capitolo 18

«È entrata da qui». Insch indicò una finestra a un’altezza di circa un metro e ottanta dal pavimento. Sbarre nere erano state fissate all’intelaiatura, con la scritta pittura fresca!!! appesa al di sotto.

La Steel imbronciò le labbra, osservandole. «Un po’ come sbarrare la porta della stalla dopo che il cavallo è scappato, eh?».

Insch le voltò le spalle e si avviò rapidamente lungo il corridoio, serrando i denti sull’ennesimo bastoncino di carota. Era strano vederlo camminare così, slanciato e dinoccolato, invece della massa torreggiante che era stato un tempo.

Logan lo seguì. «Quindi, da quant’è che lavori per la Crocodildo Productions?»

«Non ci lavoro: non esiste più. Il magazzino del materiale di scena è proprio in fondo a questo corridoio».

La Steel affrettò il passo per raggiungerli. «Cosa? Ma no, dai, non è affatto divertente!».

«Come dice Zander: nessuno apprezza più l’arte. Che senso ha ammazzarsi di fatica per realizzare un film ben scritto, ben recitato e ben girato, quando poi tutti guardano soltanto le scene di sesso?»

«Ma è quella la parte migliore!».

«La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata un link a un sito di download illegale di porno. Qualcuno aveva fatto una compilation di tutte le scene… finali dei suoi film. Tutti gli sforzi e la creatività di Zander ridotti a questo. Non è un caso che abbia lasciato perdere». Insch si fermò di fronte a una porta su cui si leggeva la scritta reparto varie e fece passare il suo cartellino identificativo nel lettore sulla parete accanto. Il led rosso divenne verde. Lui fece un cenno a una telecamera di sicurezza montata in un angolo in modo da controllare l’intera lunghezza del corridoio. «Abbiamo fatto montare tutti questi sistemi dopo l’intrusione. È stata la compagnia di assicurazioni a insistere».

La Steel si grattò il seno destro. «Ma non può arrendersi così, lui era… Insomma, non è giusto».

Insch aprì la porta. «Certo, io avevo sempre desiderato di lavorare nel mondo del cinema, quindi quando ho incrociato per caso Zander al Rotary Club abbiamo cominciato a parlare. Allora mi ha invitato a partecipare all’ultimo progetto della Crocodildo Productions: Uomini che scopano le donne. Abbiamo vinto dodici premi Woodie per quel film».

La Steel arricciò il labbro superiore e arretrò di un paio di passi. «Oh, cielo…».

Insch la fissò con aria di rimprovero. Poi pescò un altro bastoncino di carota dalla sua busta di plastica. «Non ero un attore, ero il regista della seconda unità».

«Oh, grazie a Dio. Era terribile immaginarti nudo a stantuffare qualche povera donna. Con tutte quelle pieghe di pelle a sventolare in giro…». Ebbe un brivido.

In effetti, non aveva tutti i torti.

«Hai finito?».

Lei si strinse nelle spalle. «Sinceramente, se potessi cancellare quell’immagine dalla mia mente lo farei».

Logan entrò nella stanza, lasciando i due a battibeccare in corridoio. Il magazzino del materiale di scena era grande all’incirca quanto l’aula magna di una scuola, e pieno di rastrelliere di costumi sistemati ordinatamente in fila da una parte, e di scaffalature dall’altra, con vari oggetti di scena. C’era di tutto, da normali lampade a una serie di spade, dalle bibbie alle pistole, ogni oggetto con la sua piccola etichetta attaccata sopra.

Logan prese una Glock 9mm da uno scaffale. Ne tirò indietro il carrello come per caricarla.

Una voce al suo fianco commentò: «Bella, vero?».

Si girò. «Le lasciate in giro così?».

Una donna di bassa statura, con dei grandi occhiali sistemati sul naso, e qualche protuberanza carnosa sulle guance, che mostravano due evidenti fossette. Indossava una T-shirt con la scritta perché la trovarobe dice così, ecco perché! «Le useranno oggi pomeriggio per girare la scena tre-settanta-uno, se ci arrivano. Prima sono state ben ripulite e sono state controllate le sicure: non ci sarà un Brandon Lee sotto la mia supervisione, grazie tante. Per il resto, vengono tenute nella cassaforte insieme alle munizioni e ai percussori».

