capitolo 17

La Steel si bloccò sulla porta e lanciò un’occhiata all’interno. Lo Studio Due era enorme, e diviso in due set differenti. Il più grande ricostruiva un isolato di appartamenti a quattro piani con un parziale spaccato, le stanze piene di mobili ammaccati e carta da parati ammuffita, con quella che sembrava una cisterna dell’acqua in fondo. Tre persone in tuta e mascherina stavano spruzzando delle finte macchie sulla parete di una delle camere.

Poi c’era una baraccopoli ai piedi di un pendio, e l’interno di quello che poteva essere un peschereccio. Il tutto sistemato contro uno sfondo di tessuto verde costellato di piccole croci gialle. Ma a parte un gruppetto di persone che si stava occupando della scenografia, quei set erano deserti. Tutta l’attività effettiva era concentrata intorno a un altro set, sistemato in un angolo in fondo: una specie di Parlamento circolare, con degli scranni inclinati di cuoio verde e legno intagliato, sistemate intorno a un’isola centrale con un tappeto rosso e un’enorme lanterna d’ottone.

La metà del set era composta dal green screen, ma avevano costruito un segmento della parete con altre panche, un paio di balconate e un soffitto incurvato dipinto di blu e punteggiato di stelle dorate.

Due persone avanzarono verso il centro dell’area circolare. Una indossava una lunga veste nera con ricami dorati, e aveva folti capelli grigi intorno a una chierica, che arrivavano fino a metà schiena. L’altra figura era… bellissima: lunghi capelli rossi, un viso delicato, un piccolo naso all’insù e labbra perfettamente disegnate. Nichole Fyfe. Molto più bella in carne e ossa che non come era apparsa in televisione il giorno prima. Una cicatrice scura le serpeggiava sulla pelle chiarissima, a partire dalla tempia sinistra, scendendo fino a un grande occhio azzurro, per poi proseguire sulla guancia, separandone le lentiggini. Jeans neri, giacca lunga di pelle nera, una camicia di seta rossa e guanti di pelle nera. Una lunga pipa vecchio stile pendeva da un angolo della sua bocca, proprio come quella che Logan aveva trovato nel nascondiglio da Harry Potter di Agnes Garfield, e sollevava segnali di fumo verso le luci dello studio.

Un dolly li seguiva lungo il percorso, con l’operatore seduto su uno sgabello rotondo montato sulla struttura di metallo, intento ad armeggiare con leve e pulsanti, mentre qualcun altro si occupava di spingere la struttura lungo i binari.

Una voce risuonò dagli altoparlanti nascosti da qualche parte sul set. «D’accordo, era perfetta, ma questa volta, Nichole, potresti interrompere la battuta di Charles mentre dice che tutti i cadaveri portano il marchio del diavolo? A te non interessano queste sciocchezze superstiziose».

Jack fece una smorfia e allungò il collo verso un gruppo di monitor e cavi. «Oops, sarà meglio sbrigarsi». Si affrettò ad avanzare, facendo cenno a Logan e alla Steel di seguirlo.

Seduto su una sedia pieghevole da regista, nel cuore di quel groviglio di cavi, c’era un uomo enorme, alto almeno quanto era largo, con un taglio di capelli alquanto bizzarro, che faceva pensare che si fosse incollato in testa una pinna di squalo sbilenca e colorata di rosso scarlatto. Il pizzetto che sfoggiava, invece, era di un innaturale nero corvino, sicuramente frutto di una tinta. I suoi sottili occhiali rettangolari scintillavano della luce riflessa di un piccolo schermo. «Okay, giriamo la scena tre-sessanta-due…».

«Mi scusi, Zander, signore, ha delle visite».

Il gigante non alzò lo sguardo dal monitor. «Te l’ho già detto, Jack, non c’è bisogno che mi chiami “signore”. Siamo tutti artisti, qui… Eeeeeee: azione!».

