capitolo 16

«Porno?». Il commissario Steel arricciò gli angoli delle labbra, con le narici che fremevano e gli occhi che si spalancavano. «Stai dicendo sul serio?»

«È stata cacciata dal set per tre volte, e poi è entrata con la forza». Logan appese la giacca sullo schienale della sedia e si sedette dietro alla scrivania. Qualche idiota gli aveva piazzato nel contenitore delle pratiche da evadere un grosso mucchio di trascrizioni di interrogatori, come se non avesse niente di meglio da fare…

La Steel batté le mani. «Be’, non startene lì seduto: rimedia una volante, andiamo a dare un’occhiata!».

Logan la fissò, perplesso. «Ma… “essere un ispettore non significa andarsene in giro”…».

«Oh, non fare la lagna. Hai detto che questa Andrea potrebbe ritentare il suicidio, no?»

«Agnes. Sta mai ad ascoltare quello che…».

«Saremmo accusati di non aver fatto il nostro dovere, se non seguissimo una pista importante che potrebbe salvare la vita a una ragazza. Quindi muovi le chiappe. Io verrò con te e… controllerò».

«Non ho bisogno di lei che mi tiene la…».

«No, no». Lei alzò una mano a interromperlo. «Insisto. Un buon superiore sa quando intervenire e dare una mano ai suoi sottoposti».

«Quanto meraviglioso spirito di squadra, da parte sua». Logan non si mosse.

La Steel si dimenò avanti e indietro, come un terrier eccitato. «Porno, porno, porno, porno, porno!».

Era come lavorare in un asilo infantile.

Logan si sollevò stancamente e tornò a indossare la giacca. «Se lo fa per tutto il tragitto, giuro che la chiudo nel bagagliaio».

«Porno!». Il commissario si produsse in un allegro saltello, poi si girò e si avviò lungo il corridoio. «Sono anni che non vediamo quel brutto ciccione. Pensi che si ricorderà di me?».

Logan chiuse a chiave la porta dell’ufficio. «Al suo posto, preferirei di no».

«Ti ho sentito». Ma non si fermò.

Lui la seguì giù per le scale, attraverso l’ingresso posteriore della stazione di polizia e nel parcheggio sul retro. Era circondato su due lati dalla mole di cemento del quartier generale, sul terzo c’era l’obitorio e in fondo dava su King Street, cosa che lo trasformava in un angolo soleggiato.

Una coppia di agenti se ne stava contro il muretto divisorio che correva lungo la rampa d’uscita, il viso rivolto al cielo, gli occhiali da sole che riflettevano la luce e le braccia scoperte che si andavano colorando di un vivace rosa Barbie.

La Steel tirò fuori le sigarette e se ne infilò una in bocca. Poi si frugò nelle tasche. «I cerini…». Fissò Logan. «Be’?»

«Pensavo che avesse smesso».

«Smettere è da perdenti. E poi, sarò bloccata con te per tutto il pomeriggio, vorrai pur concedermi un po’ di nicotina per sopravvivere. O questo, o un cicchetto di whisky». Portò le mani ai lati della bocca, a farsi da altoparlante. «Ehi, Chuckle Brothers, avete da accendere?».

Qualcuno tirò Logan per la manica. «Capo?».

Si girò e si ritrovò a fissare l’agente Sim, che strizzava gli occhi per la luce eccessiva. Fece un paio di starnuti, che risuonarono come fucilate in un bagno. Poi si asciugò il naso. «Mi scusi». Un altro starnuto. Un battito di ciglia. Una pausa. «Big Gary dice che non può uscire finché non avrà incontrato la persona che è venuta a cercarla. Signore».

«Non ho nessun…».

«Mi scusi, capo, è…». Corrugò un lato del volto e ricominciò a starnutire.

Logan si allontanò, si fermò vicino a un furgone della polizia piuttosto ammaccato e tirò fuori il cellulare. Compose il numero del sergente McCormack. «Di che persona stiamo parlando?»

«Sì, buongiorno anche a te. La Sim ti ha raggiunto in tempo?».

L’agente Sim non aveva ancora smesso di starnutire. E continuava, imperterrita.

«Chi è venuto a cercarmi, Gary?»

