei due agenti all’entrata fece capolino all’esterno. «Capo? È lei? Tutto a posto?»
«Non so niente…».
Logan si sedette sui talloni accanto alla sedia. «Dov’è, Dan? Il socio di Anthony Chung? Dove tengono la roba? Da dove la prendi, tu?».
Fisher sbatté di nuovo le palpebre, guardandolo, entrambe le pupille ridotte a due capocchie di spillo nelle iridi chiare e acquose. «Fa male…».
«Lo so che fa male, Dan, ma devi dirmi come trovare chi sta gestendo l’operazione di Anthony Chung».
«Io non…».
Logan lo afferrò per il colletto. «Ti ho salvato la vita, stronzetto! Se non fosse stato per me, adesso saresti nello stomaco di un maiale. Quindi dimmi dove trovarlo!».
«Capo?». L’agente gli posò una mano sulla spalla. «Va tutto bene?».
Fisher piegò la testa di lato, fino a guardare in faccia l’agente. «Non lo so, io… io vado a prendere la roba quando mi arriva un messaggio sul cellulare. E il posto è ogni volta diverso».
Logan gli riportò dritta la testa. «Ma il numero del cellulare è sempre lo stesso?». Avrebbero potuto tracciarlo, scoprire…
«No: c’è una parola d’ordine nel messaggio. “Moderatore”… Sempre la stessa, ma il numero di telefono cambia».
E tanti saluti a quell’idea.
Logan si raddrizzò. «Sarà meglio portarlo dentro».
«Sì, capo». L’agente impugnò i manici della sedia a rotelle e le fece oltrepassare le porte automatiche del pronto soccorso.
Le porte si richiusero con un sibilo, lasciando Logan a fissare il proprio riflesso nel vetro. Sarebbe stato piacevole poter tornare alla Centrale con le informazioni necessarie a far fuori un cartello della droga… Avrebbe potuto distrarre quelli degli Affari Interni dal disastro dell’operazione da Mamma Stewart di quella mattina.