capitolo 35

Insch si fermò vicino a un gruppetto di tre uomini, tutti pelle e ossa e tremanti, con le maniche tirate giù fino alle punte delle dita per nascondere i buchi. Diede a ciascuno un bicchiere di polistirolo, riempiendolo di cappuccino schiumoso. «Ecco a voi…».

Logan lo fissò. «Sai che sto cercando di arrestare qualcuno che ha ucciso almeno due persone, vero? Senza parlare del furto di cadavere».

Si spostarono accanto a un altro gruppo, che Insch rifornì di cappuccino alla nocciola. «Hai idea di quanto denaro ho investito in questo progetto? Tutti i miei risparmi, fino all’ultimo penny. L’ultima cosa di cui ho bisogno è un gruppo di ladri bastardi che mi portino via i guadagni! E la contraffazione è equivalente a un furto».

L’ex ispettore continuò a camminare, dirigendosi verso due donne vestite di informi calzoni da jogging grigi e felpe con il cappuccio sulle spalle, mentre la sua voce si abbassava a un sussurro rauco. «Cerca di non comportarti come un adolescente innamorato, ora».

«E perché mai dovrei…».

«Signore: ecco il vostro cappuccino alla nocciola!».

Entrambe le donne si voltarono, una con una busta nera dell’immondizia nelle mani inguantate, l’altra con un lungo bastone con la punta di metallo, usato per recuperare dal marciapiede un pacchetto vuoto di patatine, che lasciò cadere nella busta. Era Nichole Fyfe. «Ah, David, sei assolutamente un eroe!».

L’altra posò la busta sul lastricato e si tolse i guanti. «Fantastico». Si sfilò il cappuccio, mostrando una massa di ricci rossi, di un rosso arrabbiato come quello di Samantha. Doveva essere Morgan Comesichiamava, quella che domenica mattina in tv continuava a lanciare sguardi lascivi alla telecamera.

Insch offrì a entrambe un bicchiere di polistirolo, sorridendo come un genitore orgoglioso. «Alla maniera dei senzatetto, temo: abbiamo lasciato le tazze di porcellana allo studio». Premette il pulsante sul thermos e il profumo dolce e appiccicoso del caffè e dello sciroppo alla nocciola si diffuse intorno a loro. «Logan, lei è Morgan Mitchell, la nostra terrificante Mrs Shepherd. Morgan, lui è l’ispettore McRae».

Lei strinse le dita intorno alla tazza di polistirolo, guardandolo da sopra il bordo. Aveva un fortissimo accento newyorkese, molto più marcato di quello che aveva sentito in tv e completamente diverso dalla voce del suo personaggio, quando aveva messo al rogo l’uomo il cui volto non era stato ben montato in post-produzione. «Bene, bene, bene…». Gli rivolse un sorriso lento e malizioso. «Nichole, mi avevi detto che era carino, ma ti eri dimenticata di dirmi che era un così bel pezzo di manzo».

Logan iniziò a sentire parecchio caldo tra il collo e il colletto della camicia. «Be’, io… ecco…».

«Che gran bel paio di occhi neri abbiamo qui. Mi fanno pensare a Fight Club, e Dio se l’ho amato, quel film. Molto sexy». Poi gli tese la mano. «McRae… Lei era il pupillo di David, giusto?»

«Be’, non so se potrei definirmi…».

Insch gli batté una pacca sulla schiena. «Ma certo che lo eri». Il sogghigno si trasformò in un’espressione accigliata, mentre l’uomo si piegava sulle sue star. «State bene, tutte e due? Avete bisogno di qualcosa?».

Nichole gli sorrise. «Stiamo bene, davvero». Poi prese Logan a braccetto. E lo guardò dal basso con quegli occhi azzurri, dalle pupille dilatate e scure, scintillanti come bottoni. «Dunque, ispettore McRae, è venuto qui per assaggiare il pasticcio di Rudy e Lola o…?».

Cominciava a fare decisamente troppo caldo, da quelle parti. «Dobbiamo trovare qualcuno che abbia visto Agnes Garfield, o che sappia dirci dove sia».

«Dio, Agnes…». Morgan finse di strozzarsi. «Non mi fraintenda, era una ragazza dolcissima, ma santo cielo, troppo esagerata».

Nichole gli strinse lievemente il braccio. «È stato un vero peccato, desiderava così tanto di lavorare nel mondo del cinema. Era la sua più grande ambizione».

Insch si schiarì la gola. «Sì, be’…».

«Zander voleva farle fare un provino per essere la mia controfigura. E lei era così eccitata. E poi…». Nichole si strinse nelle spalle. Il movimento fece spostare il braccio di Logan un po’ più in alto, lungo la curva del suo seno.