«Una persona che sta aspettando all’ingresso da almeno venti minuti».

Lui alzò lo sguardo verso l’edificio, che torreggiava, nero e grigio, sul parcheggio. «Potevate dirmelo, maledizione! Sono stato nel mio ufficio per…».

«A proposito, sta perdendo leggermente la pazienza. Credo che sarebbe una buona idea se passassi da queste parti, prima di andartene con la cara, vecchia Mrs Rughe».

«Gary, chi è? Chi mi sta aspettando?».

Una pausa. «Lo vedrai».

Quando Logan raggiunse la reception, Big Gary era in piedi dietro al bancone, con un largo sorriso sulla faccia altrettanto larga. Sogghignò dall’altra parte del vetro di sicurezza, e poi indicò a destra. «Lì dentro».

La sala d’aspetto era chiusa. Logan inserì il codice nel tastierino incassato nella parete di fianco alla porta, e poi entrò…

Dannazione.

Sid Sibilo era seduto al tavolino grigio, con le braccia incrociate sul petto. La camicia e la giacca del completo erano immacolate, sotto al suo volto corrucciato. L’avvocato lanciò un’occhiata all’orologio. «Ho aspettato qui per la bellezza di ventidue minuti e mezzo. Ha idea di quanto tutto ciò sia sconveniente?». Sbuffò. «Non c’è neanche la rete wireless per gli ospiti».

Logan si richiuse la porta alle spalle. «Reuben è colpevole, e lei lo sa benissimo».

«Se aveste delle prove a suo carico, non sareste stati costretti a rilasciarlo, dico bene?»

«Mi ha preso a pugni in faccia. Ero lì. Direi che l’ho visto piuttosto bene!».

Sid Sibilo sollevò il mento. «Non mi piace il suo tono, ispettore pro tempore McRae».

«Forse le piacerà di più la mia scarpa su per il…».

«Sarei felice di starmene qui a sentire minacce di brutalità da parte della polizia, ma grazie a lei sono molto in ritardo». Si piegò a raccogliere la borsa. La aprì con uno scatto e ne trasse una piccola busta marrone, che posò sul tavolo. Ne prese un’altra, normale e bianca. La posizionò accanto a quella marrone, per poi spingerle entrambe verso Logan. «Queste sono per lei».

L’ispettore fece un passo indietro. «Una busta marrone, ma fa sul serio?»

«Se sta insinuando che ci siano dentro dei soldi per corromperla, si sta sbagliando di grosso. Il contenuto dovrebbe spiegarsi da sé, ma se vorrà in qualche modo discuterne, può sempre contattare il mio studio legale e prendere un appuntamento». Richiuse la valigetta. «Ora, se vuole scusarmi, devo proprio andare».

Logan fissò le due buste. «Di che si tratta, allora, di un ricatto?».

Un lieve sorriso scivolò sulle labbra sottili di Sid Sibilo. «Perché un ricatto funzioni, il bersaglio deve aver fatto qualcosa di male. Altrimenti, non ci sarebbe nulla con cui ricattarlo. Lei ha fatto qualcosa di male, ispettore pro tempore?».

Logan arretrò di un altro passo, sentendo la maniglia della porta premergli contro la base della schiena. «Certo che no». Per lo meno, nulla di cui Sid Sibilo potesse essere a conoscenza… vero?

«Allora non ha niente da temere, giusto?»

«Ma cosa…».

«Ispettore McRae, ha anche solo una vaga idea di quanto io fatturi all’ora? Il mio cliente mi aveva autorizzato a spiegarle il contenuto di quelle buste, ma mi ha fatto attendere così tanto che ormai il mio tempo qui è scaduto. E poiché il mio cliente è un vecchio amico di famiglia, non ho alcuna intenzione di addebitargli dei costi aggiuntivi per colpa del suo ritardo».

«Ma…».

«Prenda un appuntamento nel mio studio». Poi l’avvocato si alzò, fissando Logan con gli inespressivi occhi grigi. «Ora, se non le dispiace…».

Logan si scostò per farlo uscire.

Sid Sibilo zoppicò verso la reception e uscì dalla porta principale, sparendo nel pomeriggio assolato.

