capitolo 32

L’obitorio era tranquillo e silenzioso: niente stridio di seghe per ossa, niente musica dalla sala autopsie, niente ronzio delle ventole che portavano via il fetore della morte. Soltanto il suono del respiro di Mrs Chung, irregolare e ansante, come se fosse sul punto di svenire, mentre si aggrappava al braccio del marito come a un salvagente. Alla deriva in un oceano di paura e angoscia.

Logan si schiarì la gola.

«Siete sicuri di volerlo fare?».

La donna annuì, mentre due lacrime le scivolavano lungo le guance nella luce soffusa della stanza.

«Non siete costretti a farlo. Ricordate le foto che vi ho mostrato? È stato gravemente…».

«No». La voce della donna era rauca e soffocata. «Io devo vedere mio figlio…».

«Okay». Un respiro profondo.

Annuì a Rennie, che premette il pulsante. Le tendine si scostarono, rivelando i resti di Anthony Chung.

Avevano fatto del loro meglio, coprendolo dal mento in giù con un lenzuolo di tessuto ruvido, ma non c’era nulla che potessero fare per il suo volto.

La madre del ragazzo impallidì, mentre il suo corpo veniva scosso da un tremito convulso. Poi sgranò gli occhi e premette entrambe le mani contro le labbra, prima di girarsi di scatto e fuggire dalla stanza. Rennie si affrettò a seguirla.

«Lui…». Raymond Chung deglutì, fissando quei lineamenti deturpati. «Cosa gli hanno fatto agli occhi?»

«È soltanto un effetto della decomposizione. Ricorda quando ne abbiamo parlato, nella sala d’aspetto? È una conseguenza naturale: gli occhi sono i primi a disfarsi».

«Sì, giusto… la decomposizione…». Sbatté un paio di volte le palpebre, la fronte imperlata di sudore.

«Mr Chung?».

Lui si leccò le labbra, poi il suo pomo d’Adamo si mosse come se cercasse di deglutire a forza. «C’è qualcosa. Sul collo». Il suo dito tracciò un cerchio sul vetro. «Lì. È un tatuaggio?».

Era appena visibile al di sotto della pelle livida, ma effettivamente tre punte irregolari spuntavano dal bordo del lenzuolo che arrivava fino al mento del cadavere.

Raymond Chung si morse il labbro inferiore. «Può… può far abbassare il lenzuolo?».

Logan premette il pulsante del citofono. «Possiamo abbassare leggermente il lenzuolo, a sinistra?».

Dall’altra parte del vetro, Miss Dalrymple uscì dall’ombra, vestita di un camice chirurgico immacolato, e scostò con delicatezza il lenzuolo, mostrando il fantasma di un tatuaggio tribale, spezzato da una serie di piccoli tagli.

Raymond Chung chiuse gli occhi e appoggiò la fronte contro il vetro. «È lui. È Anthony».

«Ne è sicuro? Perché non ci sono tatuaggi sulle foto che abbiamo…».

«Conosco mio figlio!». Le sue spalle furono scosse da un tremito. «Si era fatto quel tatuaggio il giorno prima di sparire. Aveva detto che avrebbe fatto colpo su Agnes…». L’uomo si strinse le braccia intorno al busto. «La prego, ora…». Un sospiro spezzato. «Basta, non credo di farcela oltre».

Rennie tornò nella stanza, con due caffè sul coperchio di una scatola di carta per fotocopie in bilico sul palmo di una mano e un fascicolo azzurro nell’altra, tenendo sotto al braccio una rivista patinata. Posò il vassoio improvvisato in un angolo della scrivania di Logan e si afflosciò sulla sedia degli ospiti. «Quella poveretta ha vomitato anche l’anima». Si frugò nelle tasche della giacca e ne tirò fuori un paio di Kit Kat.

«Non posso certo biasimarla».

Rennie scartò uno snack, gli diede un morso, prese un sorso di caffè e si appoggiò allo schienale della sedia, tornando alla sua rivista, una copia di «Heat» con un’altra foto di Nichole Fyfe e Morgan Mitchell in copertina. Le due posavano nei loro abiti da Dita, con tanto di spade e pistole scintillanti. più vicine di due sorelle: nichole e morgan parlano di uomini, pistole e di come ottenere un corpo da star!

Logan tolse il coperchio di plastica dal suo bicchiere di caffè. «Stai comodo?»

