capitolo 15

Clang. Il cestino della carta straccia sbatté con un tonfo metallico contro il muro e si rovesciò, spargendo intorno tovaglioli di carta usati, pacchetti di patatine svuotati, confezioni di barrette di cioccolato e cartoni di spaghetti Pot Noodle altrettanto vuoti per tutta la moquette della stanzetta dove si potevano visionare le registrazioni delle telecamere di sicurezza.

La Chalmers sobbalzò, girando di scatto la sedia, con gli occhi spalancati. Sbatté le palpebre un paio di volte, poi si tolse le cuffie. «Mi ha spaventato a morte… Per fortuna ho un ottimo controllo sulla vescica, o ci sarebbero state le cascate del Niagara, qua dentro».

La stanza era ancora più piccola di quella di controllo, ricavata in uno spazio che sarebbe andato bene a stento per un guardaroba, con un enorme armadio di sicurezza grigio che conteneva le registrazioni delle telecamere a circuito chiuso contro una parete, e un piccolo pianale attaccato alla parete di fronte, su cui si trovavano due installazioni audio/video, con due piccoli schermi piatti che mostravano immagini sgranate di Aberdeen.

La Chalmers era seduta lì di fronte, con delle videocassette dall’aria antica impilate sul pianale accanto a lei.

Logan si passò una mano sugli occhi. «Scusa». Poi si abbassò, raccolse un pacchetto vuoto di cocktail di scampi e lo gettò di nuovo nel cestino ammaccato. Aggiungendoci un cartone di spaghetti con pollo e funghi. «È stata una giornataccia».

«Ho cercato di trovare Agnes Garfield e Anthony Chung sulle registrazioni di stamattina delle telecamere del centro. Il che è stato un incubo bello e buono, ma…». Premette un pulsante sull’apparecchiatura, poi girò quella che sembrava la manopola del volume. Sullo schermo, le persone scivolarono rapidamente indietro, arretrando velocemente lungo Union Street mentre la luce cambiava. «Sono riuscita a individuare il prelievo al bancomat».

«Dannatissima Corte europea dei diritti dell’uomo. No, non si possono più fare le cose nel modo più sensato, come sono state fatte per anni, ora il viscido avvocato della canaglia di turno deve essere presente all’interrogatorio. Come se il nostro lavoro non fosse già abbastanza difficile». Gettò nel cestino un cadavere di sandwich con formaggio e cipolline, poi la carta di una barretta di Mars, un Monster Munch alle cipolle e una confezione vuota di spaghetti al ragù. «E poi la gente si domanda perché si dice che in Scozia mangino più schifezze di qualunque altro paese europeo…».

«Aspetti, le faccio vedere». La Chalmers fece uscire la cassetta dal videoregistratore e ne inserì un’altra.

Logan non era affatto intenzionato a toccare i fazzoletti usati. Solo perché quella stanza si trovava al piano terra, di fronte alla stanza delle telecamere di sicurezza, occupata da qualcuno ventiquattro ore al giorno, non significava che qualche stronzo pervertito non si fosse masturbato sulle registrazioni di qualche ragazza ubriaca che il venerdì sera si divertiva a mostrare le tette alle telecamere.

Prese una biro dal tavolo e la usò per pescarli e gettarli nel cestino.

«Ecco, ci siamo…».

Logan alzò lo sguardo e vide tre persone in fila, distorte dalle lenti convesse della telecamera del bancomat. Il primo era un ometto con una felpa, una giacca di pelle e un cappello di lana calcato in testa, nonostante fosse ormai metà maggio. Dietro di lui c’era una donna, che si guardava alle spalle ogni tre o quattro secondi, come se temesse di essere seguita da qualcuno. La terza persona era un idiota in completo, che continuava a controllare l’orologio ogni quindici secondi: non sapete chi sono io!

Logan scosse la testa. «Non può essere il filmato giusto. Dov’è Anthony Chung?».

Il tipo con il berretto e la felpa ritirò il denaro e uscì dall’inquadratura. Miss Nervosismo prese il suo posto.