Rovistò nella borsa che portava in spalla e ne trasse un iPad con la stessa custodia di pelle rossa vista su quello di Jack l’Entusiasta, il tuttofare della produzione. «Le etichette hanno il codice a barre, che viene scansionato quando le armi lasciano la cassaforte e quando vengono riportate». Sollevò il tablet e premette qualcosa sullo schermo. Ci fu un click e poi un pigolio. La donna rigirò lo schermo verso Logan, mostrandogli un foglio di calcolo con una serie di nomi, date, orari e numeri di scene. «Siamo molto, molto meticolosi al riguardo».

«Quindi avete una lista di tutto ciò che manca?».

Quella domanda fece comparire una piccola smorfia sul volto della donna. «Non mi faccia parlare. So che questo posto sembra un mercato delle pulci, ma ogni singolo oggetto che vede qui dentro è stato selezionato con cura per un set o una scena. E abbiamo costruito tutto quello che non abbiamo potuto comprare, quindi per sostituire gli oggetti non basta andarsene al supermercato con la lista della spesa. Quando abbiamo cominciato, siamo stati fin troppo ingenui: mantelli, cappelli, oggetti di scena, pugnali, medaglie… Praticamente ci hanno rubato qualunque cosa».

Avanzò verso un’altra serie di scaffali, pieni di taccuini rivestiti di pelle scarlatta. Quelli delle tre file più in basso sembravano nuovi di zecca, mentre quelli della quarta fila erano più consumati e rovinati. «Di questi, poi, non le dico quanti ne sono spariti. Non sa quanti libri delle accuse abbiamo dovuto stampare». Ne prese uno e glielo porse. «All’inizio le decorazioni sul cuoio erano lavorate a mano, ma ne sono andati persi così tanti che a un certo punto abbiamo cominciato a farle stampare. Tutti vogliono un souvenir».

Logan tracciò con la punta dell’indice il complesso disegno di spirali e semicerchi impresso sulla copertina. Era identico a quello che aveva trovato nel rifugio del sottoscala di Agnes Garfield. «Libri delle accuse?».

La voce profonda e cupa di Insch risuonò nella stanza. «Sedicesimo secolo. Chiamavano così le liste delle accuse contro la gente incolpata di stregoneria. Grazie a questa roba, si veniva processati e bruciati sul rogo».

La trovarobe riprese il libro dalle mani di Logan e lo ripose sullo scaffale. «Tutte le Dita devono averne almeno uno. Sono piuttosto importanti per la trama».

«Quanti ne ha portati via Agnes Garfield?».

Un’altra smorfia. «Ha preso un paio di copie non stampate, e già questo è stato abbastanza fastidioso, ma in più è riuscita anche a rubare quello principale di Rowan. Ha idea di quanto abbiamo faticato a farli sembrare veri e usati? Quante ore ho passato, china su quel maledetto libro, a scrivere tutte le accuse, i sigilli e le note a margine…».

Insch incrociò le braccia sul petto. Non era più minaccioso come un tempo, soprattutto con quelle pieghe di pelle flaccida che sporgevano dalle maniche della polo. «È stata fortunata che abbiamo deciso di ritirare la denuncia».

La Steel avanzò nella stanza, con le mani sprofondate nelle tasche e le spalle ingobbite. Sporse le labbra, guardandosi intorno. Poi tirò su con il naso. «Bene. Questa roba mi sta annoiando a morte. Se non ci sono scene di sesso in programma, direi che ce ne andiamo».

Girò i tacchi e si allontanò, tornando nel corridoio.

Insch la seguì con lo sguardo. «Sai, potresti riuscire a inscenare un incidente, probabilmente. Ti fornirei un alibi: sei stato con me per tutto il tempo».

«Non tentarmi».

La seguirono fuori dal magazzino, mentre Insch continuava a pescare un bastoncino di carota dalla sua busta ogni tre o quattro passi, per poi ficcarselo in bocca. Crunch. Crunch. Crunch. «Rennie è ancora…?»

«Un dito in culo? Oh, sì. Al momento è più lamentoso che mai, perché la Steel non fa che…».

Una voce femminile riecheggiò nel corridoio alle loro spalle. «David?».

Insch si bloccò. Poi sfoggiò un sorriso e si voltò. «Nichole! Stavo rivedendo il girato di oggi: la scena del bagno è fantastica, sei stata grande! Una tale intensità emotiva…».