«Abbastanza, grazie». Rennie sfogliò la rivista, con qualche briciola di Kit Kat che gli si appiccicava al mento mentre continuava a masticare. Poi si bloccò di colpo, a bocca aperta. «Oh, cavolo!». Sollevò le pagine centrali, con Nichole e Morgan in bikini a Balmedie Beach. «Se non fossi sposato…».

«…lei non avrebbe comunque niente a che fare con te». Logan controllò l’email. Niente messaggi di fan minacciosi o strani da parte dell’assistente di William Hunter, per il momento.

«Nah, invece avrei una buona influenza su di lei». Rennie rimise dritta la rivista e sorrise, osservando la foto. «La terrei sulla retta via».

Nella casella della posta in arrivo c’erano circa una mezza dozzina di messaggi della Steel, uno del commissario capo che gli ricordava di non divulgare nulla alla stampa, e quattro avvisi dei Servizi Interni che spiegavano nei dettagli cosa sarebbe accaduto alla persona che continuava a intasare i bagni del terzo piano con i pacchetti vuoti delle noccioline, una volta scoperta.

Cancellò tutto.

Rennie prese un altro morso di Kit Kat. «Guthrie ha scommesso venti sterline con me se la Fyfe avesse accoltellato o no qualcuno a tredici anni. Che idiota».

Logan alzò lo sguardo dallo schermo. «Ha accoltellato qualcuno?»

«Ovviamente no. Il suo ragazzo ha massacrato un tizio a colpi di mazza da cricket quando aveva quindici anni, ma lei al massimo ha rubato una macchina per farci un giro nel quartiere e qualcosa in un WHSmith. Insomma, furto di auto e qualche snack. Non è esattamente Moriarty, no?».

Logan sbuffò e tornò a cancellare messaggi. «Non dovresti fare controlli nella banca dati nazionale della polizia per delle scommesse. Ritieniti fortunato se non ti denuncio per questo».

«Ah… Be’, non è stata davvero una…». Il telefono di Rennie prese a squillare, da qualche parte in fondo a una tasca. «Salvato in corner». Lo tirò fuori, premette un pulsante e se lo portò all’orecchio. «Sì?… Uh-huh… Certo… Okay, glielo dico». Poi chiuse la chiamata e si mise in bocca ciò che restava del suo Kit Kat.

«Cosa dovresti dirmi?».

Rennie sogghignò, con i denti macchiati di cioccolato. «Hanno trovato una fossa aperta…».

Logan guardò oltre il bordo della buca, verso il fondo di terriccio scuro e umido più in basso. «E non hanno visto nessuno?».

Rennie si appoggiò contro una lapide coperta di licheni e sbadigliò. «Il guardiano del cimitero dice che può essere accaduto in qualunque momento, nel corso delle ultime quattro settimane. Da quando hanno tagliato gli stipendi, viene qui soltanto una volta al mese».

Il cimitero si estendeva oltre un muro di pietra alto poco meno di due metri, che circondava una cadente chiesa di granito, le cui pareti erano verdi di muschio sotto alle grondaie arrugginite. I rovi avevano colonizzato senza ritegno i confini della zona, allungando spire spinose fino alle tombe più vicine. Bianchi soffioni di tarassaco si piegavano al vento, disperdendosi nell’aria. Una farfalla svolazzava sull’erba alta e umida.

Della chiesa non restava che una parete intera, e la metà di quella adiacente. Un angolo di spessi blocchi di granito, su cui l’intonaco si andava ormai sbriciolando. Un altro centinaio d’anni, e non ne sarebbe rimasto che un mucchio di macerie coperto d’erba.

La fossa scavata misurava circa un metro di lunghezza e un metro e mezzo di profondità, ed era circondata da ortiche e piante di camenerio, dai fiori di un vivido color fucsia. Il terreno si ammucchiava disordinatamente da un lato.

«E c’era un corpo, lì dentro?»

«Difficile a dirsi, a quanto pare. Quando la chiesa è bruciata, nel cinquantadue, i registri locali sono andati per la maggior parte in cenere. La metà delle pietre tombali di questa sezione del cimitero è illeggibile o mancante».

Logan si accosciò sul bordo della fossa; una cascata di terriccio vi finì dentro. L’odore di pane ammuffito risalì fino a lui. «Sembrerebbe che ci siano i segni di una pala, sul terriccio della buca. Potremmo averne la certezza, se si trovasse il badile».

Un altro sbadiglio da parte di Rennie. «Pensa che sia stata davvero lei? Agnes Garfield?»

«Una giovane donna mentalmente instabile smette di prendere le sue medicine e uccide il fidanzato che la tradiva».