La Chalmers premette il tasto di pausa. «Secondo la Clydesdale Bank, questa è la transazione avvenuta sulla carta di debito di Anthony Chung. Duecentosessanta sterline».

Miss Nervosismo era truccata pesantemente e indossava un berretto da baseball con la scritta witchfire ricamata sopra, da cui usciva fuori una massa di capelli biondo-rossicci. Il viso a cuore era leggermente fuori fuoco, e gli strati di mascara e ombretto nero davano ai suoi occhi l’espressione di un personaggio di Tim Burton.

Logan aggrottò la fronte, fissando lo schermo. «Ma quella…».

«Si è tinta i capelli, non ha più gli occhiali e ha perso qualche chilo, ma è sicuramente lei».

Agnes Garfield.

«Che ci fa con la carta bancomat di Anthony Chung?».

La Chalmers fece ripartire il video. «Gli prende un po’ di soldi? Forse lei non ne ha, quindi vivono con i suoi?»

«Duecentosessanta sterline sono parecchie, da prendere tutte insieme. O hanno deciso di andarsene da qualche parte, o vogliono comprare qualcosa di grosso…».

«Non è abbastanza per acquistare dei biglietti aerei, ed è troppo per quelli del treno. E se lei voleva ritirare tutti i soldi del ragazzo, perché non ha preso direttamente trecento sterline? La banca dice che ha ancora tremilacinquecento sterline sul conto».

Logan lasciò cadere anche la biro nel cestino con i fazzoletti sospetti. «Con duecentosessanta si potrebbe comprare una buona quantità di erba. Agnes ha lasciato la sua a casa».

«L’abbiamo seguita attraverso le telecamere a circuito chiuso da Markies a Union Street e poi Schoolhill, dopodiché è scomparsa lungo una scalinata accanto al teatro. Non c’è altro nelle registrazioni».

«E il gsm?».

La Chalmers mostrò i denti in una rapida smorfia. «Spiacente, capo, non abbiamo ottenuto nulla, finora, dai cellulari di Anthony o di Agnes. O hanno spento i telefoni, oppure hanno scaricato la batteria, oppure li hanno direttamente abbandonati. La Centrale se ne sta occupando: se ci sarà qualche attività in quel senso, ci avvertiranno subito».

E addio a un risultato rapido e facile. «Anthony Chung ha una macchina, vero?»

«Una Nissan Skyline. L’assicurazione deve costare una fortuna ai suoi genitori».

«Dirama un ordine di ricerca per quella macchina». Logan spinse il cestino nel punto in cui era all’inizio. Bisognava agire con i metodi di una volta. «Qualcuno dovrà pur sapere dove sono, al momento, quindi…».

«Ho stilato una lista degli amici di Agnes e Anthony». Chalmers aprì il taccuino e lo sollevò verso di lui. La pagina che gli stava mostrando era coperta di nomi e indirizzi. «E ho prenotato una volante per il resto della giornata».

Logan sorrise. «Allora andiamo a vedere se c’è qualcuno che ha voglia di fare due chiacchiere».

«Sì, cioè, eravamo proprio migliori amici». Dan Fisher si appoggiò contro il pianale del bancone, le braccia nervose e tatuate che spuntavano dalle maniche corte della T-shirt spiegazzata con il nome del pub stampato sopra. «Io e Ton eravamo tipo… Han e Chewbecca, capito?»

«Eravate?». Logan si sistemò su uno degli sgabelli di fronte al bancone. «Al passato?»

«Già…». Un’alzata di spalle. Al lobo dell’orecchio sinistro Dan aveva un cilindro cavo, grande abbastanza da farci passare dentro un tubo di Smarties. Tre anellini d’argento lo sovrastavano, un altro gli trapassava il naso e una sferetta come un freddo foruncolo di metallo sporgeva dal suo labbro inferiore. Capelli neri, lunghi fino alle spalle da un lato e rasati dall’altro. «Ci siamo un po’ persi di vista. Sa, per il fatto di Rowan e tutto il resto. Non faceva che dire…». E qui prese a imitare un forte accento americano, alzando il tono: «“È una dannata ninfomane, non sai che ha fatto l’altra notte…”. Non faceva che vantarsi, e io…». Si morse il labbro inferiore. «Be’, non pensavo fosse giusto che la trattasse così».