Calò il silenzio.

Poi una voce risuonò negli altoparlanti: «Tre-sessanta-due, quarta», seguita da un rumore secco.

Nichole Fyfe alzò lo sguardo sull’uomo ammantato. «Deve essere fermata».

Un sospiro. «Comprendo le tue preoccupazioni, ma è un’ottima cercatrice. Una delle migliori che abbiamo».

«È una psicopatica! Un mostro!». Gli occhi azzurri di Nichole sembrarono lampeggiare. «È peggio di quelli a cui diamo la caccia».

La Steel tirò una manica di Logan, poi un sussurro che sapeva di nicotina raggiunse l’orecchio dell’ispettore con il respiro caldo del commissario: «Secondo te si metteranno a scopare subito? Non voglio vedere quel vecchio quando tira fuori l’uccello, però. Anche se riuscirà a farselo venire duro, sarà tutto grigio e raggrinzito».

«Cerca di capire: abbiamo l’obbligo di mantenere la pace».

«Ma non potete farlo assassinando la gente!». Nichole si volse e avanzò verso la telecamera, mentre il dolly arretrava. «Non mi sono unita alle Dita per questo».

La Steel mugolò sommessamente. «Bada bene, se sarà lei a fare tutto, a me sta benissimo».

«Non potrebbe semplicemente piantarla?»

«Rowan!». L’uomo ammantato le zoppicò dietro. «Mrs Shepherd ha trovato il marchio del diavolo su ognuno di quei…».

«Ovvio che l’ha trovato!». Nichole si girò di scatto, togliendosi la pipa di bocca e spingendone l’estremità contro il petto dell’uomo. «Se si cercasse abbastanza, se ne troverebbe uno su chiunque. Dammi un coltello, del fuoco e un quarto d’ora, e troverò il marchio del diavolo su un qualsiasi ministro». Un altro tocco deciso. «Ne troverò uno su di te».

La Steel si leccò le labbra. «Scommetto che scopa come un martello pneumatico».

«Shhhh!».

Nichole Fyfe tornò a voltarsi e oltrepassò la telecamera, uscendo dal set.

«Rowan! Rowan! torna qui!».

Silenzio.

Zander Clark si chinò in avanti e premette un pulsante sul microfono accanto al monitor. «Eeeeeee… stop! Buona, ottimo lavoro, tutti quanti».

Un applauso scrosciò tra i membri della troupe.

Jack si fece avanti e picchiettò il regista sulla spalla. «Scusami, Zander, ma la polizia dovrebbe parlarti…».

La larga faccia di Zander si imbronciò di colpo. «E cosa vuole la polizia…». Poi fissò Logan. «Sergente McRae!». E il broncio si sciolse in un sorriso. Adesso era perfettamente identico alla foto sul passi che aveva intorno al collo. «Che piacere rivederla. Ne è passato, di tempo. E ha portato anche…». Un altro ampio sorriso, mentre il regista batteva le mani con entusiasmo. «Ispettore Steel, come sta la sua incantevole signora?».

La Steel sbuffò leggermente. «Come mai non si è ancora spogliato nessuno?».

Un battito di ciglia. Poi il sorriso si trasformò in un ghigno. «No, no, ispettore. Non ha sentito? Quei tempi ormai me li sono lasciati alle spalle: stiamo girando un blockbuster hollywoodiano a tutti gli effetti, qui».

«Oh…». Roberta Steel afflosciò le spalle. «Niente sesso selvaggio?»

«Giusto una scena di nudo, ma molto artistica e comunque legata alla trama». Il regista tornò a chinarsi in avanti per attivare il microfono. «Charles, Nichole, siete stati perfetti. Ci prepariamo a girare la tre-sei-tre». Lasciò andare il pulsante. «Ecco, non che non sia felice di rivedervi entrambi, ma non sapete quanto ci costa ogni minuto di questo lavoro, quindi…?».

