capitolo 45
Logan piazzò i piedi sulla scrivania, con una tazza di tè in mano e la sua copia di Witchfire nell’altra, mentre il telefono sul tavolo suonava, suonava e suonava.
Questa è la segreteria telefonica di Lorna Chalmers. Non posso rispondere in questo momento, ma potete lasciare un messaggio dopo il segnale acustico.
«Sono le tre e mezza: dove diavolo sei finita?». Si piegò in avanti e premette il pulsante rosso, attaccando.
Non aveva avuto risposta né dal cellulare, né dal telefono fisso, nell’appartamento in affitto a Jasmine Terrace.
Provò a chiamare Rennie, a quel punto. «Hai sentito la Chalmers, per caso?».
La voce del sergente riecheggiò in vivavoce. «Ovviamente no. Perché mai sua maestà dovrebbe venire al lavoro come tutti noi poveri plebei? Probabilmente si è presa una sbronza e se ne sta in ginocchio nel cesso di un qualche vecchio porco, con le mutande intorno alle caviglie, a vomitare aragosta e patatine dappertutto».
«Sì, molto divertente. Dimmi, sergente, hai ritrovato il tuo vagabondo scomparso?».
Ci fu una pausa. «A dire il vero… è un po’ complicato. Io…».
«Allora non mi pare tu sia nella posizione di criticare, giusto? Chiama subito la Centrale: voglio che l’autopattuglia più vicina vada a prendere la Chalmers a casa sua. Se non sta morendo di influenza, la voglio subito qui».
«Puah…». Logan fece una smorfia, poi risputò il tè ormai freddo nella tazza. La spinse dall’altra parte della scrivania, dove non sarebbe stata a portata di mano per un po’.
Scorse la pagina verso il basso, alla ricerca del punto in cui si era interrotto. Mrs Shepherd era sul punto di strappare le unghie a qualcuno…
Bussarono alla porta, e l’agente Sim fece capolino all’interno. «Capo? L’autopattuglia Alfa-Uno-Tre è stata appena adesso all’appartamento: non c’è traccia del sergente Chalmers, lì».
Lui posò il libro. E guardò fuori dalla finestra per un po’.
La Sim si schiarì la gola. «Capo?».
La Chalmers non era il tipo da sparire in quel modo, giusto? Una donna ambiziosa e desiderosa di fare carriera come lei? No: lei era il tipo che lavorava sodo e lisciava i superiori. E non si sarebbe presa un giorno di malattia neanche se le si fosse staccata una gamba.
Sempre che non avesse fatto qualcosa di molto stupido…
«Capo, ha bisogno di me o posso…?»
«Prendi la giacca. Stiamo uscendo».
Gli alberi di Jasmine Terrace tremavano al vento, con le foglie polverose e verde scuro che frusciavano l’una contro l’altra. La Sim se ne stava in piedi in un solitario raggio di sole, con una mano premuta sul berretto nero mentre fissava le finestre dell’appartamento della Chalmers.
L’altro lato della strada era una lunga schiera di tradizionali edifici di granito, ma la casa della Chalmers faceva parte di un isolato un po’ più moderno, diviso dalla strada da un rettangolo di erba secca. Si trattava di edifici a tre piani, con il tetto piatto e la parte superiore in stile olandese. Quattro unità, con sei appartamenti ciascuna. Cinque minuti a piedi dal fhq.
Logan affondò le mani nelle tasche. «Niente?»
«No». La Sim riprovò a suonare al citofono. Attese per un po’. Poi si scostò per dare un’occhiata all’appartamento all’ultimo piano. «Forse non c’è?».
Forse…
Logan premette il pulsante servizi e lo tenne premuto finché qualcuno non si stancò del rumore e aprì.
All’interno, l’androne era ben tenuto. Pulito. Logan seguì la Sim fino all’ultimo piano.
La porta dell’appartamento numero cinque aveva una targhetta incollata sotto il campanello: lorna chalmers.
La Sim lo premette, e uno stridente drrrrrrrrrrrrrring! risuonò dall’altro lato, seguito da un miagolio acuto. L’agente si piegò sulle ginocchia, aprì la buca delle lettere e lanciò uno sguardo all’interno. «La posta è sul tappeto… Oh, ciao, micetto. Sei proprio carino, sì?».
Il miagolio si fece più forte.
«Capo?».