Nichole Fyfe si era liberata della giacca di pelle, e la sua camicia di seta rossa era macchiata di sudore sotto le braccia. Un anello di quelli che sembravano fazzoletti di carta sporgeva dal colletto della camicia, probabilmente per evitare che il trucco sporcasse il tessuto. Al contrario di Zander e Insch, il suo passi era appeso al collo con un laccetto di un vivido arancione su cui la parola attore era stampata in nero a ripetizione.

La Fyfe sollevò una copia della sceneggiatura. Dei Post-it sporgevano dal bordo come aculei dai colori vivaci, e il testo visibile era coperto di annotazioni e parti evidenziate in giallo. «Volevo parlarti della tre-ottanta-due. Non pensi che Rowan dovrebbe essere più preoccupata riguardo al gruppo degli inquisitori? Davvero entrerebbe nella torre senza una squadra di supporto? Non riesco a connettermi emotivamente alla sua decisione, in questo passaggio».

Ci fu una breve pausa, poi Insch sbatté le palpebre. «Capisco il tuo ragionamento… ma se portasse una squadra di supporto con sé, non riusciremmo a convogliare quel senso di profonda e primordiale minaccia quando poi trova il corpo di Issobell Barroun».

«Ma…».

«E poi non vuole che Mrs Shepherd lo sappia, giusto? Se un membro del gruppo è corrotto, tutto potrebbe diventare molto più pericoloso».

Lei si accigliò lievemente, facendo tendere la finta cicatrice che portava sul volto. «Quindi, quello che stai dicendo è: a questo punto, Rowan è l’unica persona di cui Rowan si può fidare? Si sta isolando, e questo non fa che enfatizzare la sua vulnerabilità intrinseca… È una metafora del suo bisogno di essere amata. Sì, posso lavorare su questo…». Poi la ragazza alzò lo sguardo e rivolse un sorriso a Logan. «Mi scusi, sono troppo drammatica quando si tratta di recitare bene una scena». Si sfilò un guanto di pelle nera e tese la mano. Una rete di lucide cicatrici le risaliva lungo il polso. «Nichole Fyfe».

Logan le strinse la mano, leggermente umida. «Ispettore McRae. Tempo fa lavoravo con… David». Gli sembrava ancora strano chiamarlo per nome.

«Certo… Logan McRae. Sono certa che David mi ha parlato di lei». Per un attimo ampliò il sorriso, poi staccò il tessuto della camicia dalle ascelle. «Mi scusi, ma dopo una giornata a girare sotto le luci dello studio, sono ridotta malissimo. Comunque, è stato un piacere conoscerla. Ci vediamo più tardi, spero». A quel punto, si allontanò, scribacchiando qualcosa ai margini del copione.

Non appena la porta le si chiuse alle spalle, Insch si afflosciò, massaggiandosi la fronte con le dita di una mano. «Ne vale la pena, ne vale la pena…». Un profondo respiro. «Perché al giorno d’oggi nessuno si limita semplicemente a presentarsi puntuale sulla scena e a recitare le sue battute? Ora tutti non fanno che rompere le palle con l’interpretazione e la connessione psicologica con il personaggio: “Che motivazioni ho? Il mio personaggio penserebbe davvero questa cosa in questa situazione? Qual è il centro emotivo di questa scena…?”. E così via, ogni santo giorno».

Un altro bastoncino di carota sparì nella sua bocca. Poi si girò e si avviò lungo il corridoio.

Logan lo seguì. «A me è sembrata piuttosto simpatica».

«Sai che mandiamo un’auto a prenderla ogni mattina? Con l’autista, un cestino di lamponi e tre bottiglie di Perrier. E deve essere Perrier, se è un’altra marca ti fa una piazzata. Dannazione, è acqua frizzante, non insulina, per la miseria. E questo se si degna di presentarsi sulla scena, sia chiaro. Questa mattina siamo stati costretti ad aspettarla per quattro ore. Quattro ore».

«Licenziala, allora».

