capitolo 27
La Steel alzò lo sguardo su di lui, con il volto inespressivo come quello di un pesce preso all’amo. «Ebbene?».
Logan si afflosciò sulla sedia degli ospiti, adesso vuota. Era ancora calda. «Ebbene cosa?»
«Lo sai benissimo».
Silenzio.
«Okay, mi sono sbagliato. Soddisfatta, ora?»
«Dannatamente in estasi». La Steel piazzò un piede sulla scrivania.
Logan contò sulle dita: «Robbie Whyte aveva dei precedenti; era collegato al film attraverso Nichole Fyfe; era completamente matto; abbandonava nel Cimitero delle Auto le auto che rubava. E in più ha anche ucciso il suo cane. Che cosa dovevo pensare?»
«Oh, non so… per esempio: ha davvero ucciso qualcuno?»
«Sto facendo comunque fare un controllo dalle guardie di sicurezza dell’ospedale con le infermiere del reparto di oncologia, e sto facendo dare un’occhiata alle registrazioni delle telecamere di sicurezza. Forse ha lasciato il capezzale della madre morente per il tempo necessario a incravattare Roy Forman e torturare chiunque fosse la vittima di Kintore».
«Sì, e forse dal mio culo escono arcobaleni e polvere fatata».
Logan la fulminò con lo sguardo. «Sa? Sta diventando sempre più simile a Finnie, ogni giorno che passa. I discorsi motivazionali sarcastici, la ricerca ossessiva di informazioni, il fatto che perquisisce i cassetti degli altri…».
La Steel sgranò gli occhi. «Rimangiati subito tutto: io non sono affatto come quel molestatore di capre dalla faccia da rospo e dalle labbra di gomma!».
«Guardi Rennie. Lui sta facendo del suo meglio e lei… cos’è, sta cercando di farlo piangere? Dovrebbe essere un mentore, per lui, non…».
«Io sono molto più gentile di…».
«Sta pensando seriamente di dare le dimissioni. È questo ciò che vuole?»
«Pfff…». La Steel si frugò nel reggiseno, facendo ondeggiare e tremare la sua rugosa scollatura. «Gli sto facendo un favore. O riesce a reggere lo stress, oppure no. È meglio che lo scopra subito, quando qualcun altro può ancora sistemare i suoi casini, che non più avanti, quando qualche poveraccio finirà ammazzato perché Rennie non è in grado di fare il suo lavoro». Si grattò ancora, poi lasciò perdere il reggiseno e alzò il mento, fissando Logan dall’alto in basso. «E poi, a te non ho mai fatto niente di male, no?»
«Certo», ribatté lui, in tono piatto, «lei è una tale santa».
«Vuoi forse una clip come orecchino?». La Steel prese un tiro profondo dalla sua sigaretta elettronica. Poi strinse gli occhi. «E come mai non hai fatto ancora niente a proposito del cadavere trovato sul tuo tetto?»
«Il caso non è mio; l’ha affidato a Din-Don».
«Non è una scusa! Dovrai pur difendere il tuo orgoglio, in quel parcheggio di roulotte, no? Il tetto è tuo… è tuo lo scheletro, e anche la responsabilità è tua!».
«Allora mi approvi la ricostruzione facciale. Ha funzionato per Roy Forman, no?».
Lei si agitò sulla sedia. «Hai idea di cosa stanno facendo al budget del cid, vero? È…».
«Allora non venga a lamentarsi da me quando non riusciamo a fare progressi. Vuole un risultato? L’indagine deve ottenere i fondi necessari».
La Steel aggrottò le sopracciglia. «Ascolta: tu e quel ragazzino, Rennie, non fate che lamentarvi con me tutto il tempo, ma non siete voi quelli bloccati qui con il commissario capo che vi tiene il fiato sul collo come uno zio molesto…». Picchiettò contro il pianale della scrivania con un indice ingiallito. «E un’altra cosa: come mai tua madre continua a chiamarci dicendo che vuole portare Jasmine alla fottuta Euro Disney del cazzo? Ti avevo detto di parlarle».