Logan si fece da parte per agevolare il passaggio di una donna che spingeva un grosso carrello per il trucco. «Siamo qui per parlare di Agnes Garfield».

Il sorriso svanì dal volto di Zander. Alzò lo sguardo per un attimo verso i fari sopra le loro teste. Poi un profondo sospiro sgonfiò la sua enorme figura. «Datemi un quarto d’ora, poi potremo parlare più tranquillamente mentre sistemano il set per la tre-sessanta-quattro».

«Dio, è stato un incubo totale». Zander si lasciò cadere sulla poltroncina, allargando le braccia sugli schienali della fila che aveva scelto. La sala di visione non era enorme, e conteneva al massimo una cinquantina di poltrone da cinema sistemate su una mezza dozzina di file. Un proiettore montato sul soffitto faceva scorrere delle immagini sullo schermo in fondo alla stanza, dove un gruppetto di persone parlottava incessantemente, riavvolgendo o mandando avanti un filmato in cui degli attori vestiti da sacerdoti si urlavano contro.

Logan si sedette nella fila davanti a quella scelta dal regista. «Quindi ha cercato di intrufolarsi all’interno dello studio?»

«No, non subito». Si strinse nelle spalle, facendo tremare il doppio mento. «Inizialmente è stata carinissima: ha detto che voleva studiare cinema alla Glasgow University, che era una grande fan dei romanzi, e ci ha chiesto di permetterle di lavorare come tuttofare, per fare un po’ di esperienza sul campo».

«Secondo suo padre, doveva iscriversi alla facoltà di economia ad Aberdeen, invece».

«Inizialmente era tranquilla… faceva quello che le veniva chiesto, era sempre puntuale, e la sua conoscenza dei romanzi era… praticamente perfetta. Ogni volta che l’autore aveva un problema, era sempre lì, pronta a gonfiare il suo ego e a farlo felice. Ci ha fatto perfino da ufficio stampa, localmente: ha fatto uscire dei concorsi sui giornali, il cast è andato a servire un pasto in una mensa per senzatetto, ci sono state delle visite guidate sul set per alcune scuole elementari, e poi la ricostruzione di un vero processo per stregoneria del quindicesimo secolo…». Zander sospirò. «Poi è cambiato tutto: ha cominciato a litigare con i falegnami e i pittori perché i set non erano esattamente come nel romanzo. E poi si è infuriata con gli sceneggiatori perché avevano fatto dei cambiamenti nella trama e nei dialoghi… come se fosse possibile portare sullo schermo un romanzo riga per riga!».

Il commissario Steel si lasciò cadere su una poltroncina nella fila davanti a quella di Logan, con un bicchiere di carta in una mano e un danese alla crema nell’altra. «Non riesco a crederci, niente sesso…».

«Ogni volta l’ho convocata e ci ho parlato. Ogni volta si scusava e mi prometteva che si sarebbe comportata bene, e mi chiedeva di darle un’altra possibilità. E visto che ho il cuore tenero, ho sempre ceduto».

«Non avete qualche filmato d’archivio a cui potrei dare un’occhiata? Insomma, in memoria dei vecchi tempi, no?»

«Ma alla fine si è messa a infastidire perfino gli attori su come avrebbero dovuto interpretare i personaggi, o recitare le battute, e allora le ho chiesto di andarsene».

La Steel tolse il coperchio di plastica dal bicchiere, e l’aroma amaro e forte del caffè invase il piccolo cinema. «Non deve per forza essere roba hardcore, basterebbero anche due ragazze che si strusciano… Che c’è?».

Logan la fulminò con lo sguardo. «Non potrebbe tenere a freno la sua libido per cinque minuti? Potrà scaricarsi un porno appena tornerà a casa, okay?»