Insch si bloccò e lo fissò. «Non dire stronzate. È la cosa migliore che sia mai capitata a questo film». Prese un’altra carota e la puntò contro Logan come una bacchetta magica. «Stava ancora lavorando a In Death We Trust, quando l’abbiamo convocata per la parte di Rowan. E non appena hanno finito di girare, si è portata Morgan in una setta nel Midwest degli Stati Uniti per saperne di più di stregoneria. Si è messa perfino a fumare la pipa, per calarsi meglio nella parte. Le abbiamo detto che non ce n’era bisogno, avremmo sistemato tutto in post-produzione, ma lei l’ha fatto ugualmente. Ecco quanto si impegna». La bacchetta magica sparì nella sua bocca. «Solo perché è un incubo avere a che fare con lei, non significa che non sia una grande attrice. E non dico semplicemente brava: è grande».

La porta tagliafuoco si chiuse con un tonfo metallico alle loro spalle. Insch strizzò gli occhi alla luce del sole, mentre si avviavano sull’asfalto nero e appiccicoso. «Quindi alla fine sono riuscito a convincere Zander che era ancora possibile esprimersi artisticamente, ma per farlo avrebbe dovuto lasciar perdere il cinema erotico. Ammettiamolo: quelli che guardano roba pornografica sono, per definizione, un mucchio di segaioli. Ci serviva un genere in cui l’impegno che ci mettiamo fosse apprezzato».

Il parcheggio era avvolto dalla luce dorata del sole, che si rifletteva accecante sui paraurti cromati e sulla vernice scintillante. Logan si appoggiò a una bmw. «Quando ho perquisito la casa di Agnes, ho trovato uno dei vostri libri delle accuse: quello con tutte le note e i sigilli. E anche un copione».

«Quindi abbiamo messo insieme le risorse, ipotecato le case e ottenuto i diritti di Witchfire, e gli investitori hanno cominciato a fioccare. Così ci siamo potuti permettere attori famosi, scenografi, sceneggiatori, costumi… Avevamo il budget per mettere insieme qualcosa di veramente speciale, qui».

«Perché avete ritirato la denuncia?».

In lontananza, la Steel borbottava al cellulare, prendendo a calci un sasso come un’adolescente di malumore.

Insch si passò una mano sulle pieghe di pelle flaccida sotto al mento. «Quella non cambia mai, eh?»

«Deve pur esserci un motivo».

«Tornando indietro di cinque anni, soltanto un pazzo avrebbe scommesso sulla possibilità che fosse lei a finire a capo del cid. Io: ce l’avrei fatta di sicuro. Lei: neanche per sogno. Avresti avuto più fortuna a puntare sul fatto che venisse sbattuta fuori per cattiva condotta. O trasferita chissà dove». Un sospiro. «E adesso guardaci».

«Non è a capo del cid… Be’, sì, ma solo finché Finnie non torna da Malaga: stupri seriali, sta dando una mano su un caso».

«Non mi sto lamentando, bada bene: adoro lavorare nel mondo del cinema. E Witchfire è solo l’inizio: stiamo già pensando al prossimo progetto». Un sorriso tese i suoi lineamenti cadaverici. «Questo è l’inizio di qualcosa di grosso, Logan. Aberdeen diventerà la capitale del cinema di tutta la Scozia. Addio, Hollywood, benvenuta, Stoneywood».

«Allora, perché avete ritirato la denuncia?».

Insch si appoggiò al cofano accanto a lui, con la busta di bastoncini di carote posata tra loro. «Perché Zander è uno che ragiona con questo…». E si picchiettò sul petto. «Invece che con questo…». E il dito si alzò a battere un paio di volte contro la sua tempia. «Abbiamo chiamato la polizia, siamo andati avanti, abbiamo preteso che ci restituisse quello che aveva rubato, e suo padre se ne è uscito con questa storia strappalacrime del tentato suicidio, che in realtà è una così brava ragazza, e che non potevamo prendercela con lei se è mentalmente instabile».

«E Zander…?»

«Ci è cascato in pieno. Non voleva assolutamente prendersi la responsabilità se lei avesse deciso di andare di nuovo in overdose».

«Sì, be’, immagino che non lo si possa biasimare per…». Logan tirò fuori il taccuino. «Un momento, suo padre a noi ha detto che si era tagliata le vene».

«Quello è successo a Natale. Poi un’overdose a febbraio: a San Valentino». Annuì. «Non c’è niente come quel giorno per far venire allo scoperto i romantici suicidi».

«Quei bastardi ci hanno mentito. Di nuovo».

Insch si schiarì la gola, abbassando lo sguardo sulla punta delle sue enormi scarpe. «Ho sentito di Samantha, e dell’incendio. Mi dispiace».