Tornato indietro, Logan richiuse la porta della sala d’aspetto. Due buste da un “amico di famiglia” di Sandy Moir-Farquharson. Non ci voleva un genio per capire che si trattava di Wee Hamish Mowat.

Forse era davvero un ricatto, dopotutto: fai cadere le accuse contro Reuben, e tutto questo sarà tuo…

Logan raccolse le buste. Le soppesò in mano. O forse…

Un colpo sordo contro la porta gli fece fare un salto di una trentina di centimetri verso destra. Poi restò lì ad ascoltare il galoppo frenetico del cuore nelle orecchie, con la pelle delle braccia accapponata.

La voce della Steel si fece sentire oltre il legno del battente. «Avanti, muoviti: c’è del porno caldo che si sta raffreddando!».

Logan si ficcò le buste in tasca. Be’, non poteva certo lasciarle lì, giusto? Chissà cosa diavolo c’era dentro…

«…e stiamo facendo sostanziali progressi nelle indagini». La Steel si sistemò comodamente sul sedile del passeggero, con un piede sul cruscotto e un braccio a spenzolare fuori dal finestrino, mentre teneva il cellulare premuto tra l’orecchio e la spalla e si sistemava il reggiseno.

L’uomo della sicurezza era una montagna di muscoli stretta in una camicia di poliestere marrone. Fissò Logan, poi spostò lo sguardo sulla Steel, giusto in tempo per vederla rovistare tra i seni con la mano libera.

La guardia aggrottò la fronte. «È sicuro che lei sia della polizia?»

«Sarei più che lieto che non lo fosse». Logan accennò al parcheggio oltre la sbarra, di fronte all’edificio di due piani. Era pieno. «Posso entrare?»

«…certo, signore, si stanno aprendo diverse piste, e ora abbiamo quell’antropologa forense in squadra… Sì, grazie, signore, è stata una mia idea, ma non posso prendermi tutto il merito».

Tipico.

L’uomo della sicurezza controllò la sua cartellina, poi si scostò di un paio di passi dalla volante e parlò in un walkie-talkie. Qualunque cosa disse, tenne la voce troppo bassa perché si potessero distinguere le parole. Soprattutto mentre la Steel continuava a blaterare al telefono.

«…no, signore, è troppo presto per promettere un arresto imminente alla stampa, ma tra me e lei, siamo fiduciosi che… Sì… certo…».

E poi la guardia tornò, con un paio di “passi” che dondolavano da cordoncini di un arancione fluorescente. Li porse a Logan dal finestrino. «Assicuratevi che il passi sia sempre visibile. Giri intorno all’edificio della produzione, c’è un parcheggio a disposizione di fronte allo Studio Uno. Il limite di velocità è di dieci chilometri all’ora». Si sporse nuovamente dentro la macchina. «Non trenta, non cinquanta: dieci».

«Si assicuri semplicemente che qualcuno sappia che stiamo arrivando».

La sbarra si alzò e Logan entrò con la volante oltrepassando la soglia della città degli orpelli appariscenti, o quella che passava per tale nel Nord-Est della Scozia.

Un paio di grossi magazzini grigi si trovavano dietro all’edificio occupato dagli uffici. Logan seguì la strada, procedendo a un’estenuante andatura di dieci chilometri orari.

«…sì, signore, può contare su di me». La Steel chiuse la telefonata e lanciò uno sguardo verso lo Studio Uno. Si innalzava per almeno quattro piani, con un grosso “1” dipinto sulla facciata con la vernice dorata. «Io e te abbiamo scelto il lavoro sbagliato, Laz. Sembra che i soldi veri girino tutti nell’ambito dei film porno».

«Stiamo facendo dei progressi sostanziali?».

Una giovane donna abbronzata con degli shorts in denim e una canottiera striminzita li oltrepassò ondeggiando sulle sue infradito, spingendo un carrello di quelli che sembravano costumi da suora.

La Steel sogghignò. «Ecco la realtà sulla recessione. Tutti si lamentano del fatto che hanno dovuto tagliare le spese inutili come cibo e riscaldamento, ma non rinunceranno mai al porno».

Logan parcheggiò la volante in uno dei posti segnalati con la vernice gialla accanto alla porta dello studio, ignorando il cartello parcheggio parallelo. «Il commissario capo scoprirà che sono tutte stronzate. Non siamo più vicini a scoprire chi ha incravattato quel poveraccio di quanto lo fossimo due giorni fa».