La Chalmers passò alla pagina successiva del taccuino, con la penna pronta. «Rowan?».

Un cenno affermativo. «Sì, non le piace farsi chiamare Agnes. E non si può mica biasimarla, no? È un nome così stupido».

«Ed è stato per questo che tu e Anthony Chung avete smesso di frequentarvi?».

Dan tirò fuori uno smartphone e vi armeggiò per qualche secondo, per poi tenderlo ai due. Sullo schermo tremava un filmato sgranato. Un gruppo di ragazzi e ragazze in un pub, sotto la luce arancione satsuma del locale. Le risate crepitavano attraverso il piccolo altoparlante del telefono, e l’inquadratura si spostò su una coppia che pomiciava nell’angolo formato dal divisorio del tavolo. I capelli del ragazzo erano più lunghi di quelli della ragazza, neri e lucenti, mentre quelli di lei erano castani e mossi, raccolti in una coda di cavallo. Lui le fece scivolare una mano sotto la T-shirt. A quel punto, il bacio si interruppe e lei lo spinse via.

Era Agnes Garfield, anche se non così carina, in quel video sgranato, come lo era nella foto sui poster con la scritta avete visto questa donna?. «Dannazione, devi lasciarlo guarire!». Lo colpì con uno schiaffo forte abbastanza da fargli volare gli occhiali da sole. «Bastardo!». E poi si allontanò, scivolando fuori dal séparé e uscendo con rabbia dall’inquadratura.

Silenzio. Poi il ragazzo recuperò gli occhiali da sole e le corse dietro. «Rowan, dai, ti prego, non volevo…». Tutti gli altri ridevano.

Dan premette il pulsante per fermare la riproduzione, poi mise via il telefono. «Si era appena fatta il piercing».

«E questo succedeva di continuo?»

«Almeno due volte ogni settimana. Lei è una brava ragazza. Un po’ matta, ma è completamente succube di Ton, anche se lui la tratta di merda. Fa il cretino con le altre alle sue spalle, è sempre scazzato e ubriaco, e non fa che dirle che è tutta colpa sua, e che è lei che lo fa bere. E lei lo lascia fare, lo perdona, gliele lascia passare tutte». Dan giocherellò con il grosso buco che aveva al lobo dell’orecchio. «Sa cosa è successo a San Valentino? Lui l’ha convinta a tatuarsi il suo nome su una coscia. Cioè, i tatuaggi sono fighi e tutto il resto, ma lui praticamente ha marcato territorio. Ma vi pare? Che stronzo». Il ragazzo strinse un pugno. «Eppure, lei non se ne accorge, non si riesce neanche più a parlarle…».

Logan prese un sorso d’acqua dal suo bicchiere. «E allora avete litigato».

«Già…». Dan aprì la bocca, infilò un dito sotto al labbro superiore e lo sollevò, mostrando uno spazio vuoto dove sarebbe dovuto esserci un dente. «Gli ho mollato un paio di pugni come si deve, ma Ton è un cazzo di ninja, sa?»

«E lasciami indovinare, Agnes non ti è stata poi così grata del fatto che volevi difenderla, vero?»

«È venuta da me, quella sera stessa, e mi ha mollato una ginocchiata nelle palle». Il ragazzo spostò lo sguardo dall’altro lato del bancone, dove due donnoni stavano ridendo a squarciagola, le scollature che tremavano come budini. «Come fa a lasciarsi trattare così? Io mi sarei preso cura di lei…».

«…non so, tipo che stanno sempre a litigare e a urlarsi contro, e cose del genere». Clive McWilliams fece un profondo tiro dalla sua sigaretta, per poi esalarlo lentamente. Il fumo si insinuò a spirali tra i suoi folti baffi e nel suo lunghissimo pizzetto. Non poteva avere più di diciannove anni, ma aveva la barba di un industriale di epoca vittoriana. La sua canottiera era macchiata di sangue, come anche il grembiule nero e gli stivali di gomma bianca che indossava. «Lei… insomma, gli fa saltare i nervi».