Tutti non facevano che dispiacersi.

Logan fece schioccare le vertebre muovendo lateralmente la testa. «E tu? Come stanno Miriam e le bambine?»

«A quanto pare, il Canada è meraviglioso, in questo periodo dell’anno. Anna ha il ragazzo. Ci credi? Ha solo undici anni, e ha già il fidanzato. Non vedo né lei, né Brigit da due anni…». Si mordicchiò l’interno della guancia scarna per un po’. «Miriam si sposa a settembre. Il tipo si chiama Jeff, e ha un ristorante a Vancouver». Pronunciò quel nome come se avesse un sapore cattivo.

«Mi dispiace».

«Quello che è stato è stato». Insch sgranocchiò un’altra carota. Poi lasciò vagare lo sguardo in lontananza. «A proposito di fidanzati stronzi. Dovresti farmi un favore».

Fantastico. «Ah, sì?»

«Nichole Fyfe. Il suo ex ci ha creato dei problemi: si è presentato al suo hotel dichiarandole amore eterno, ha fatto a botte con quelli della sicurezza, ha minacciato il suo autista e continua a fare casino. Non sembra voler accettare un “sei stato scaricato quattro anni fa” come risposta».

«Quindi lei vuole sporgere denuncia?»

«Questo è il mondo del cinema, Logan. L’attrice protagonista non denuncia l’ex fidanzato perché la infastidisce, si limita a ingaggiare qualcuno che glielo tolga di torno. E non voglio che la stampa venga a sapere qualcosa».

Logan non riuscì a trattenere una risata. «Il vostro film è su tutti i rotocalchi, alla radio, in tv e…».

«Non è questo il punto. Nichole non vuole sembrare la grande diva che disprezza Aberdeen. E io non voglio che lei si distragga e non riesca a concentrarsi sul lavoro». Rovistò nella busta di plastica, poi gliela tese. «Ne vuoi uno?»

«Allora, scusami, cosa vuoi da me? Che vada da lui a minacciarlo? Che lo faccia cadere accidentalmente dalle scale un paio di volte?»

«Preferisci aspettare finché non farà del male a qualcuno?», ribatté Insch, continuando a sgranocchiare carote.

Logan chiuse gli occhi per un attimo. Erano passati tutti quegli anni, eppure Insch riusciva ancora a manipolarlo. «Non ti prometto niente, okay?»

«Si chiama Robbie Whyte, ha venticinque anni e vive a Inverurie con sua madre». L’ex ispettore si alzò dal cofano e controllò l’orologio. «Tempo scaduto. Ho una riunione con gli Standard Commerciali tra cinque minuti. Non abbiamo neanche finito la fotografia e qualche bastardo già spaccia merchandise contraffatto di Witchfire. E poi c’è lo storico locale che consultiamo come esperto di stregoneria. E poi devo incontrare un giornalista stronzo, e poi il vincitore di un concorso… E magari, a un certo punto, avrei anche un film a cui lavorare. Assicuratevi di restituire i passi al cancello, quando ve ne andate».

«Certo».

Insch si allontanò di un paio di passi, poi si fermò, dandogli ancora le spalle. «Se… c’è qualcosa di cui hai bisogno, fammi uno squillo e vedrò cosa posso fare».

«Quegli stronzi bugiardi mi hanno giurato che non c’era altro che dovevamo sapere su Agnes». Logan premette il piede sull’acceleratore non appena raggiunse i sessanta chilometri orari, superando l’autobus nella corsia di sinistra. «Come diavolo facciamo a…».

«Bla, bla, bla, la vita è difficile, la gente non è sincera». La Steel aprì uno spiraglio nel finestrino, facendo entrare nell’abitacolo il brusio delle due corsie di Auchmill Road. «Fregatene». Recuperò un pacchetto di sigarette e ne tirò fuori una. «È stato strano rivedere Insch, vero? Così magro e ossuto e flaccido…».

«Faremo una deviazione. I genitori di Agnes Garfield hanno qualche spiegazione da darci».

«Scommetto che se gli ficchi una di quelle pompe per le biciclette su per il culo lo puoi gonfiare come un pallone da spiaggia». La Steel si accese la sigaretta con uno Zippo, poi appoggiò un piede sul cruscotto e fece un tiro. «Pensa, è come ai vecchi tempi: tu, io, Inschy Culograsso… Solo che ora dovremmo chiamarlo Culosecco». Sogghignò. «Ecco: Culoflaccido. Gli piacerà».