«Il commissario capo crede a quello a cui io gli dico di credere». Colpì Logan sul petto con il palmo della mano. «E ora piantala: stai rovinando la mia aspettativa pre-porno».

Un giovane magro uscì dagli uffici, con una tracolla di pelle buttata su una spalla. Capelli lunghi, pantaloncini al ginocchio, sneaker blu, una t-shirt con la scritta il corpo è il mio co-pilota e un paio di occhiali dalla montatura spessa. Da una mezza dozzina di braccialetti dell’amicizia al suo polso sinistro pendeva una serie di code di tessuto sfilacciato. Raggiunse la volante mentre loro ne stavano uscendo. Rivolse un ampio sorriso, poi tirò fuori un iPad avvolto da una custodia rossa dalla borsa e prese a giocherellarci. Infine annuì. «Salve, voi dovete essere… Logan e Roberta, giusto? Posso vedere i vostri passi?».

Logan glieli tese entrambi.

«Perfetto, mi serve che li indossiate, però, okay? E assicuratevi che siano visibili. Abbiamo avuto un po’ di problemi con gente non autorizzata…». Poi restituì loro i cartellini.

Non appena Logan si fece scivolare il proprio intorno al collo, il giovane gli scattò una foto con l’iPad. Fece lo stesso con la Steel. «Ottimo, è tutto registrato. Okay, io sono Jack», sollevò il proprio passi verso di loro, «e sono un po’ il tuttofare, qui dentro, quindi se avete bisogno di qualcosa, fatemelo sapere. Okay, procediamo».

Jack girò i tacchi e si avviò oltre l’angolo dello Studio Uno.

La Steel si leccò le labbra, mentre una serie di rughe le increspava la fronte. «Perché ho un brutto presentimento, in merito?».

Lo seguirono oltre un mucchio di corpi di lattice e resina, a molti dei quali mancava qualche pezzo.

Il ragazzo si volse a guardarli. «Lo so, sono inquietanti, vero? Dovreste vederli quando sono coperti di cavi degli effetti speciali, è incredibile. Dobbiamo tenerceli finché le riprese non saranno finite, in caso ci servissero ancora».

La Steel abbassò la voce a un sibilo. «In quale diavolo di porno serve un mucchio di cadaveri fatti a pezzi?».

Logan si ficcò le mani in tasca. «Jack, è da un po’ che sei qui?»

«Fin dall’inizio! È stata… un’esperienza esaltante. Davvero, che modo grandioso di entrare nel giro, no?»

«Ricordi per caso una certa Agnes Garfield?»

«Oh. Mio. Dio». Il giovane roteò gli occhi, premendosi una mano contro il petto. «Non mi era mai capitata una pazza del genere. È inquietante quando una persona diventa così ossessionata da qualcosa, no? Voglio dire, è solo un film, giusto?».

La Steel si strinse nelle spalle. «Non saprei».

«Be’, eccoci qui». Jack allargò le braccia, come ad abbracciare la facciata di un altro enorme magazzino grigio, con il numero “2” dipinto in argento sul davanti, sopra alle gigantesche porte scorrevoli. Era ancora più grosso del primo. «Oh-oh, luce rossa, quindi dovremo attendere qui fuori per un minuto o due».

Logan appoggiò la schiena contro la tiepida parete di metallo. «L’hanno dovuta buttare fuori dallo studio per tre volte di seguito, vero?»

«, e poi comunque si è intrufolata qui dentro per rubare! Mancano degli oggetti di scena e cose del genere». Sospirò. «È per questo che ora siamo diventati così intransigenti con i passi. Perfino gli attori devono indossarli, tra una scena e l’altra».

La Steel increspò le labbra. «Cosa? Nudi come vermi e con un’erezione e un passi intorno al collo?».

Il sorriso di Jack si smorzò lievemente. «Una… un’erezione?»

«Sì, tra le scene. Quando non scopano, sai, no?».

Il ragazzo aprì leggermente la bocca. Poi la richiuse di scatto, tornando al sorriso falso di prima. «Be’, pare che abbiamo luce verde, ora. Vogliamo entrare?».