Logan si acquattò accanto a lei, annusando attraverso la buca delle lettere. Avvertì un odore floreale e artificiale, e un vago sentore di pino che poteva essere disinfettante. Per lo meno, non era l’odore che faceva pensare che qualcosa, o qualcuno, si stesse putrefacendo lì dentro. «Prova a parlare con i vicini, vedi se qualcuno ha le chiavi».
Non appena la Sim si allontanò per andare a bussare alle altre porte, Logan prese il cellulare e chiamò la Centrale. «La Chalmers ha una macchina?»
«Un momento…». Il forte accento nasale tipico di Aberdeen svanì, sostituito dal ticchettio di una tastiera. «Sì: una Mini, vuole il numero di targa?».
Logan lo appuntò sul taccuino. «Voglio che diffondiate un avviso di ricerca sia della Chalmers che della sua auto. E fatemi avere un tracciamento gsm del suo cellulare».
Ancora il ticchettio della tastiera. «Cosa ha fatto?»
«Spero niente di stupido. Ora mi passi il sergente Rennie».
«Non è in ufficio, ma se mi dà un minuto…».
Un ronzio, una pausa, un altro ronzio, e poi la voce di Rennie si fece sentire dall’altra parte della linea. «Pronto? Capo?»
«La Chalmers ti ha detto niente, ieri sera?».
Un sospiro. «Come mai non si parla mai di altro? La Chalmers di qua, la Chalmers di là…».
«Sai dove stava andando? Aveva forse delle idee su dove potesse trovarsi Agnes Garfield?»
«Pensa davvero che me l’avrebbe detto? Non sia mai che debba condividere la gloria con qualcun altro. Glielo dico, è…».
«Ti ha parlato del caso, comunque?».
La Sim tornò sul pianerottolo, risalendo le scale, tenendo alta una chiave Yale come se fosse una torcia olimpica. «La vecchietta dell’appartamento numero tre. Dice che non ha visto la Chalmers da ieri mattina».
«Non fa che fare domande. Si limita a prendere, senza mai…».
Logan allontanò il cellulare dall’orecchio e posò una mano sul ricevitore. «Apri la porta».
«Ma non abbiamo un mandato e…». La Sim contrasse un lato del viso. «Ah, ho capito: sì, temo di sentire odore di gas. Qualcuno lì dentro potrebbe essere nei guai!». Inserì la chiave nella serratura, la girò ed entrò in casa.
Tornando al telefono, Logan la seguì. «Che domande ti ha fatto?»
«Le solite. Continuava a parlare dell’omicidio di Anthony Chung. Ha detto che doveva esserci sfuggita qualcosa. E non mi ha dato tregua finché non le ho dato le trascrizioni delle domande che abbiamo fatto alle persone interessate alla casa in vendita».
Quelle che lui aveva appena letto.
«E non c’è nulla di interessante, là dentro: nessuna di quelle persone conosceva Anthony Chung, o Agnes Garfield, e avevano tutti un alibi. Una totale perdita di tempo».
Logan si chinò a prendere la posta dal tappetino all’ingresso. Erano più che altro volantini di associazioni di beneficenza, la pubblicità elettorale di un candidato locale del partito conservatore – non c’era niente di meglio dell’ottimismo con i paraocchi – quella che sembrava una bolletta e due copie dell’«Aberdeen Examiner». Quella del giorno prima e quella attuale. «Forse l’agenzia immobiliare aveva dimenticato qualcuno?»
«No, mi sono fatto dare la lista dall’impiegato dell’agenzia. Abbiamo parlato con tutti quelli che hanno visto quel posto». Uno sbuffo. «Vuole che faccia qualcosa?»
«Sì: trova il vagabondo scomparso». Logan chiuse la telefonata e fece scivolare di nuovo in tasca il cellulare.
La Sim tornò indietro dalla cucina dell’appartamento, con un gatto rosso in braccio. La sua coda tigrata frustava l’aria, mentre l’animale lo fissava con rabbia. «Questo povero gatto deve essere mezzo morto di fame».
«Segni di effrazione?».
Lei scosse la testa. «Vorrei che casa mia fosse così ordinata». Il gatto si agitò, con le zampe che spuntavano da angolazioni bizzarre. La Sim lo lasciò andare e il felino sparì in un’altra stanza. «I piatti sono puliti, il letto è rifatto e tutte le riviste sono impilate in ordine sul tavolino in salotto».