«Comunque, dopo che l’abbiamo mandata via, ha cominciato a presentarsi fuori dallo studio e a seguire la gente della troupe fino a casa… Insomma, ha cominciato a darci seriamente fastidio. È entrata nello studio un paio di volte senza autorizzazione e l’abbiamo dovuta accompagnare fuori con la forza. E poi è entrata di notte e ha scritto “ladri e bugiardi” su tutta la postazione del montaggio con lo spray, oltre a fare a pezzi alcuni dei costumi».

La Steel fece una smorfia, incrociando le braccia sotto al seno. «Stavo solo chiedendo».

«Non la gireremo neanche, la scena dei ladri e bugiardi: il romanzo è enorme, e abbiamo dovuto fare dei tagli. Quindi ho sporto denuncia». Sollevò il mento, portandosi dietro un’enorme massa di grasso. «So di non essere stato carino, ma questa è una produzione da diversi milioni di sterline. Non posso permettere che venga sabotata da una ragazzina con le paturnie».

«Zander?». Un uomo alto e magro con gli occhi incavati e una polo aderente addosso si fermò nel corridoio, due file più in basso. La luce del proiettore scintillava sulla sua testa calva, come se l’avesse lucidata. Aveva un tono di voce profondo e basso, che faceva pensare allo scontro tra due iceberg, e mentre parlava, la pelle cascante intorno al mento e al collo tremava a tempo con i movimenti delle labbra. Come se prima fosse stato molto più grosso, ma poi qualcuno avesse fatto uscire tutta l’aria, facendolo afflosciare. «Hai un minuto per dare un’occhiata al montaggio della uno-venti-nove?».

Zander si sfilò gli occhiali e strinse il setto nasale tra due dita. «David… Stavo giusto raccontando a questi signori di Agnes Garfield».

L’uomo fece una smorfia. «Non avremmo dovuto ritirare la denuncia. Gente come quella meriterebbe di…». Aggrottò la fronte fissando la nuca della Steel, poi portò lo sguardo su Logan. «Comunque, uno-venti-nove».

Si girò e tornò in fondo alla sala, armeggiando con un telecomando. Lo schermo si oscurò. Poi ci fu un piccolo suono. E infine comparve l’inquadratura di una donna avvolta da un mantello nero con tanto di cappuccio, simile a quello dell’iconografia del Tristo Mietitore, con diversi ricami neri, che nascondeva in parte una tuta di pelle rosso fuoco. La donna portò le mani al volto e rovesciò il cappuccio sulle spalle. Una cascata di capelli rossi le incorniciò il viso, mentre lei snudava i denti in un ringhio… Era l’altra attrice, quella che Logan aveva visto in tv con Nichole Fyfe, e stava mostrando il suo lato più malvagio alla telecamera.

Come si chiamava? Mary? Maureen? No: Morgan.

C’era qualcosa… qualcosa di sbagliato, nei suoi occhi grigio-verdi, un lampo pericoloso e squilibrato.

Zander sfiorò il braccio di Logan e gli indicò lo schermo. «È bravissima, vero? Un’attrice fantastica».

La telecamera si allontanò. Morgan era in piedi di fronte a un uomo inginocchiato a terra, con le mani legate dietro la schiena e uno pneumatico incastrato intorno al petto, la testa e un braccio infilati attraverso il foro centrale.

«Thomas Leis, sei stato giudicato colpevole di stregoneria…».

Logan scattò in piedi, il sedile che tornava a chiudersi con un tonfo alle sue spalle. «Lo avete incravattato?»

«Non sono uno stregone, è uno sbaglio!». Lacrime e muco scintillavano sul volto dell’uomo, che aveva gli occhi spalancati e la bocca contorta.

«…e condannato a bruciare sul rogo fino a che morte non sopraggiunga».

Zander si chinò in avanti, aguzzando lo sguardo verso lo schermo. «Shh…».

«Io non ho fatto niente!».

