capitolo 34

Le parole di una vecchia canzone si facevano sentire dal bagno, insieme allo scroscio della doccia: un pezzo dei Pink Floyd reso con più entusiasmo che talento musicale. Non sarebbe riuscita a cogliere una nota intonata neanche se l’avesse trovata appesa a un ramo.

Logan si stiracchiò, sdraiato sulla schiena, il copriletto che gli arrivava all’altezza del petto. Un piacevole calore si irradiava dalle sue membra, incollandolo alle lenzuola fresche. Mmm…

«Smettila di sogghignare». Samantha si sedette sul bordo del letto. «Ti fa sembrare un criceto compiaciuto». La T-shirt nera troppo larga per lei le arrivava quasi alle ginocchia, e dal suo seno Marilyn Manson lo fissava con le sue inquietanti lenti a contatto. Una delle sue calze, a strisce rosse e nere, aveva un buco che faceva sporgere il mignolo del piede, con la minuscola unghia smaltata di nero. «Ho visto che hai cancellato Shakespeare, finalmente».

Un profondo sospiro gonfiò il torace di Logan, prima che lo esalasse lentamente. Caldo e comodo… «Non potevo permettere che ti guardasse mentre facevi la doccia. È il mio lavoro. Non potrei più considerarmi un poliziotto».

Lei gli posò una mano sul petto. Lanciò uno sguardo verso il bagno, per poi tornare a guardarlo. «La ami?»

«Amo te».

«Non evitare la domanda, Capitan Cicatrice: la ami?»

«Io… no. Una volta sì, ma è stato tanto tempo fa».

«Bene». Samantha annuì, mentre un sorriso le sollevava un angolo delle labbra. «Ricordatelo: sei mio, tesoro».

Si udì uno scatto, poi la porta del bagno si aprì e il sergente Jackie Watson entrò nella stanza, con la testa piegata leggermente di lato, mentre si asciugava i lunghi capelli scuri con un asciugamano grigio, e un grande telo azzurro era avvolto intorno al suo busto, nascondendo le sue intimità. Una ruga sottile comparve tra le sue sopracciglia. «Mi era parso di sentire delle voci».

Logan si girò, ma Samantha era sparita. «Stavo… parlando da solo».

«Mi piacerebbe vederlo». Jackie si sedette sul letto, nel punto esatto che Samantha aveva appena lasciato. «È già abbastanza brutto che tu debba lavorare con un gruppo di pazzi, senza dover impazzire a tua volta». Delle goccioline d’acqua scintillavano sulla pelle chiara delle sue spalle, concentrate nei leggeri avvallamenti lasciati dalle spalline del reggiseno.

Si allungò a recuperare il libro delle accuse di Agnes Garfield dal comodino. «Un diario di pelle rossa? Forse è davvero troppo tardi per salvarti…». Lo sfogliò, con un sopracciglio che si sollevava sempre di più, man mano che girava le pagine. «Oh, mio Dio. Scrivi poesie, ora?»

«Non sono mie. Si tratta di un oggetto legato al caso Forman».

Jackie prese un profondo respiro, creando un piccolo avvallamento sul bordo del telo avvolto intorno al suo corpo. «Senti qua…»:

Al mio amato ho fatto un dono,

Per tutti i cuori che ha spezzato,

I polmoni che esplodono,

Le crude parole che ha pronunciato,

Paura avrà di ciò che ha risvegliato,

E tornerà alla terra.

Nell’oscurità si muove l’ingannatore,

Noi purificheremo la sua casa col fuoco,

Venite a innalzare la pira, venite…

Richiuse di scatto il libro. «Scommetto che Pam Ayres sta avendo i brividi, ora».

«Sai come sono le adolescenti».

«Pensi che la troverai?».

Logan incrociò le braccia dietro alla nuca e aggrottò la fronte, guardando il soffitto. «Dipende da come andranno le cose stasera».

Jackie si alzò, lasciando cadere il telo da bagno mentre si accosciava sul pavimento per rovistare in un borsone, tirandone fuori un asciugacapelli. Inserì la spina nella presa. «Devo chiamare Bill, più tardi. Devo sapere come è andata al ministero degli Interni». L’asciugacapelli iniziò a soffiare e ronzare.

«Con molta probabilità non tornerà alla mensa dei poveri, se il posto sarà pieno di poliziotti… Ma forse troveremo qualcuno che l’ha vista… qualcuno che sappia dove si trova».

Jackie alzò la voce per farsi sentire sopra al rumore. «Sta facendo un colloquio per un nuovo incarico: mediazione con i sospettati di terrorismo».

«Insomma, non è che verrà saltellando a consegnarsi in una stazione di polizia, giusto?»