Logan seguì il gatto in camera. Lo vide nascondersi sotto al letto. La Sim aveva ragione: era tutto pulito e ordinato. Il che era notevole, considerando che la Chalmers si era trasferita lì dal Nord soltanto un paio di settimane prima. Qualunque persona normale avrebbe avuto ancora gli scatoloni per casa.
La Sim prese un libro dal comodino: una copia di Witchfire con un segnalibro rosso circa a metà del volume. Lo aprì. «Con tanto di firma dell’autore». Poi lo rimise giù. «Lo sa che ho avuto gli incubi per settimane, dopo aver letto il pezzo nella torre?». Ebbe un brivido. «Che roba…».
«C’è qualcosa che non va».
«A quanto pare, Hunter ha basato i personaggi delle tre vecchie streghe su persone reali. E penso che abbiano cercato anche di fargli causa per averle inserite nel libro, ma la faccenda è stata sistemata prima di arrivare in tribunale».
Logan si girò lentamente su se stesso. Non c’era niente, lì.
La Chalmers era uscita per andare al lavoro come tutti i giorni, e poi non era più rientrata. E l’unica cosa che aveva fatto di sicuro era stata informarsi sulle persone che avevano visitato la casa dove Anthony Chung era morto. Non sia mai che debba condividere la gloria con qualcun altro…
La Sim infilò le mani dentro i giromanica del giubbotto antiproiettile. «E quindi…?»
«È ora di andare a parlare con qualcuno di una certa casa».
«Non so davvero come altro possiamo aiutarvi». Mr Willox armeggiò con i pulsanti del telefono sulla scrivania, premendoli a caso da un lato all’altro. I suoi capelli grigi erano sistemati in un riporto che andava a formare un bizzarro ciuffo in cima alla grossa testa, e il completo blu scuro e la larga cravatta color porpora lo facevano sembrare appena uscito da una macchina del tempo proveniente dai primi anni Ottanta.
Logan picchiettò un dito sulla scrivania di vetro, lasciandoci sopra un’impronta. «Agnes Garfield e Anthony Chung devono aver preso da qualche parte le chiavi di quella proprietà».
«Ha idea di quanto ci costerà ripulire la cucina della casa degli Abernethy? E anche se riusciranno a cancellare le macchie, chi vorrà mai comprare una casa nella cui cucina qualcuno è stato torturato a morte? Non riusciremo mai a venderla».
«Ed è sicuro di aver messo sulla lista che ha dato alla polizia tutti i nomi delle persone che l’hanno visitata?».
L’uomo accennò con una mano al faldone sulla scrivania. «Ha visto le carte. Sono tutti».
«Allora chi altro aveva a disposizione le chiavi?»
«Be’, ovviamente io; Jennifer, alla reception; Jake Smith, il mio socio; il nostro apprendista Duncan Cocker; e un paio di persone che impieghiamo per far vedere le proprietà rurali quando non ci conviene mandare qualcuno dall’ufficio».
Cocker. Cocker…
Logan prese il taccuino e iniziò a girarne le pagine, tornando indietro fino a raggiungere gli appunti del precedente lunedì, quando avevano parlato con gli amici di Anthony Chung. «Duncan Cocker: giovane, un po’ tonto… e sembra uscito da una brutta commedia romantica americana per ragazzini?».
Mr Willox sospirò. «Qui alla Willox & Smith ci fregiamo della qualità impeccabile dei nostri servizi. Duncan è… ha ancora molto da imparare».
Non poteva che concordare. «Devo vederlo».
«Be’», Willox scorse con il pollice una voluminosa agenda da scrivania, «deve far vedere a una coppia un villino con due camere da letto, veranda e un eccellente potenziale per costruire un maneggio, tra circa venti minuti. Ma può…».
«Non credo che abbia capito la gravità della situazione».
«Abbiamo un’agenzia da mandare avanti e…».
«Lo faccia venire subito».
Willox sbuffò gonfiando le guance, passandosi le dita nel riporto con ciuffo. «Io…». Poi si sporse in avanti e premette uno dei pulsanti del telefono. «Jennifer, puoi dire a Mr Cocker di venire subito nel mio ufficio, per favore?».
Duncan Cocker si agitò lievemente sulla sedia, leccandosi le labbra. Poi accennò un sorriso nervoso. «No, davvero: non ne ho la minima idea, sa?».