«Codardo». La giovane prese una scatola di fiammiferi, e l’inquadratura si strinse sulle sue dita mentre ne accendeva uno e poco dopo dava fuoco all’intera scatola, per poi fare una carrellata dal basso, passando dall’uomo terrorizzato all’intera figura di lei in piedi.

«ti prego!».

«Abbiamo trovato un cadavere, sabato sera». Logan indicò lo schermo. «Quell’uomo è stato ucciso così! Esattamente in quel modo!».

«Brucia. Così come brucerai all’inferno». Un sorriso crudele le danzò sul volto. «Sarà un buon modo per abituarti». La scatola di fiammiferi accesi volò nell’aria, per poi piombare sulla gomma, e un lampo di fiamme azzurre e gialle si sollevò, crepitando lungo tutta la circonferenza dello pneumatico.

L’uomo in ginocchio prese a urlare, dibattendosi e facendo tintinnare le catene che lo bloccavano. La telecamera fece un primo piano del suo volto avvolto dal fumo nero…

Zander agitò una mano. «Puoi mettere in pausa, David?».

Sullo schermo, l’uomo in fiamme si bloccò del tutto, con la bocca spalancata in un urlo di agonia.

Lì in fondo alla sala, il cadaverico David sollevò un puntatore laser e fece scivolare il suo vivido cursore rosso intorno al volto dell’uomo. «Lo vedi?»

«Sì, il compositing deve essere più preciso. E possiamo rendere quel muco un po’ più fluido? Mi sembra un po’ troppo…». Agitò le dita. «Non so, denso».

Logan tornò a sedersi. «È esattamente la stessa situazione: in ginocchio, incatenato a un palo, con una gomma intorno alla testa e a un braccio».

Zander aggrottò la fronte, tirando indietro il mento e creando una serie di pieghe ondeggianti sul suo grasso collo. «Il rogo di Thomas Leis è una scena chiave del film. Siamo stati molto fedeli al romanzo, in questo caso: i fan ci avrebbero linciato, se l’avessimo cambiata».

«È nel romanzo?»

«È fondamentale per comprendere il carattere di Mrs Shepherd».

La Steel aguzzò lo sguardo verso la parte anteriore della sala.

L’uomo alto e scarno aveva tirato fuori una bustina di plastica. Ne trasse quello che sembrava il dito di un bambino e cominciò a sgranocchiarlo.

La sua voce era ridotta a poco più che un sussurro. «David…?». Poi si alzò in piedi. «Ma per la miseria, non è possibile! David Insch?». Portò le mani intorno alla bocca. «ehi, inschy! sei tu?».

Doveva essere impazzita. Non poteva essere assolutamente l’ex ispettore Insch. Quell’uomo aveva la stazza di un fienile: una macchina per triturare cibo di un metro e ottantacinque centimetri di statura, con seri problemi di controllo della rabbia.

David raddrizzò le spalle, gonfiando il petto e sollevando il mento, che si trascinò dietro anche una grossa piega di pelle floscia. «Ispettore Steel».

Quel tono basso e deluso era assolutamente inconfondibile.

«Sei tu! Sei proprio Insch, quant’è vero che sono viva e scopo…». Schiuse le labbra in un ghigno sghembo. «Che diavolo ti è successo? Sembri un gonfiabile sgonfio appoggiato sopra una scala a pioli».

«L’età non ti ha migliorato affatto, eh? Ti comporti ancora come una mocciosa di due anni».

Zander batté le mani. «Fantastico. Mi ero dimenticato che voi vi conoscete. David, perché non ti occupi tu dell’ispettore Steel e del sergente McRae, così io posso tornare al lavoro?»

«Ma…».

«Il tempo e il direttore della fotografia non aspettano nessuno».

Insch chiuse gli occhi, si massaggiò le tempie e serrò i denti, mostrandoli tra le labbra sottili e tremanti. «Erba fresca e umida, erba fresca e umida…».

Non cambiava mai nulla.