«E lui la picchia».

«Nah, non sono mai arrivati alle mani, sono solo quel genere di coppia a cui piace litigare e poi fare pace. Ovviamente, non lo biasimerei se le desse uno schiaffo ogni tanto: certe volte non sta zitta un attimo. E altre volte invece se ne sta lì a fissarlo come se fosse Gesù, o qualcosa del genere, sa?».

La puzza di pesce marcio e gasolio si faceva sentire lungo il molo. A una certa distanza, tre grossi gabbiani si litigavano una testa di merluzzo, strillando l’uno contro l’altro mentre planavano e si lanciavano in picchiata.

«E i litigi si inaspriscono, quando lui beve?»

«Nah… be’, in realtà non lo so, perché lui non la pianta mai di bere».

La Chalmers controllò il taccuino. «E quando assume stupefacenti?»

«Ma cosa, l’erba?». Clive rise. Poi il mozzicone ancora acceso della sua sigaretta volò oltre il bordo del molo, finendo nell’acqua coperta da una pellicola oleosa di benzina. «Non sono mica stupefacenti veri e propri, no? È solo un piccolo aiuto da parte di madre natura per aiutare il corpo a rilassarsi. Dio solo sa da dove la prende, ma è alla menta…». Poi serrò di scatto le labbra, incurvando le spalle e puntando lo sguardo in lontananza. «Non che ne sappia qualcosa, in realtà, agenti».

«Hai qualche idea di dove potrebbero essere, ora?».

Clive si passò le mani sulla canottiera sporca, poi recuperò una reticella per capelli dal grembiule e la indossò. «Non lo so. Ma dovunque siano, probabilmente lei lo sta facendo incazzare di brutto come al solito».

«…e quando dico pazza, intendo pazza sul serio». Penny Cooper si succhiò i denti per un po’, fissando il monitor di sicurezza posizionato sopra la lavagna magnetica, oltre la spalla di Logan. Poi sospirò, con le larghe spalle che si muovevano sotto la T-shirt nera. Aveva abbastanza gel nei capelli biondo cenere da somigliare a un Jedward che avesse ficcato le dita in una presa elettrica. «Okay, è carina, se ti piacciono le tipe sfacciate e sveglie che mostrano le tette, ma per il resto… Benvenuti a Mattolandia, abitanti: Agnes».

La piccola mensa del personale della libreria puzzava di kebab e cipolle, mentre il forno a microonde ronzava sul bancone. Le pareti erano fatte di mattoni di cemento poroso dipinti di bianco, e coperte di locandine di libri per bambini e thriller a base di serial killer.

Penny diede un’occhiata al microonde. «Ci mette sempre un secolo, no?»

«Hai idea di dove potrebbero essere andati?»

«Lui si è fatto Stacey per tutto il tempo, e Agnes non se ne è mai accorta. Ve lo dico io, ho perso il conto delle volte in cui Ton ha cercato di scaricarla, ma lei si presentava sempre il giorno dopo con una bottiglia di vodka e sei lattine di birra, e finiva lì. Una volta, lui l’ha mollata la sera prima di San Valentino, e lei è uscita e si è fatta tatuare il suo nome su una coscia. Ma quanto devi essere pazza per fare una cosa del genere?».

Logan lanciò uno sguardo alla Chalmers, che continuava a scribacchiare appunti sul suo taccuino.

«Quindi stai dicendo che lui era praticamente un alcolista?»

«È stata quella matta di Agnes a farcelo diventare. Non fa altro che parlare di quell’idiota di Harry Potter, e di Twilight, e di quell’altro stupido libro, Witchfire. Ma sul serio, quanti anni ha, sei?».

La sigaretta di Duncan Cocker mandava un segnale di fumo nel cielo di un vivido azzurro. «Sì… non lo so, davvero». Si appoggiò contro il ruvido muro grigio alle sue spalle e si allentò la cravatta, sistemandosi sotto a un braccio il mucchio di schede di appuntamenti che aveva con sé. «Quei due sono…». Si strinse nelle spalle, facendo le pieghe al suo completo grigio da due soldi, con il tessuto sottile e lucido esattamente come il proprietario. «Be’, sapete come, no?».