«Vorrebbe trasferirsi a Londra… Ma Rory si è appena ambientato alle elementari, come si sentirebbe se lo portassimo via da tutti i suoi amici e si ritrovasse in una classe piena di ragazzi cockney e dell’Essex? È un’idea dannatamente stupida, ma questo è Bill, c’è poco da fare».

«Ed è tutto un gran casino: la Steel se ne va in giro come un coccodrillo affamato, Din-Don e Leith sono ai ferri corti, e come se non bastasse, siete venuti anche voi a dirci che non sappiamo fare il nostro dannato lavoro».

L’asciugacapelli si spense. Jackie lo fissò. «Non hai ascoltato una sola parola di quello che ti ho detto, vero?»

«Bill sta cambiando lavoro. E tu non ti vuoi trasferire a Londra. Visto?»

«E noi non stiamo dicendo che non sapete fare il vostro lavoro, stiamo solo facendo notare che ci sono altre piste che dovreste seguire, in questa indagine. Nessuno ha pensato di provare a controllare i gruppi locali della wicca, per esempio. E il palo di metallo a cui era incatenato Roy Forman? Agnes deve pur averlo preso da qualche parte. E poi c’è la pista della mensa dei poveri…».

«Lo so bene: sono stato io a pensarci. Sempre che Rennie e Din-Don non rovinino tutto…».

L’asciugacapelli ricominciò a ronzare. «Pensavo che ormai ti fossi lasciato alle spalle l’ossessione per il lavoro».

«Agnes Garfield è un pericolo per se stessa e per gli altri. Più a lungo resta a piede libero, più vittime ci saranno per la sua folle caccia alle streghe. Credo che sia una faccenda importante».

Un sospiro. «D’accordo, vai pure. Lasciami qui nella tua roulotte ammuffita. Ma ti avverto: finirò la bottiglia di vino. E dovrò alzarmi alle sei, domani mattina, quindi se pensi di voler fare il bis, vedi di tornare prima di mezzanotte. Intesi?».

Logan avanzò nella pioggia sottile che continuava a cadere incessante, scendendo la lunga scalinata che da Union Street portava sulla Green. In fondo alla prima rampa, un uomo era raggomitolato sotto il cornicione dell’ingresso del negozio sportivo, piegato su una chitarra coperta di adesivi e intento a suonare una versione piuttosto accettabile di un pezzo country. Il berretto di lana umida che aveva di fronte conteneva un paio di spiccioli e qualche moneta da cinquanta penny. Logan vi lasciò cadere dentro un paio di sterline e si allontanò. Giù, giù e poi ancora giù.

La Green era un rettangolo storto, sepolto tra le fondamenta della città e circondato da alti edifici di granito dalle facciate grigie scurite per l’umidità, con i lampioni che spandevano globi di luce nella nebbiolina creata dalla pioggia. Una specie di festa di compleanno si stava svolgendo all’esterno del Café 52, pieno di gente che si affollava sotto a una grande tenda verde, cantando Tanti auguri a te, mentre dozzine di candeline bruciavano sulla superficie di una gigantesca torta.

Logan continuò a camminare sul lastricato scivoloso, procedendo verso l’estremità posteriore dell’Aberdeen Market, una massa di cemento semicircolare risalente agli anni Settanta, con le finestre buie, ora che tutti i negozi erano chiusi. Da una parte, Correction Wynd tagliava sotto Union Street, con un gruppetto di ristoranti le cui luci scintillavano all’ombra di St Nicholas Kirk. Ma più avanti la strada spariva nel buio.

I gabbiani lanciavano acuti stridii dai tetti di ardesia molto più in alto, mentre lui seguiva East Green fino alle viscere della città, lontano dalla pioggia.

Una fila di volute al neon scintillava intorno all’entrata del Blofeld’s Secret Underground Lair, proiettando luci colorate su un gigante calvo in camicia bianca e cravattino che se ne stava all’esterno da solo. In attesa di qualcuno da buttare fuori, mentre la musica dance trapelava dalla porta alle sue spalle.

In fondo alla strada, dove svoltava prima di tornare indietro verso Nether Kirkgate, una cucina mobile era sistemata sullo stretto marciapiede. Si trattava di una roulotte bianca rettangolare, con una tenda distesa sul davanti, sotto all’insegna le delizie di lola e rudy. Dallo sportello aperto si sollevavano volute di fumo, e un gruppetto di gente se ne stava pacificamente in fila lì di fronte. Piccoli gruppi di persone, forse una dozzina in tutto, mangiavano e chiacchieravano sopra al ronzio di un generatore diesel. Per lo meno tre di loro erano poliziotti del turno di notte del cid, che spiccavano come pezzi di carbone in una scodella di zuppa d’avena.