«Se non darà tregua a Rennie, giuro che darò a mia madre il numero del suo cellulare».
«Non oseresti mai».
«E poi le spiegherò che avrebbe sempre voluto far parte del wri, così che possa mettere una buona parola per lei».
«Se credi di…».
«E poi le insegnerò a tampinarla su Facebook».
La Steel lo fulminò con lo sguardo, con il piccolo led rosso all’estremità della sua finta sigaretta che mandava furiosi messaggi Morse. «Bene: sarò più gentile con Rennie».
Logan si alzò. Sbadigliò. «C’è altro?»
«Non tirare troppo la corda, Laz, o non avrai il tuo regalo».
«Regalo?».
Perché sembrava tanto una minaccia?
L’agente Sim teneva le mani dietro la schiena e camminava lungo Union Street a passi calmi e misurati, in una convincente imitazione di Dixon of Dock Green. Alzò lo sguardo verso il nastro di cielo intrappolato tra gli edifici di granito che si ergevano di guardia ai due lati della strada. L’azzurro scintillante era sbiadito in un bianco latteo, con qualche grumo grigio chiaro che si estendeva come un cancro. Sospirò. «Spero che non si metta a piovere finché non sarò a casa. Ho un sacco di panni stesi ad asciugare».
Attraversarono la strada al semaforo all’esterno della libreria Waterstone’s, raggiungendo la fila di charity shop e banche che caratterizzava quella zona del West End. Avidità corporativa fianco a fianco con libri usati.
Destinazione: Gilcomston Church.
La Sim canticchiava tra sé e sé una nenia monocorde, sorridendo ai raggi di sole e avanzando lentamente. «Pensa che troveremo un testimone?»
«E tu?»
«No. Sono un semplice agente, ma non sono stupida. Un cadavere nel bel mezzo del nulla, ucciso in quel modo… chiunque l’ha fatto deve essersi organizzato a dovere. Deve aver pianificato tutto al millimetro. Non sarà sicuramente arrivato a tutta velocità in un furgone nero, caricandoci dentro Mr Forman. L’avrà fatto con attenzione e in silenzio, in un luogo dove nessuno poteva vederlo».
«Probabilmente è così».
Una donna dal viso tondeggiante avanzava verso di loro, spingendo un doppio passeggino con due marmocchi urlanti imprigionati all’interno. La sigaretta incollata all’angolo delle sue labbra ondeggiava al ritmo delle sue soffocate imprecazioni.
Logan e la Sim si divisero, spostandosi ai due lati del marciapiede e lasciando passare la Cara Mammina.
Quando tornarono affiancati, l’agente si bloccò, fissando la vetrina di un charity shop.
Qualcuno aveva vestito un manichino di pelle nera dalla testa ai piedi, infilandogli sotto un braccio un taccuino rosso. Sullo sfondo era stato piazzato un lenzuolo, con un Nodo ad Anello dipinto sopra con la vernice nera, identico, nelle sue spirali e nei suoi cerchi, a quello disegnato sul pavimento della cucina di Kintore. Una pila di libri era appoggiata su un tavolino di legno accanto al manichino, con un teschio in cima. Erano tutte copie di Witchfire.
La Sim vi accennò con il mento. «Mia nipote Amanda ha scritto una relazione su quel libro per gli esami di terza media. Ha avuto una B. L’ha fatto leggere a tutta la famiglia e poi ha fatto discutere tutti», sollevò le dita per mimare il gesto delle virgolette, «dei “simbolismi” e dei “temi” del romanzo, come in una specie di poco entusiastico club del libro».
«I ragazzini di oggi non si rendono conto di quanto sono fortunati. Noi non abbiamo mai avuto scelta, a scuola, o era Uomini e topi e il dannatissimo Macbeth, o ti beccavi un brutto voto».