«Sì, ma arrivare a trafugare corpi in un cimitero?». Rennie si passò una mano tra i capelli biondi e dritti. «Insomma, ho avuto qualche ragazza non esattamente normale, ai miei tempi, ma non al punto da profanare una tomba».

«Potrebbe anche non essere stata lei». Logan si alzò, ripulendosi le mani dal terriccio. «Fai venire la Scientifica: voglio sapere quando è stata scavata la buca. E voglio scoprire se si tratta dello scheletro che già abbiamo, o di uno nuovo».

«Se lo è, quella ragazza è completamente matta». Rennie si strinse le braccia intorno al busto, sbadigliando e rabbrividendo. «Chiunque sia stato in grado di fare quelle cose orribili al povero vecchio Muffa Forman deve essere tenuto sotto chiave. E parlo di camicia di forza, muri imbottiti e chiave buttata in un pozzo. Insomma, lui di certo non la tradiva, no?».

Un atto di violenza immotivata? No, improbabile. «Deve aver fatto qualcosa».

«Comunque», Rennie accennò alla fossa, «chi ha detto che stava per forza cercando di rubare un corpo? Magari invece stava cercando di seppellire qualcosa ed è stata interrotta».

Idiota.

Logan prese il cellulare e cercò tra i contatti della rubrica, finché non ritrovò quello dello storico del Municipio.

«No, davvero, in fondo le streghe seppelliscono sempre qualcosa nei cimiteri sotto la luna piena, giusto?»

«Quella non è una strega, è una ragazzina». Premette un pulsante e attese che qualcuno rispondesse alla chiamata.

«Sì, ma magari pensa di essere una strega. È per questo che ha disegnato un cerchio magico sul pavimento della cucina di quella casa, quando ha ucciso Anthony Chung: stregoneria».

«L’ha disegnato perché era nel libro. E ha incravattato e bruciato Ray Forman perché era nel libro». Logan tornò verso la macchina, mentre lunghi steli d’erba umida gli si aggrappavano alle gambe. «È così che si comporta».

Rennie lo seguì più lentamente, calciando l’erba. «Comunque, non può essere lo scheletro che abbiamo ritrovato sul tetto della sua roulotte, giusto? Non penso che qui ci sia una sola lapide più recente della fine dell’Ottocento. Invece il nostro scheletro risale a… quanto? Trent’anni fa?».

Dannazione. L’idiota aveva ragione.

«In questo caso, è…».

Il ricevitore crepitò. «Pronto?»

«Mr Hay? Sono l’ispettore McRae».

«Ah…». Un sospiro. «C’è un altro cadavere, vero? Solo che dopo l’ultima volta…».

«No, qualcuno sta scoperchiando delle tombe».

«…Okay. Non è esattamente il mio campo di…».

«E sono tombe dell’Ottocento. Avrei bisogno di lei per scoprire chi era sepolto dove a…». Fece una pausa, posando la mano sul ricevitore. «Dov’è che siamo?»

«L’indicazione qua fuori dice che è la chiesa parrocchiale di Kingleath».

«Nel cimitero della chiesa parrocchiale di Kingleath, a circa dieci chilometri a est di Inverurie. È un edificio in rovina».

«Un momento…». Si udì il rumore tipico di dita che si muovevano su una tastiera. «Ci siamo avvalsi dell’aiuto di alcuni studenti della Robert Gordon University per realizzare un archivio computerizzato di diversi registri delle parrocchie locali… Ah, è fortunato: hanno lavorato anche sulla chiesa di Kingleath. Bene, dove si trova la sua tomba?».

Logan lanciò uno sguardo alla fossa, alle sue spalle. «A circa quattro metri e mezzo dal muro di cinta a ovest del cimitero, e a circa tre metri e mezzo da quello a nord».

«Okay… può dirmi per caso i nomi di qualche lapide nelle vicinanze?»

«Aspetti un attimo». Logan tornò a coprire il ricevitore con una mano e disse a Rennie di andare a controllare.

Il sergente tornò un paio di minuti più tardi, scuotendo una mano, stringendola a pugno e poi aprendola di nuovo, e soffiando sull’irritazione di un rosso acceso sparsa di piccoli punti bianchi in rilievo. «Dannate ortiche».

«Allora, le tombe?»

«La più vicina ancora leggibile è di una certa Mrs Katie Cook, che è morta nel 1892. Due lapidi a sinistra del buco».

Logan riferì l’informazione, e sentì digitare ancora sulla tastiera.