Non erano i soli: una montagna di muscoli dai capelli rasati, che indossava jeans neri e una T-shirt rossa, se ne stava di guardia a un centinaio di metri di distanza: il Mr Muscolo dell’hotel. Quello che parlava come se stesse testimoniando di fronte a un tribunale. Un altro gigante era in fondo alla strada, con le mani intrecciate di fronte a sé e gli occhi semichiusi che scansionavano senza tregua i dintorni.

Agnes Garfield non si sarebbe mai avvicinata alla cucina mobile, con quel genere di sorveglianza in giro.

Logan fece un paio di passi verso di loro, poi si fermò.

Qualcuno si stava muovendo tra le ombre, a metà strada tra la discoteca e la cucina, nascondendosi sotto a uno degli archi che costeggiavano la via. Era troppo buio per capire chi… Logan attraversò la strada, cercando di non dare nell’occhio, con le mani in tasca, mantenendo la figura al margine del suo campo visivo. Poi si girò e avanzò lentamente e silenziosamente dietro di lui.

Chiunque fosse, era intabarrato in un parka imbottito con un cappuccio sulle spalle e indossava un paio di pantaloni da tuta. Un berretto di lana era calcato sulle sue orecchie. Poi si spostò di lato e la luce proveniente dall’interno della discoteca si rifletté su un gesso che un tempo era stato bianco: la gamba sinistra, dal ginocchio in giù. Aveva il piede infilato in un informe stivale di cuoio nero, per evitare che il gesso si sporcasse o si bagnasse.

Quindi non era Agnes travestita, bensì Henry Scott, cioè Scotty Crosta, direttamente dai gradini della chiesa di Gilcomston. L’unico senzatetto di cui Rennie aveva bisogno per chiudere il suo caso.

Logan smise di procedere silenziosamente. «Stai cercando di evitare qualcuno, Henry?».

L’ometto sobbalzò, si girò di scatto e arretrò finché non si ritrovò con le spalle al muro. «Lui è morto…».

«L’hai rivista? Agnes Garfield? La donna che ha portato via Roy Forman?».

Henry sbatté le palpebre, con gli occhi che scintillavano nell’oscurità. «Lei l’ha ucciso. È morto».

Okay. Niente da fare. «Hai fame? Perché non vai a prenderti una scodella di zuppa calda, o qualcosa del genere?»

«E se la strega mi prende? Non voglio morire…».

«Non è una vera strega, Henry, è solo spersa e malata, e non sa più distinguere la realtà dalle sue fantasie».

La punta di gomma delle stampelle di Henry stridette contro il lastricato. Un breve singhiozzo gli chiuse la gola. «Lei l’ha ucciso…».

«Vuoi che ti porti qualcosa da mangiare? Ti andrebbe, Henry?»

«Se mi prende, ucciderà anche me…».

Logan fece per posargli una mano rassicurante sulla spalla, ma all’ultimo momento il senzatetto si scansò di scatto. «Okay, va tutto bene… resta qui e tieni gli occhi aperti, io andrò a prenderti un po’ di zuppa».

Il poveretto avrebbe avuto bisogno di qualcosa di più di un piatto di zuppa. Un posto tranquillo e sicuro dove dormire, delle medicine, supporto psicologico e un buon bagno.

Logan si avvicinò alla cucina mobile, mettendosi in coda. C’erano solo cinque persone davanti a lui, poi sarebbe stato il suo turno.

Qualcuno gli batté un colpetto su una spalla. «Capo?». Era Rennie, con addosso la giacca di pelle e una T-shirt rossa, con una scodella di plastica in una mano e un cucchiaio, sempre di plastica, nell’altra. «Pensavo che fosse tornato a casa».

Lui si strinse nelle spalle. «Avete avuto fortuna?»

«Sicuro: il pasticcio di pollo e salsiccia è delizioso. Vado a prendermi la terza porzione».

«Sto parlando di Agnes Garfield, idiota».

Rennie prese una cucchiaiata di fagioli e pezzi di salsiccia. «No». La portò alla bocca e prese a masticare di gusto. «Abbiamo parlato con tutti i frequentatori abituali di qui, con gli organizzatori e i volontari, e non immaginerà mai chi…». Si piegò verso Logan, facendogli arrivare una zaffata di erbe e spezie. «Lo vede quel tizio alto e magro laggiù?». Indicò un uomo che stava riempiendo il suo bicchiere di carta di una bevanda calda contenuta in un grosso thermos. «Quello con la pelle di due misure più grande di lui? È l’ispettore Insch! Ci crederebbe mai?»

«Se speri in una pacca sulla schiena, è troppo tardi: lo so già». Logan si guardò nuovamente in giro. «Dov’è la Chalmers?»

«Pffffff…». Quel che restava dello stufato sparì, poi Rennie ripulì anche il cucchiaio di plastica. «Se n’è già andata. E vuole scommettere che chiederà un’intera notte di straordinari? Non ci si può fidare di gente come…».