«Witchifire non è male, credo. Cioè, per chi apprezza quel genere, ecco. È una specie di incrocio tra Fatherland, I guardiani della notte e Il silenzio degli innocenti. Per lo meno, grazie a quel libro mia nipote ha letto qualcosa; ho sempre pensato che sarebbe stata ignorante come suo padre».
Logan fissò la vetrina. «Ho iniziato a leggerlo ieri sera. Sono arrivato al punto in cui il Moderatore dice a Rowan di suo padre».
La Sim arricciò le labbra. «Non vuole parlare di simbolismi e temi anche lei, vero? Una volta mi è bastata e avanzata».
Logan riprese a camminare lungo la strada. «Agnes sta ricreando delle scene del romanzo; ho pensato che non mi avrebbe fatto male saperne qualcosa di più».
«Dogma secondo: “Conosci il tuo nemico, perché la conoscenza è potere, e il potere è vittoria”». L’agente si strinse nelle spalle. «Non mi guardi così, gliel’ho detto che abbiamo dovuto leggerlo tutti, in famiglia».
Gilcomston Church si alzava verso il cielo, con le guglie frastagliate e grigie che torreggiavano sugli edifici circostanti. Era un’elaborata e gotica massa di granito striato di scuro, con l’entrata principale che si alzava ben al di sopra del livello della strada, al punto da aver bisogno di una breve rampa di scale di pietra che conducevano all’ampia porta di legno. Due manifesti erano affissi ai lati dell’entrata, inseriti in due vetrine di Plexiglas. Su uno, di un arancione accecante, si leggeva: gesù ti ama ogni singolo giorno!, mentre l’altro, di un giallo paglierino radioattivo, recitava: novità: bingo degli anziani ogni mercoledì!!!
Due uomini e una donna sostavano sui gradini; avevano addosso parka malridotti e impermeabili, e abiti invernali, nonostante le temperature infernali degli ultimi giorni. Una serie di buste da supermercato piene di vestiti e barattoli li circondava di un’aureola di plastica. Probabilmente erano tutti i loro averi.
Logan si fermò in fondo alla scalinata e rivolse loro un sorriso. «’Giorno».
Uno degli uomini lo guardò con aria sospettosa da sotto un logoro berretto di lana, gli occhi vuoti e gialli, iniettati di sangue. Serrò al petto una lattina di birra extraforte da supermercato, difendendola con la mano libera. L’odore penetrante di urina vecchia e alcol gli aleggiava intorno come una nuvola temporalesca. «Non ho fatto niente. Non avete alcuna prova, conosco i miei diritti».
L’altro uomo e la donna si strinsero più vicini. Lui aveva una gamba ingessata dal ginocchio in giù, e il volto pieno di croste e graffi. Quello doveva essere Henry Scott, ovvero Scotty Crosta, l’unico dei senzatetto ladruncoli di Rennie che non si trovava ancora in una cella dell’obitorio.
La donna aveva una benda di garza sporca sull’occhio sinistro, i capelli come paglia umida e le unghie dipinte di un rosso scarlatto. Si fece scivolare in tasca una mezza bottiglia di vodka da supermercato.
La Sim sollevò una mano. «È tutto a posto, Trevor, non siamo qui per darti fastidio…».
«Chiunque abbia detto che sono stato io mentiva!».
Logan prese dalla tasca della giacca la foto segnaletica di Roy Forman e la sollevò.
Trevor tirò su con il naso e si passò una mano sotto le narici, lasciando una scia umida sulla pelle sporca. «Qualunque cosa abbia fatto Muffa, io non c’entro niente».
«Quando l’hai visto l’ultima volta?»
«Era pazzo».
La Sim si sedette sul gradino accanto a lui, sbattendo le palpebre. Probabilmente per il fetore, che già era abbastanza insopportabile dal marciapiede; da così vicino, doveva essere terribile. «Trevor, stiamo cercando di aiutare Mr Forman, non siamo qui per darti fastidio. Abbiamo solo bisogno di sapere se qualcuno l’ha visto la scorsa settimana. Magari venerdì, o sabato».