Neanche per sogno.

Il giardino era grande abbastanza per contenere un dondolo, uno scivolo e una casetta di legno che sembrava costruita da uno scimpanzé ubriaco. Le piastrelle del patio erano invase dal muschio. Un barbecue a gas e della mobilia di plastica giacevano abbandonati sull’erba.

A una certa distanza, un trattore borbottava lungo il bordo di un campo. I fiori di colza brillavano di un giallo vivido, come se qualcuno avesse passato un tratto di evidenziatore lungo il paesaggio. Un piccione tubò dal fitto di una siepe di cipressi di Leyland.

Tutto molto bucolico.

Logan si portò una mano agli occhi, per schermarli dal sole. «Quindi, lui beveva, fumava erba e l’ha lasciata?»

«Be’… lo facevano di continuo, in realtà. Non facevano che urlare: “Non ti parlerò mai più, stronzo bugiardo”, e “Vai al diavolo, pazza fottuta”. E due secondi dopo li ritrovavi a esplorarsi a vicenda le tonsille con la lingua. Perfino quando lui la tradiva».

La Chalmers smise di prendere appunti per un attimo e lo fissò. «E ad Agnes sta bene così?»

«Oh, lei gliela fa pagare, ma praticamente, se sta bene a Ton, sta bene pure a lei. Ve lo dico io, Ton ha avuto dei cani meno fedeli di lei… e sto parlando di pastori tedeschi». Duncan disegnò un piccolo cerchio in aria con la punta della sigaretta. «Ve l’hanno detto del tatuaggio?»

«E sei sicuro che non si sono mai fatti sentire? Niente chiamate perse, o messaggi?»

«Nah. Ton però è così: fa sempre il misterioso. Non gli piace che gli stiano addosso». Duncan controllò l’orologio, poi prese un altro tiro. «Quei bastardi dovrebbero già essere qui, a questo punto. Ho un’altra coppia a cui far vedere la casa, alle due e mezza».

Logan si spostò lungo il patio, in modo che il sole gli riscaldasse piacevolmente la schiena senza accecarlo. «Hai idea di dove potrebbero essere andati? Hanno mai parlato di fuggire insieme da qualche parte? Magari a sud?».

Il viso magro di Duncan si accigliò. Poi accennò con un ampio gesto della mano a campi e alberi. «E perché mai si dovrebbe voler fuggire da tutto questo? Insomma, è tipo il posto più bello del mondo».

«Non hanno mai parlato di voler lasciare Aberdeen?»

«Qualche volta, quando è ubriaco, Ton si mette a dire quanto è bella San Francisco, ma…». Duncan si protese leggermente verso di loro, abbassando la voce a un sussurro. «C’erano certi tizi della Triade di Chinatown che lo cercavano: è per questo che i suoi hanno fatto le valigie e sono venuti di corsa qui. Da quello che dice Ton, c’è stata una grossa sparatoria dietro a un ristorante, e lui ha gambizzato due di loro, mentre quelli hanno sparato a suo cugino. Bang, dritto in mezzo agli occhi».

La Chalmers gli si avvicinò di un passo. «Lui ti ha raccontato di aver ucciso due persone a San Francisco?»

«Pffff… Nah, gli ha sparato alle gambe. Per legittima difesa, tutto qui».

«E tu gli hai creduto?»

«Sì, be’… Ton è il mio migliore amico, no?». Duncan si passò le carte da un’ascella all’altra. «Non so che cosa farò, se non torna».

Logan passò la busta di carta marrone alla Chalmers e si sedette sulla panchina. Il sole gli scottava sulle guance, mentre il profumo salmastro del mare si mischiava a quello dell’erba appena tagliata. Tre enormi navi da carico erano allineate a un miglio dalla costa, probabilmente in attesa del loro turno per poter entrare nel porto. L’erba digradava in una ripida discesa verso un sentiero asfaltato, seguito da una ringhiera e da un’altra rampa scoscesa, questa volta di cemento, che terminava su un’ampia striscia di sabbia dorata. Una donna vi passeggiava, seguendo due bambine che ridevano avanzando sulla linea della battigia, per poi correre via strillando quando le onde cercavano di bagnare loro i piedi.