«È andata fuori di testa. Completamente». Morgan sgranò gli occhi. «Ma davvero. Una volta sono tornata dal trucco, e l’ho trovata nella mia roulotte, a provarsi la mia biancheria intima. Dico sul serio. E poi ha dato in escandescenze perché diceva che non recitavo bene il ruolo di Mrs Shepherd e che il personaggio doveva essere più inquietante, e io le ho risposto: “Sei tu la persona inquietante, lascia stare il mio reggiseno!”».

Nichole prese un sorso di caffè. «Be’, a voler essere onesti, ha fatto anche tante cose buone. Non staremmo dando una mano qui, ora, se non fosse stato per Agnes. Aiutare la comunità è importante, e ha organizzato tutto lei».

Morgan roteò gli occhi. «Ah, sei così buona che potrei accoltellarti».

Logan tirò nuovamente fuori il manifesto. «L’avete vista, di recente? Potrebbe aver cambiato aspetto, essersi tinta i capelli, forse».

Morgan socchiuse gli occhi per osservare meglio la foto. «Ehi, è solo una mia impressione o sta cercando di trasformarsi in Rowan? Le manca soltanto la cicatrice…».

Nichole distolse lo sguardo, tornando a sbirciare verso la galleria e la mensa per i poveri. «È stata qui venerdì sera. A me e Morgan piace dare una mano, quando possiamo: il cibo, normalmente, non è neanche lontanamente buono come stasera, ma la gente che lo cucina è davvero premurosa e gentile con i senzatetto. Stavo servendo il pane alle persone e…». Si accigliò, e delle piccole rughe le si disegnarono tra le sopracciglia. «Mi è sembrato di vedere qualcuno che ci guardava dall’ombra. Come se avesse paura di farsi avanti». Poi si strinse nelle spalle. «Mi sono avvicinata per salutare quella persona e vedere se avesse bisogno di aiuto. Era Agnes, e… ha detto cose orribili, prima di scappare via. Ho tentato di inseguirla per capire se stesse bene, ma mi ha seminato nel cimitero di St Nicholas Kirk».

Fantastico. «Perché non l’ha fatto sapere a nessuno?»

«E a cosa sarebbe servito? Non sapevo dove fosse, né dove fosse diretta. Non sarei stata per niente di aiuto».

Morgan gli si avvicinò di un passo, alzando lo sguardo nel suo. Catturandolo. Anche le sue pupille erano enormi… Quel profumo familiare, dolciastro, di fumo che esalava da lei. «So che potrà sembrarle strano, ma se glielo chiedessi molto gentilmente, potrebbe arrestarmi? Potrei distruggere qualcosa, oppure colpire qualcuno… ma vorrei passare una notte dietro le sbarre. Solo per capire com’è».

«Agnes non sta bene, ispettore McRae, ha bisogno di qualcuno che la aiuti, non che la tradisca».

«Vede, dovrei girare un film, finito questo, in cui sono una lapdancer che viene rapita da un serial killer, e immagino che un personaggio del genere sia stato in cella qualche volta, no? È una dura, esternamente, ma dentro è vulnerabile, e credo che se mi facessi arrestare, l’esperienza mi aiuterebbe a connettermi davvero con lei, non crede?». A quel punto, Morgan posò una mano sul petto di Logan. «A livello emotivo, capisce?».

Lui chiuse gli occhi, andando a massaggiarsi le tempie che pulsavano. «No, non posso arrestarla».

«Una volta ho interpretato una veterinaria, e ho lavorato per un mese in un canile. Mi ha aiutato a entrare nel personaggio. È stata un’interpretazione molto potente, e…».

«Se vedete Agnes, se cerca di mettersi in contatto con voi, voglio che mi chiamiate subito: che sia giorno o notte, non importa». Prese un paio di biglietti da visita della Grampian Police e vi scrisse dietro il numero del cellulare. Poi li tese alle due attrici. «Non possiamo aiutarla, se prima non la troviamo».

Si era già incamminato verso il punto in cui aveva incontrato Henry Scott, quando la voce di Morgan riecheggiò alle sue spalle. «Okay, se non posso farmi arrestare, che ne dice di una bella sculacciata? Mi lascerò legare e tutto». Alle parole seguì una rauca e maliziosa risata.

Santo cielo… Logan continuò a camminare senza voltarsi.

Insch lo raggiunse sbuffando: il sorriso forzato sul suo volto era diventato una smorfia infastidita. «Che ti avevo detto riguardo al fatto di chiacchierare con le mie attrici?»