La donna si passò la lingua biancastra sulle labbra spaccate. La sua voce non aveva niente a che fare con i capelli rovinati e sporchi e con i denti mancanti. Era snob, e non si trattava dell’accento snob locale, ma di quello di Inverness. «È morto, non è così?».
La Sim annuì. «Mi dispiace, Sally. È per questo che abbiamo bisogno di…».
Henry Scott scoppiò a piangere. «È morto, è morto, è morto…».
Sally gli passò un braccio intorno alle spalle. «Shhh, shhh, va tutto bene, Scotty, va tutto bene». Socchiuse l’unico occhio sano fissando Logan. «Guardate cosa avete fatto».
Logan si sedette sui talloni, in modo da poter guardare negli occhi l’uomo. «Eri amico di Roy, vero, Henry? Tu, Roy e Sally eravate amici, giusto? Quand’è stata l’ultima volta che l’hai visto?»
«Non sono stato io, non sono stato io, non l’ho fatto io, non ho rubato niente…».
«Va tutto bene, non sono qui per i furti nei negozi e non voglio arrestarti, te lo prometto. Voglio solo sapere cosa è successo a Roy. Hai visto qualcosa?».
Sally strinse maggiormente a sé Henry Scott. «Pensi che siamo soltanto dei vagabondi, vero? Ubriaconi e accattoni, ma anche noi siamo persone!».
«Lo so, è per questo che stiamo…».
«Moriamo continuamente e voi non fate mai nulla, vero? A voi non importa nulla. Siete come tutti gli altri fascisti».
La Sim sospirò. Aggrottò la fronte. «A noi importa, Sally».
«Se ve ne importasse qualcosa, vi muovereste! Ci portano via di notte e fanno esperimenti su di noi…».
«Chi?».
L’unico occhio sano della donna scattò a destra e a sinistra, poi la sua voce si abbassò a un sussurro. «Il governo».
«È morto, quella l’ha ucciso: è morto, è morto…».
Logan scosse la testa. «La polizia è indipendente, Sally, il governo non può imporci nulla, non possono costringerci a fare niente. È per questo che vogliamo scoprire cosa è successo…». Poi fissò Henry Scott. «Un momento: hai detto “quella l’ha ucciso”. Chi l’ha ucciso, Henry? Chi ha fatto del male a Roy?».
Henry Scott perse lo sguardo su Union Street, puntandolo verso l’East End. La sua voce era appena un bisbiglio, le parole soffocate da una serie di corti ansiti spezzati che sapevano d’aglio. «L’angelo nero. Scende dal cielo nel cuore della notte e ci porta via».
Sally fissò per un attimo il cielo, poi sospirò. «Non dire sciocchezze, Scotty, non sono gli angeli, è il governo! È stato il governo a portarlo via, li ho visti nelle loro grosse macchine nere, con tanto di pistole e completi neri. L’hanno preso per usarlo come cavia nei loro esperimenti».
Be’, non stava andando male. Erano arrivati lì da appena un paio di minuti e già avevano due nuovi sospetti: l’angelo della morte e il governo. Era un gran bel benvenuto nel mondo del volontariato sociale.
Sally tornò a leccarsi le labbra, mentre l’altra mano accarezzava la tasca in cui aveva nascosto la vodka.
«Sta’ tranquilla, non voglio arrestarti per aver bevuto in pubblico. Non siamo qui per causare dei problemi, davvero. Stiamo soltanto cercando di scoprire cosa è successo a Roy Forman».
«È…». La donna lasciò andare Henry, pescò la bottiglia dalla tasca, ne aprì il tappo a vite, prese un sorso di vodka e poi lo richiuse e la rimise in tasca, tutto nel giro di tre secondi. «Muffa stava cercando di uscirne. Andava dallo psichiatra per risolvere i suoi problemi. Stava cercando lavoro, si stava facendo una famiglia, aveva anche un cane di nome Savlon. Forse sono state le persone di cui si fidava a consegnarlo al governo?»