La Chalmers rovistò nella busta e ne tirò fuori un paio di patatine fritte. «Grazie».

«Hai notato?».

Lei masticò e deglutì. «Cosa? Che sono una coppia di matti e meritano di stare insieme?»

«A parte quello». Logan scartò il suo cheeseburger e ne prese un morso. Riprese a parlare a bocca piena. «Nessuno ha detto che Agnes si droga. Hanno parlato solo di lui».

«Ma suo padre ha detto che fumava».

«Sì, ma l’ha mai vista farlo davvero? O ha soltanto sentito l’odore della marijuana sui suoi vestiti? Forse lei nascondeva quell’erba in casa per il suo ragazzo».

«Il suo ragazzo, quell’idiota bastardo». Un anello di cipolla fritta sparì in due bocconi. «Non fa che ubriacarsi, fumare, tradirla, e lei continua a stargli dietro come un cucciolo innamorato…». Altre patatine. «Fa venire da vomitare, no?»

«Succede di continuo». Un altro morso di hamburger. Masticò, fissando il mare blu e scintillante all’orizzonte. «Dobbiamo trovare quella Stacey con cui lui la tradiva. Potrebbe vederla di nuovo».

Una delle bambine si girò per sfuggire ancora una volta al Mare del Nord, inciampò, finì a faccia avanti sulla sabbia e fu investita da una piccola onda. Cominciò a piangere e a urlare.

Logan rubò uno degli anelli di cipolla della Chalmers. «Perché restano ad Aberdeen, comunque? Se due ragazzi scappano di casa, scappano e basta, non restano nel luogo dove tutti potrebbero riconoscerli…». Inzuppò due patatine in un contenitore pieno di maionese. «E il diario?»

«È la prossima cosa di cui devo occuparmi. Ho passato la maggior parte della mattinata a controllare le registrazioni delle telecamere di sicurezza». La Chalmers aprì una bustina di sale e la rovesciò nella sua busta di carta marrone. «Quando ero piccola, mio padre ci caricava tutti in macchina e venivamo qui da Inverness per un lungo weekend, durante le vacanze estive. Giocavamo sulla spiaggia, andavamo al Duthie Park. E mangiavamo gelato e biscotti».

«Forse non stanno scappando. Forse si stanno soltanto nascondendo».

«Ci sono ancora gli animali da accarezzare, ad Hazlehead?»

«E se Anthony Chung non fumasse soltanto? Se si fosse messo anche a vendere l’erba?».

La Chalmers si ficcò qualche altra patatina in bocca. «Mi piacevano tanto i lama. Sembrano pecore mutanti e dopate».

«Fai un controllo su entrambi nella banca dati nazionale della polizia, quando torniamo alla Centrale».

«Già fatto». Si ripulì le dita succhiandole rapidamente, poi tirò fuori il solito taccuino e ne girò qualche pagina. «Ecco qui: Anthony Chung, fermato due volte per ubriachezza molesta e disturbo alla quiete pubblica, ha pagato delle multe e non è mai stato dentro. È stato multato una volta per aver guidato senza assicurazione. E ha avuto due richiami per possesso di sostanze stupefacenti, ma non gli hanno trovato addosso abbastanza erba da arrestarlo per spaccio».

«E Agnes?»

«Un angioletto, a confronto. Aveva in effetti ricevuto una diffida, una settimana prima della scomparsa… una locale casa di produzione aveva sporto denuncia perché si era introdotta nel loro studio senza autorizzazione. Un certo Mr Alexander Clark, della ClarkRig Training…».

«Un momento: Alexander Clark. Stiamo parlando forse di Zander Clark?»

«C’è il suo nome, sulla denuncia. L’hanno dovuta far accompagnare fuori dalla sicurezza per ben tre volte, e poi ha fatto effrazione».

«Perché diavolo si è introdotta in uno studio di film porno?».