«Bene, in questo caso, si può trattare di due persone: Miss Polly McGrath, nubile, nata nel 1862 e morta nel 1885; o Mr Nicholas Alexander Balfour, nato nel 1835 e morto nel 1890…». Una pausa. «Nicholas Balfour. Nicholas Balfour. Perché mi ricorda qualcosa…? Un momento, per favore».

Ancora il suono dei tasti. Poi una breve imprecazione, e una serie di fruscii. Infine, Hay tornò al telefono. «Mi suonava familiare, e non mi sbagliavo: Nicholas Alexander Balfour era uno spiritista e medium dell’epoca vittoriana. Ha effettuato sedute spiritiche in tutto il Regno Unito, ne ha fatta una perfino per Victor Hugo, a Jersey nel 1853. Balfour è stato strangolato a Inverurie da un vedovo di nome Sandy Hugh. L’uomo temeva che la moglie morta sarebbe apparsa a Balfour per rivelargli che lui l’aveva avvelenata».

E poi, più di centoventi anni dopo, Agnes Garfield arrivava e trafugava i resti di Balfour. Il che aveva anche un senso, dopotutto: in fondo, se aveva lasciato gran parte del suo ultimo scheletro sul tetto della roulotte di Logan, avrebbe avuto bisogno di recuperarne un altro da qualche parte.

«Grazie». L’ispettore chiuse la telefonata e fece per riporre il cellulare, che tuttavia riprese a squillare prima che potesse rimetterlo in tasca. «Oh… al diavolo». Però rispose. «Pronto?».

Gli rispose una voce bassa e profonda, dall’accento per metà di Aberdeen e per metà raffinato ed elegante. Wee Hamish Mowat. «Ah, Logan, avrei un favore da chiederti».

Merda…

Premette il cellulare contro il petto. «Rennie, chiama la Centrale e vedi se hanno saputo qualcosa dal dottor Marks».

Attese finché il sergente non si fu allontanato abbastanza. «Hamish».

«Vedi, c’è una faccenda piuttosto delicata che riguarda un gruppo di affaristi stranieri e uno di imprenditori locali».

«Le piantagioni di cannabis?»

«Hai mai letto L’origine delle specie di Darwin?».

Logan si appoggiò contro una delle pareti ancora in piedi della chiesa. «Abbiamo scoperto un’altra vittima orientale, stamattina. Qualcuno gli ha spaccato le rotule a martellate».

«La teoria dell’evoluzione è estremamente elegante, non trovi? Io sono assolutamente per la sopravvivenza del più adatto, ma talvolta la lotta per le risorse può sfuggire al controllo, e questo non fa bene all’ecosistema. L’equilibrio si perde completamente».

«Si tratta dei fratelli McLeod, vero? Sono stati loro a gambizzare tutti quegli orientali. Che stanno tentando di fare? Vogliono prendersi il loro territorio?»

«A me non piace parteggiare per qualcuno, in queste faccende, Logan. Non mi interessa quale delle specie faccia estinguere l’altra, finché l’ecosistema resta intatto. E più a lungo questa situazione si trascinerà, più farà danni». Una pausa. «Ti dispiacerebbe dare una mano all’evoluzione, questa volta?».

Il raggio di sole che aveva fatto brillare i capelli di Rennie come una lampadina decorativa scintillò un’ultima volta, prima che le nuvole lo inghiottissero del tutto. Una goccia di pioggia piombò sul braccio di Logan. Poi un’altra.

Fare un favore a Wee Hamish Mowat. Non avrebbe fatto niente di male, in fondo, giusto? I McLeod e quelli che coltivavano marijuana stavano infrangendo comunque la legge. Entrambe le fazioni dovevano essere spazzate via dalle strade. Se era anche nell’interesse di Wee Hamish veder finire immediatamente quella guerra, non significava che non fosse la cosa giusta da fare.

E poi, non sarebbe stata certo la prima volta.

«Logan? Sei ancora lì?»

«Non posso fare nulla, senza le prove. Ho bisogno di fotografie, della posizione esatta delle piantagioni di cannabis, di qualcuno che sia pronto a testimoniare in tribunale. Prove».

«Ma certo. Non si potrebbe fare in nessun altro modo».

Logan attaccò e ripose il telefono in tasca.

In lontananza si udì un lieve crepitio, seguito dal basso ruggito del tuono. La temperatura stava scendendo. Il cielo si aprì, e la pioggia cominciò a scrosciare con violenza.