«In che modo quello che è appena successo sarebbe colpa mia?». Logan si fermò dall’altra parte del portico, dove Henry Scott si era nascosto in precedenza. Ora non era più lì, di lui rimaneva soltanto l’odore rancido di vestiti sporchi e sudore. Quell’idiota avrebbe potuto aspettare, visto che si era preso la briga di portargli la cena. «Grazie, Henry».

«Sto parlando sul serio». Insch lanciò uno sguardo alle sue spalle. Nichole e Morgan gli rivolsero un cenno di saluto. Lui ricambiò il gesto, per poi abbassare la voce. «Hai idea di quanto sia difficile mantenere alto il morale di tutti?»

«È per questo che fumano erba?».

Insch lo fissò. «Non ho la minima idea di cosa tu stia…».

«Oh, al diavolo, quelle due hanno le pupille grandi come piatti. Non sono nato ieri».

Silenzio. «Lo sai bene quanto me: proibire la cannabis è uno spreco di tempo per le forze di polizia e non…».

«Fidati, ho problemi ben più gravi di cui preoccuparmi del fumo delle tue star».

Insch chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie, inspirando ed espirando profondamente dal naso. «Senti, so che sei occupato, so che hai altre cose a cui pensare, ma ho davvero bisogno che tu fermi questo giro di contraffazione. È importante».

Logan tirò fuori il cucchiaio dalla montagna di fagioli e pollo nella sua scodella di plastica e ne assaggiò un boccone. Be’, Henry Scott non l’aveva voluto, no? Era buono quanto annunciava il suo profumo, anche se si andava ormai raffreddando.

«Logan…».

«Vedrò cosa posso fare».

Delle voci riecheggiavano nei corridoi della Centrale della Grampian Police, mentre gli uomini del turno di notte uscivano per le strade bagnate di pioggia, con i giubbotti di emergenza giallo fosforescente sopra all’uniforme nera, lamentandosi.

Logan si passò una mano tra i capelli e sgrullò via l’acqua sul muro di cemento dipinto del blocco delle celle.

Uno dei secondini del turno di notte lo fulminò con lo sguardo dall’altra parte del corridoio, mentre trasportava un vassoio con una mezza dozzina di tazze fumanti sopra. I suoi baffetti da pornostar fremettero. «Sta sgocciolando sul pavimento!».

«Non mi fermo, Andy. Voglio solo controllare un paio di detenuti».

«Mi bastano già gli ubriachi che ci vomitano e pisciano sopra, senza che vi ci mettiate pure voi bastardi del cid a sgocciolare pioggia ovunque».

Logan allungò una mano verso una delle tazze. «Grazie».

«Ehi!». Il secondino se la riprese. «Sono per i detenuti. Se vuole una tazza di tè, se la prenda da solo».

«Chi ti ha ficcato un manganello su per il culo?». Logan aprì lo sportello della cella più vicina, quella con la scritta stacey gourdon - disturbo della quiete pubblica accanto alla porta, e lanciò un’occhiata all’interno. «Vi sta dando problemi?».

Stacey era seduta sul materasso di plastica blu, con la schiena appoggiata alla parete e le ginocchia sbucciate raccolte al petto. Non c’erano più croste, doveva essersele mangiate tutte. Alzò lo sguardo, sorrise, e poi alzò il dito medio nel gesto universale di pace.

Che adorabile fanciulla.

Si alzò e attraversò la cella a piedi nudi. «Anche lei è qui per interrogarmi? Pensa di potermi strappare una confessione? Be’, le dirò la stessa identica cosa che ho spiegato al suo amichetto peloso: non sono costretta a dirvi dov’ero quando Anthony è sparito, o quando è morto. E non c’è niente che possiate fare in proposito».

Perché gli suonò come se lei stesse facendo un provino per una parte in Sospetti? Si stava comportando in modo decisamente più elusivo del necessario, cercando di prenderlo in giro…

Logan fece una pausa, poi sospirò. Era improvvisamente ovvio. «Sì, grazie, ben fatto. Molto melodrammatico».

Lei socchiuse gli occhi. «Non provi a farmi la paternale».

«Credi davvero che questo sia il modo migliore per attirare l’attenzione di tuo padre? Farti coinvolgere in un’indagine per omicidio? Magari vendendo la tua sordida storiella ai giornali e scandalizzando il vicinato?».

Stacey gonfiò il petto, sorridendo ampiamente e commentando con voce suadente: «Ho avuto un ménage à trois con la vittima e con l’assassina. Avrò anche diritto a un risarcimento per l’angoscia e lo sgomento che sto provando, non trova? Non è un mio problema se voi…».