Cinque minuti più tardi, erano nel cuore buio di Northfield. Logan tirò il freno a mano. Dall’altro lato del muro di cinta della scuola, si sentivano provenire gli strilli dei bambini, inframmezzati a risate e comandi urlati.

La Steel fece un ultimo tiro dal mozzicone della sigaretta, così stravaccata sul sedile da essere finita quasi sul pavimento della macchina. «Sei sicuro di volerlo fare?»

«Hanno mentito».

«Sì, questo lo so. Ma a che ti servirà dargli contro?»

«Che altro stanno nascondendo?». Uscì dalla volante nel caldo del pomeriggio estivo e chiamò la Chalmers. «Mi dovresti fare un rapido controllo nell’archivio sui genitori di Agnes Garfield».

Sembrava averla interrotta mentre mangiava qualcosa. «Mi dia solo un secondo…». Un sorso. Poi il ticchettio delle dita sulla tastiera. «Ha visto i risultati del laboratorio?»

«Non possiamo concentrarci su…».

«La concentrazione di tetraidrocannabinolo nella cannabis è del ventuno per cento circa, percentuale incredibilmente elevata. Quanto alle pillole, si tratta di risperidone. È uno psicofarmaco atipico… potrebbe essere servito per controbilanciare gli effetti dell’erba?».

Non lo stupiva che tutti gli amici di Agnes la considerassero un caso da ospedale psichiatrico.

La Chalmers mormorò piano tra sé e sé. Poi continuò: «Ecco qui… Il computer dice che il padre di Agnes, Mark Garfield, è stato condannato per eccesso di velocità, evasione fiscale e una volta per aggressione».

«Quindi è un tipo violento».

«È stato coinvolto in una rissa in un pub. Posso cercare i dettagli, se vuole».

«E sua madre?»

«Doreen Garfield: cinque denunce per minacce. Una volta ha detto all’insegnante di matematica di Agnes che gli avrebbe strappato i testicoli e glieli avrebbe fatti ingoiare».

«Okay, questo è…».

«A quanto pare, lui aveva detto che Agnes era stupida. Un’altra cosa: ho trovato cognome e indirizzo della nostra misteriosa Stacey. La sua coinquilina ha detto che non è tornata a casa da venerdì sera, e non si è presentata neanche al lavoro, stamattina. A quanto pare, però, è abbastanza normale, per lei. Mi chiamerà non appena si farà viva».

Ecco di nuovo quell’apprezzabile efficienza. «Bene. Continua così».

«Ho anche dato un’occhiata a quel taccuino con la copertina di pelle rossa che abbiamo trovato nel ripostiglio del sottoscala di Agnes: è identico a quello della protagonista di…».

«Rowan. La protagonista di Witchfire».

«Oh…». Silenzio. «Ho letto il libro anni fa, ma ne ho recuperato una copia in pausa pranzo e, indovini un po’? Le Dita bruciano le streghe…».

«Incravattandole. Sì, lo so».

Questa volta il silenzio si protrasse più a lungo.

«Sergente Chalmers?»

«Mi scusi, capo. Io…». Si schiarì la gola. «C’è altro che posso fare?». Sembrava un tantino disperata.

La Steel gli batté un colpetto sulla spalla. «Senti, se non mi riporti in ufficio per le cinque, ti prenderò volentieri a calci nel culo».

«Scopri a che punto sono con i resti di stamattina. E senti anche Rennie per quei crimini a sfondo razzista, vedi se riesci a ottenere qualcosa».

«Può contare su di me!». Poi attaccò.

La Steel sputò a terra, la saliva che scintillava nel sole. «Non hai ancora risolto quel caso?».

Lui risalì il vialetto e suonò il campanello. «Le indagini sono a buon punto».

«E il mio culo è fatto di burro di arachidi. Non voglio stronzi razzisti a piede libero che continuano ad azzoppare la gente, Laz».

«Bene, allora le dico cosa farò. Agiterò la mia bacchetta magica e…». La porta si aprì.

Il padre di Agnes strizzò gli occhi per cercare di metterli a fuoco, con una lattina di Export in una mano e un telecomando nell’altra. «Mmm?». Puzzava di birra lontano un miglio. Niente male, per essere le quattro e mezza di un lunedì pomeriggio.