«È morto, l’ha ucciso, è morto, è morto…».
Sally riportò il braccio intorno alle spalle di Henry. «Shhh, shhh, va tutto bene. Non possono più fargli niente di male».
«Ragazzi, è importante: quando avete visto Roy Forman per l’ultima volta?».
Trevor ingobbì le spalle all’interno del suo sudicio parka con la pelliccia intorno al cappuccio tutta macchiata. «Venerdì sera. Alla mensa per senzatetto sulla Green. È lì che l’ho visto… ma non ho fatto niente di male! Chiunque ha detto il contrario è un bugiardo!».
Logan tirò fuori la foto di Agnes Garfield. «E questa ragazza? L’avete mai vista?»
«Qualunque cosa dica, sta mentendo. Non ho fatto niente».
Logan si passò da una mano all’altra le buste di plastica e uscì con una certa fatica dalla panetteria, oltrepassando un paio di zotici in tuta in fondo alla fila e ritrovandosi a Schoolhill. Sopra la sua testa, il cielo si stava facendo sempre più grigio, dando quella stessa tonalità anche agli edifici di granito lì intorno. L’ispettore attraversò la strada, aggirando il bagagliaio di un taxi parcheggiato in divieto di sosta.
Poi si bloccò sul marciapiede.
Un gruppetto di agenti della Strathclyde Police si girò a guardarlo: la squadra della National Police Improvement Authority annunciata dalla Steel era arrivata. Due uomini e una donna, tutti in completo scuro e senza l’ombra di un sorriso in volto. Il più alto, in un completo nero perfettamente inamidato, fissò Logan con un lieve sbuffo dal naso. Il suo pizzetto da mago malvagio era più scuro di almeno tre tonalità rispetto ai pochi capelli tirati indietro ai due lati di una fronte alta e piena di rughe. Socchiuse gli occhi infossati. «Il sergente McRae, presumo».
«Sovrintendente Smith. È un piacere rivederla».
Quelle parole, per lo meno, gli fecero ottenere un sorriso. «Spero che questo non sia un bis dell’ultima volta».
«Non fu certo colpa mia, se ben ricorda».
«Il sergente Kelly zoppica ancora quando cambia il tempo, non è così, Gerald?».
Una massa di muscoli dalla testa rasata e con un paio di grossi occhiali sul naso gli lanciò un’occhiata da sotto le pesanti sopracciglia. «In teoria, non sarebbe dovuto essere armato».
«E lei sarebbe dovuto rimanere in macchina».
Le labbra del terzo membro del trio ebbero un fremito, ma la donna riuscì a trattenere il sorriso. Era invecchiata un po’ dall’ultima volta, ed era anche leggermente ingrassata, ma quei chili in più le stavano bene. I suoi lunghi capelli neri erano raccolti in una coda di cavallo arricciata sulle punte, e il trucco riusciva quasi a nascondere le ombre scure che aveva sotto agli occhi, ma poco poteva fare per le zampe di gallina ai loro lati. Gli fece un cenno. «Sergente McRae».
Logan ricambiò il saluto. «Sergente Watson. A proposito, sono ispettore, adesso: pro tempore».
«Congratulazioni». Non si era ancora mossa.
Il sovrintendente Smith sbuffò nuovamente dal naso. «Molto bene, direi che la tensione erotica è già abbastanza alta per oggi. Vorrei andare a pranzo, prima che la caccia alle streghe cominci. Ci vediamo, ispettore McRae».
«Non vedo l’ora, signore». Logan restò immobile mentre il gruppetto si allontanava verso il Bon Accord Centre. Oh, quella giornata non stava facendo che migliorare…
Logan posò la busta di plastica sulla scrivania della Steel, poi si afflosciò sulla sedia di fronte ed esalò un profondo sospiro.
Lei lo fissò. «Allora?»