«Se hai parlato con tutti i frequentatori abituali, sicuramente sai dove si trova Henry Scott, giusto?».

La bocca di Rennie si spalancò per un attimo, poi la richiuse di scatto. «Scotty Crosta? È qui

«Se passassi più tempo a fare il tuo lavoro, invece di riempirti lo stomaco, lo sapresti».

«Perché non l’ha arrestato?».

Stava parlando sul serio? «Perché sto cercando di trovare un’assassina: non me ne frega niente di un furto di bacon e formaggio. Lo vuoi? Vallo a prendere».

«Ah, certo…». Rennie lasciò cadere la scodella di plastica in un bidone sul lato della cucina e si allontanò, facendo un tour dei gruppetti lì presenti.

Il solito idiota.

Altri tre minuti, e Logan si ritrovò davanti alla fila.

Un volto scuro gli sorrise dal bancone, denti perfetti e pizzetto bianco. «Cosa possiamo fare per te, amico?».

Logan tirò fuori dalla tasca un manifesto con la foto di Agnes Garfield e la scritta avete visto questa donna?, tendendolo all’uomo. «Ha visto…».

Una voce profonda e rauca risuonò alle sue spalle. «Sei in ritardo: l’ispettore Bell ha già fatto vedere quelle foto in giro. Non ti fidi di lui, o stai cercando semplicemente di fregargli il caso?». Insch appoggiò il thermos sul bancone. «Il caffè è finito, Rudy».

«Nessun problema, capo».

Logan si strinse nelle spalle. «Non sto cercando di fregare il caso a nessuno, sto soltanto…».

«Tutti sanno di dover cercare Agnes Garfield. Non siamo idioti». Insch prese il manifesto dalle mani di Logan, lo accartocciò e glielo restituì. «Rudy e Lola si occupano del catering del cast e della troupe. È per questo che tutti possono godersi gratuitamente il pasticcio di pollo e salsiccia, le penne all’arrabbiata, zuppa di Cullen e tiramisù, invece di un insipido brodo vegetale con un panino stantio come accompagnamento. Ci sta costando una fortuna, ma Zander insiste nel volerlo fare. Così, facciamo del bene alla comunità locale, una volta alla settimana».

«E lo fate sempre di martedì?»

«Tutte le persone coinvolte nella lavorazione del film sanno di dover fare attenzione alla Garfield. Non lascerò che si avvicini ai miei dipendenti, punto e basta».

Il che spiegava gli uomini della sicurezza in stile servizi segreti.

Una donna dal viso pallido, con troppo ombretto sugli occhi e capelli corti e biondo cenere dritti fece la sua comparsa al bancone. «Cosa ti possiamo portare, amico?»

«Non so… del pollo?»

«Arriva».

Insch lo guardò storto. «Avevo dimenticato quanti bastardi scrocconi girassero per il cid…».

«Non è per me, ma per un uomo che ha troppa paura di farsi avanti, perché teme che lei lo porti via e lo uccida come ha fatto con Roy Forman». Logan accennò ai due della sicurezza con tanto di auricolare. «O forse sono i tuoi scagnozzi a pagamento che lo spaventano?».

Lo sguardo accigliato di Insch non cambiò direzione. «I tuoi maledetti colleghi si comportano come se non avessero mai visto del cibo prima d’ora. Ti giuro che alcuni di loro si sono messi in fila due volte. E questa dovrebbe essere una mensa per i senzatetto!».

Rudy ricomparve con l’enorme thermos e una pila di tazze di polistirolo in una confezione di plastica. «Ecco qui, capo: cappuccino alla nocciola».

«Grazie». Insch prese thermos e bicchieri, stringendo questi ultimi al petto. «McRae, fai due passi con me».

La donna con i capelli a punta posò sul bancone una scodella di plastica piena di fagioli lucenti, pezzi di salsiccia ambrata e bocconcini di pollo. Un cucchiaio spuntava dal piatto come un’antenna. «Occhio, è bollente».

Il calore gli si propagò alle mani mentre seguiva l’ispettore Insch lungo la galleria, tornando indietro verso la discoteca. «Allora?»

«Devi fare qualcosa per quei gadget contraffatti di Witchfire. Non mi interessa che siano di alta qualità: non permetterò a qualche impostore bastardo di realizzare merchandise falso e di spacciarlo in giro. Stanno già diffondendo del materiale di scena del film, e non abbiamo neanche finito di girarlo!».

«Davvero?»

«Perché non stai facendo niente in merito? Ho detto a Mair di chiamarti, perché sei l’unico nel cid che ci capisce qualcosa. Quegli altri idioti non saprebbero investigare neanche sulle dita dei loro piedi».