Logan chiuse di scatto la finestrella sulla porta della cella. «Andy, sentiti libero di sputarle nel tè, okay?».

Al piano di sotto, lungo il corridoio del blocco inferiore, le note di una versione arrabbiata di American Pie provenivano dalla cella accanto a quella del dottor Marks. Chiunque fosse in quella dall’altro lato, invece, urlava un fiume di insulti e minacce senza soluzione di continuità all’indirizzo di un certo Baz che era andato a letto con la sua ragazza.

Non era esattamente la sindrome di Tourette, ma non ci si poteva lamentare. Il che significava che Logan doveva a Kathy almeno un paio di pinte di birra.

Il dottor Marks era seduto sul pavimento, raggomitolato in un angolo, e ondeggiava lievemente avanti e indietro, mordicchiandosi l’unghia del pollice. «So cosa state facendo e non funzionerà. Il segreto professionale è fondamentale, nel mio lavoro».

Logan si sedette in fondo al materasso. «Non deve andare per forza così».

«Non potete… io non tradirò i miei principi». Qualche goccia di sangue stillò dal pollice rosicchiato. L’uomo se lo infilò in bocca, succhiando. «Non lo farò».

«Se pensa che un paio d’ore in cella siano brutte, aspetti che il giudice la condanni a una settimana a Craiginches per oltraggio a pubblico ufficiale».

«Non posso…».

«Quella ragazza è la fuori e sta uccidendo delle persone. Lei può aiutarci a fermarla. Ci pensi».

Lo psicologo tirò su con il naso e sbatté le palpebre. Si mordicchiò il pollice sanguinante. «Non posso».

Nella cella accanto, American Pie fu sostituita da Piano Man di Billy Joel, urlata come un coro da stadio.

Logan si alzò e sorrise al dottor Marks. «Ripasserò domattina: verrò a salutarla prima che la portino via». Ammiccò. «Buonanotte».

Poliziotti. Escono dall’orribile edificio a strisce come onischi da sotto un tronco marcio. Camminano, trascinandosi dietro crepitanti scie azzurre e rosse, come tentacoli agitati. Si muovono lungo le strade di granito, cercano, sondano.

Dovrebbero essere dalla sua parte, ma non è così. Loro non riescono a vedere. Non vedono le Bestie e gli Angeli, le Streghe e gli Spiriti Acquatici, gli Spettri e gli Orchi e i Fantasmi. Non vedono la Mano della Morte, mentre si muovono lungo le strade.

Pensano che siano tutte Pecore.

Che anche lei sia una Pecora.

Ma lei è molto più di questo.

Rowan inspira profondamente e attraversa la strada, camminando in mezzo a loro.

La Kirk è il mio scudo e la mia spada.

Due di loro ridono per una battuta, incurvando la schiena sotto la pioggia. Non la vedono neanche.

Ed eccolo arrivare.

Nelle gallerie sotterranee sembrava così normale, ma ora… La sua aura è diversa da quella degli altri. È blu e rossa, ma nastri dorati e neri si muovono intorno alla sua testa. Un’aureola di luce e buio. È un Angelo, o la Mano della Morte? E ne è consapevole?

E se lei glielo spiegasse, farebbe qualche differenza?

Lo vede sollevare il bavero della giacca e attraversare correndo la strada, dove è parcheggiata la sua vecchia e ammaccata fiat, per poi armeggiare con le chiavi, imprecando sotto la pioggia, e mettersi al volante. Esce dal parcheggio in retromarcia in una nuvola di gas di scarico, mentre la sua aura accende l’interno della macchina come una folle sala da discoteca.

Rowan raggiunge la strada, guardandolo sparire nella pioggia. Poi infila una mano in tasca, giocherellando con il nodo di piccole ossa, al sicuro all’interno del fazzoletto di carta.

Presto…

Alza lo sguardo verso le pesanti nuvole arancioni e chiude gli occhi. La pioggia è fredda e piacevole sulla pelle, su cui posa i baci freddi del cielo. Rendendo ogni cosa…

Il suono violento di un clacson la fa sobbalzare. Si gira di scatto, trovandosi a meno di un metro da un’auto di pattuglia. I fari la investono e lei solleva una mano, prima di tornare sul marciapiede.

La macchina della polizia si allontana. I suoi occupanti non guardano neanche nella sua direzione. Pensano che sia semplicemente l’ennesima Pecora.

Rowan torna di nuovo sulla strada. La fiat è ormai soltanto un ricordo scritto sull’asfalto bagnato di pioggia. Ma va bene così. Ha tutto il tempo di tornare alla sua macchina.

Dopotutto, non c’è motivo di affrettarsi: sa già dove è diretto.