«Non c’era il pasticcio di patate, perciò le ho preso i maccheroni al formaggio». Pescò un contenitore di polistirolo dalla busta e glielo passò. Poi prese l’altro. Lo aprì, rivelando una patata al forno con tonno e formaggio; un profumo delizioso riempì l’ufficio. «Finora, l’ultima volta che qualcuno ha visto Muffa Forman è stato alle dieci e mezza di venerdì sera, alla mensa per senzatetto di East Green, nel punto in cui scompare sotto Market Street».
La Steel aprì il suo contenitore. Un mucchietto ondeggiante di maccheroni coperti di una collosa salsa gialla fece la sua comparsa, accanto a un mucchietto di patate fritte. «Mi hai preso anche le patate!». Un sorriso rese più profonde le rughe intorno ai suoi occhi. «C’è ancora qualche speranza, per te».
«Andrò a dare un’occhiata lì alla mensa, stasera, ma…».
«No, non ci andrai. Il budget degli straordinari è già abbastanza a pezzi senza che tu faccia un doppio turno». Mise in equilibrio qualche maccherone su una patatina e si ficcò tutto in bocca, nel soggiungere: «Mandaci Din-Don», le parole soffocate dal boccone.
«Come posso seguire io l’indagine per l’omicidio di Forman se…».
«Non c’è “io” nella squadra, Laz, ma se vuoi c’è sempre un mio calcio nel tuo sedere». Inghiottì un altro paio di patatine. «E poi, se starai sveglio tutta la notte, non mi sarai affatto d’aiuto domani. Din-Don si occuperà della mensa».
Fantastico, dannazione: aveva fatto lui tutto il lavoro, e se fosse uscito fuori qualcosa, l’ispettore Bell se ne sarebbe preso tutto il merito.
«Molto bene, se ne occuperà Din-Don, ma se si arriverà a un arresto…».
«Sì, sì… avrai la tua stellina dorata e una caramella». Un altro boccone di maccheroni sparì tra le sue fauci. «Dio, sei davvero una noia».
«Si ricordi soltanto che era la mia pista». Logan aprì una bustina di pepe e ne spolverò il contenuto sulla patata al forno. Poi fece lo stesso con una bustina di sale. «Il cast e la troupe di Witchfire hanno fatto volontariato proprio in quella mensa, e vuole indovinare chi aveva organizzato la cosa?».
La Steel lo fissò stringendo gli occhi per un attimo, masticando. «Agnes Garfield?»
«Bingo». Logan prese le posate di plastica dalla busta e tagliò un pezzo della patata al forno. «Nessuno ha riconosciuto la sua foto, quando l’abbiamo mostrata in giro, ma, per quello che ne sappiamo, i capelli rossi sono solo l’ultimo di una lunga serie di cambiamenti. Potrebbe aver alterato il suo aspetto ogni settimana».
La Steel emise qualcosa che suonava a metà tra un sospiro e un ringhio. «Proprio quello di cui abbiamo bisogno».
«Gliel’avevo detto».
«Non è d’aiuto, Laz». Si ficcò in bocca altre due patatine e le masticò con aria disgustata. «Mi hanno chiamato dall’ospedale. L’alibi di Robbie Whyte regge, è stato al capezzale della madre fino a quando non l’hanno dichiarata morta. Non c’è possibilità che sia stato lui a uccidere Muffa Forman o la vittima torturata».
Ma certo che non era stato lui. Altrimenti avrebbe facilitato troppo la vita a tutti, giusto?
Logan prese un boccone del suo pranzo. La patata arrosto era calda, il tonno freddo e il formaggio sembrava napalm. «L’hanno identificata, a proposito?».
La Steel si produsse in una volgare e rumorosa pernacchia. «Il volto è così gonfio e pesto che non riescono a fare un riscontro dell’impronta dentale, i polpastrelli sono ridotti in poltiglia, quindi non potremo ottenere impronte digitali, e dalla Scientifica dicono che hanno tante possibilità di ottenere del dna utilizzabile da quel corpo quante ne ha Rennie di vincere a Mastermind. Quattro giorni in una stanza così calda bastano a trasformare in muffa qualunque cosa». Inghiottì un altro boccone di maccheroni. «Forse possono ottenerne un campione dalla polpa dei denti, ma niente di più».