«Mr Garfield». Logan incrociò le braccia sul petto. «C’è qualcos’altro che ha dimenticato di dirci, riguardo a sua figlia: è andata in overdose a febbraio».

Garfield si schermò gli occhi con la mano che stringeva il telecomando. Come se stesse cercando di cambiare canale su Logan. Gli sarebbe piaciuto, probabilmente. «Io… non pensavo che fosse…».

«No, infatti, lei non ha pensato, vero? Tra l’altro, era sotto psicofarmaci; quanta cannabis ha…».

«Lei non ha…». Sospirò. Poi si girò e tornò in casa. «È meglio se entrate».

Logan lo seguì in salotto. La tv era in pausa: sembrava uno di quei telefilm polizieschi generici dove tutti sembrano dei fotomodelli e nessuno scoreggia, si gratta il sedere o impreca. Un cartone di pizza era sul tavolino, con un paio di fette ancora intatte, circondate da croste scartate. Delle lattine vuote di birra erano allineate come soldati sulla carta unta.

Garfield si lasciò cadere su una poltrona a righe. «Doreen è da sua madre».

All’esterno della finestra del soggiorno, la Steel si appoggiò al cofano della macchina e indicò prima l’orologio e poi lo stivale.

Logan le voltò le spalle. «Quale parte di “C’è qualcos’altro che non ci avete detto” non ha capito?».

L’uomo prese un sorso di birra. «Agnes si è tagliata le vene perché sua madre aveva deciso che non poteva più vedere Anthony Chung. I medici hanno detto che è stata fortunata a non provocarsi qualche danno permanente ai nervi». Garfield mosse leggermente la lattina, facendone ondeggiare e frizzare il contenuto. «Ha cercato di impiccarsi quando aveva dodici anni. Quindi l’abbiamo mandata da uno strizzacervelli, ed ecco cosa abbiamo ottenuto: psicofarmaci». Si tese a prendere una delle ultime due fette di pizza, punteggiata di peperoni come acne che scintillava sulla mozzarella fusa e oleosa. «Dodici anni, e già prendeva degli antidepressivi. Ma che razza di vita è?».

Silenzio.

«Perché diavolo non ce lo avete detto? Le ho chiesto se c’era altro, e lei mi ha guardato negli occhi e mi ha mentito! Pensava davvero che non avesse importanza?».

Un’alzata di spalle. «Stava migliorando. L’overdose è stata… non lo so. Era arrabbiata perché Anthony non era entusiasta del suo tatuaggio. Sono sempre così…». Piegò una mano ad artiglio, facendo tremare tutto il braccio. «Sa come? Ma lei lo ama».

«Agnes si è portata le medicine, quando è scappata? E se tentasse di nuovo il suicidio?».

Gli angoli delle labbra di Garfield piombarono verso il basso. Poi prese un morso di pizza, masticandola come se fosse cartone amaro. «Non poteva portarsele dietro. Noi… Doreen non vuole… Dopo l’overdose, non permettiamo ad Agnes di prendere le pasticche da sola. È Doreen a dargliele, e si assicura che le prenda».

«E allora come mai aveva una confezione di risperidone nel suo rifugio?»

«Risperidone…?». L’uomo scosse la testa. Inghiottì la pizza aiutandosi con la birra che restava nella lattina. «Non è possibile: quello lo usa soltanto quando sta davvero male. È troppo forte per assumerlo regolarmente. Solitamente prende l’aripiprazolo». La lattina vuota andò a fare la guardia con i suoi compagni d’arme.

«Be’, in qualche modo se l’è procurato». Santo cielo. Logan si allontanò di un paio di passi, poi tornò indietro. «Diventa violenta, quando non prende le sue medicine?».

Garfield abbassò lo sguardo sulla fetta smangiucchiata di pizza che teneva in mano. «Non ve l’abbiamo detto, perché non volevamo che finisse su tutti i giornali. È già abbastanza orribile che debba convivere con i suoi problemi, senza che tutti la guardino come se avesse due teste. Non sono affari loro».

«Diventa violenta? Sì o no?»

«Agnes è una ragazza buona e gentile. Rischia di farsi del male da sola, più che farne agli altri». Chiuse gli occhi. «È per questo che dovete trovarla…».