Logan si appoggiò allo schienale della comoda sedia di pelle di Mr Willox e tamburellò i polpastrelli uniti, i primi due appena sotto la punta del naso. Cercando di fare la sua migliore imitazione del vicequestore aggiunto Napier. Fissando Duncan Cocker in silenzio.
«Quindi, lei…». Il ragazzo si strinse nelle spalle. «È tutto a posto, vero?».
Ancora silenzio.
Duncan cominciò ad alzarsi in piedi, allora Logan fece un cenno alla Sim, e l’agente gli posò le mani sulle spalle, rimettendolo a sedere. «Non ci pensare neanche».
«Ma ve l’ho detto, non lo so, è… una coincidenza?».
La Sim gli fece arrivare uno schiaffetto sulla guancia. «Mr Cocker, ti sembriamo stupidi?».
Una pausa. «No?»
«E allora perché continui a mentirci?»
«Ma non sto assolutamente mentendo, e…».
«Mr Cocker, non è educato dire a qualcuno che è stupido».
«Non ho detto a nessuno che è stupido, è come…».
«Qualcuno potrebbe offendersi moltissimo».
Il giovane fissò Logan, con le mani sollevate all’altezza del petto, come se stesse mimando la scena del “Per favore, posso averne ancora?” di Oliver Twist. «Non ho detto a nessuno che conoscevo Ton, perché non volevo perdere il lavoro, e comunque non avevo niente a che fare con quella storia, giusto?».
Logan gli sorrise. «Non hai idea in che razza di guai ti sei cacciato, vero?»
«Ma…». Un respiro. Poi abbassò lo sguardo a terra. «Ton mi avrebbe ucciso».
«E si sarebbe dovuto mettere in coda. Vedi, le persone che ha derubato non lasciano correre. Sono più i tipi da frantumare le ginocchia alla gente a martellate. E non appena sapranno che hai aiutato Anthony Chung a fregarli…». Logan risucchiò un respiro tra i denti scoperti. «Be’, vorranno sicuramente farti visita».
«Ma io non ho mai…».
«Ti piacciono le tue rotule, Duncan?».
Silenzio.
Si agitò sulla sedia, finché la Sim non lo schiacciò giù di nuovo. «L’ispettore ti ha fatto una domanda, Mr Cocker».
«Io…». Il giovane tossicchiò. «Ho fatto avere a Ton le chiavi di un paio di posti che vendevamo e che erano vuoti. Sa, proprietà che erano rimaste invendute per più di un anno. Lui ci faceva qualche affare».
«Finché non è finito legato e torturato a morte in casa degli Abernethy».
Cocker serrò le ginocchia. «Non ho niente a che fare con quella storia, lo giuro. Dico davvero. Ho dato le chiavi a Ton, e lui mi ha dato in cambio un sacco di erba. Tutto qui». Si umettò le labbra e alzò lo sguardo sulla Sim. «Ehm… tutta per uso personale, okay? Non l’ho mai venduta o altro del genere».
Logan gettò il taccuino sulla scrivania, seguito da una penna. «Gli indirizzi».
Il ragazzo mugolò appena.
Si morse il labbro inferiore.
Poi prese la penna e ne scribacchiò una mezza dozzina. «Mi promettete di non dirlo a Mr Willox? Voglio dire, lo sapete, questo è il mio lavoro e lui potrebbe… insomma, le chiavi e tutto…».
Logan indicò il taccuino. «Firmalo in fondo. E mettici la data».
Cocker obbedì. «E non succederà niente, vero? L’altra poliziotta ha giurato che sarebbe andato tutto bene. Non dovete trascinarmi in questa storia. Me l’ha promesso».
Logan riprese il taccuino. «L’altra poliziotta?»
«Sì, insomma, ieri. La donna con i capelli ricci e le tette grandi, no? Ha promesso, assolutamente».
Logan si sporse in avanti. «Ieri quando?»
«Nel pomeriggio… Erano le tre e mezza… forse le quattro? Le ho dato gli indirizzi, tutto qui».
Le piste che stava controllando. Quelle che aveva dichiarato inutili, quando si era offerta volontaria per il turno alla mensa dei poveri.
Cocker si schiarì la gola. «Ora posso andare, vero? Devo far vedere una casa a una coppia…».