«Che ne pensa di un’altra ricostruzione facciale?».
La Steel lo guardò in tralice.
Bene. Meglio cambiare argomento. «Non immaginerà mai chi ho incontrato fuori dalla panetteria: la squadra dell’npia».
«Già qui? Chi hanno mandato?»
«Il sovrintendente Smith, il sergente “Scimmia” Kelly e il sergente Watson».
Il commissario rispose con un mugugno. «E parlerete in modo civile, questa settimana, o pensate di starvene seduti a guardarvi male e a lanciarvi frecciatine per tutto il tempo? Perché allora sarebbe ancora più divertente».
«Ehi, le ho portato le patatine, ricorda?»
«Perché le cose non sono già abbastanza complicate con il dannato commissario capo che mi sta addosso ogni cinque minuti. “Oh, la stampa è sul piede di guerra”. “Oh, il procuratore non è contento”. “Oh, se Finnie fosse qui…”. Certo, come se quell’idiota Faccia di Rospo potesse arrivare, agitare la sua bacchetta magica e risolvere tutto». La Steel inforcò una patatina, poi la osservò cupamente, mentre sgocciolava sulla punta della forchetta di plastica. «C’è anche della salsa al pomodoro, nella busta?»
«Un’altra cosa: due amici di Forman hanno detto che stava cercando di seguire una terapia psichiatrica. Quasi sicuramente, anche Agnes lo faceva. Potrebbe essere una pista utile da seguire?»
«Perché non hai preso la salsa al pomodoro? Come posso mangiare le patatine senza?»
«I maccheroni al formaggio fanno schifo, con la salsa di pomodoro. Che ne dice di un appello alla tv?»
«Be’, insomma… tu sei quello che mangia la Marmite. È come mangiare un barattolo di stronzi di Satana».
«È ancora in città: ha usato la carta di debito di Anthony Chung. Devono essere nascosti da qualche parte, quindi prima o poi qualcuno dovrà pur notarli».
«Sai come la fanno, la Marmite?».
Lui raccolse un’altra forchettata di tonno coperto di formaggio Cheddar. «Andrò a parlare con l’ufficio stampa. Vediamo se possono darci una mano».
«C’è una miniera nel punto più oscuro dell’Inghilterra, e in fondo alla miniera c’è una grossa crepa nel terreno».
«Non la sto neanche ascoltando».
«E il diavolo piazza il culo nella fessura, e poi mandano tutta una serie di assassini, bastardi e stupratori là sotto a raccogliere la merda e a metterla nei barattoli».
«Roy Forman non si sarebbe mai potuto permettere uno strizzacervelli, quindi chiunque lo stesse aiutando deve essere nei servizi sociali. Non dovrebbe essere troppo difficile da rintracciare».
«È vero, c’è un video su Internet». La Steel tamburellò le dita sulla scrivania. «Avanti, lo so che ne hai qualche bustina nel cassetto della tua scrivania».
«Non le darò neanche un po’ di salsa di pomodoro».
Un piccolo sorriso increspò un lato del viso del commissario. «Facciamo uno scambio». Si chinò in avanti e aprì l’ultimo cassetto di uno schedario. Quando si raddrizzò, stringeva in mano una scatola rettangolare, grande più o meno quanto un contenitore termico, avvolta in anonima carta marrone. La agitò lievemente davanti a lui. «Te l’avevo detto che avevo un regalo per te».
Logan posò la forchetta di plastica e si ritrasse sulla sedia. Aggrottò la fronte. «Di che si tratta?»
«Prima la salsa al pomodoro, poi il regalo».
«Oh… d’accordo…». Logan si alzò, recuperando il contenitore con la patata al forno. «Allora… vado a prenderla».
E fuggì.