capitolo 36
Il borbottio arrabbiato del bollitore si fece sentire dalla cucina, al di sopra del notiziario del mattino che risuonava in soggiorno, secondo il quale, a quanto sembrava, il tempo era splendido tranne che nel Nord-Est della Scozia. Come sempre.
Logan era sdraiato sul letto, con le braccia incrociate dietro la nuca. Si sarebbe dovuto alzare da lì a un minuto. O anche subito, in realtà…
Ci fu un tonfo metallico, e il bollitore perse la sua battaglia con l’annunciatore del meteo.
Jackie lo raggiunse, indossando soltanto una T-shirt della squadra di judo della Strathclyde Police, con una tazza di tè per mano e una fetta di pane tostato che le spuntava dalla bocca. «Mnnnphnnn gnnph?».
Lui si mise a sedere sul letto e prese la tazza che gli veniva offerta. «Sta ancora piovendo?».
Jackie si tolse il toast di bocca e masticò. «Dammi due motivi per non mollare Bill».
Oh, fantastico: ancora quella storia. «È il padre di Rory?»
«È un motivo solo. E non è neanche tanto valido. Lui resta comunque uno stronzo egoista». Prese un altro boccone di toast. «Non mi trasferirò a Londra, e non me ne frega niente se si tratta dell’opportunità lavorativa della sua vita».
Il sospiro gli sfuggì dalle labbra prima che potesse trattenerlo. Posò i piedi sul pavimento. «Se non ti piace, perché ci resti insieme?»
«È quello che ho appena chiesto a te».
Logan raccolse i calzini e le mutande del giorno precedente dal pavimento e li gettò nel cesto della biancheria da lavare, prima di dirigersi sbadigliando in bagno per svuotare la vescica e farsi una doccia.
Quando tornò, Jackie stava indossando un reggiseno Doreen Triumph color cemento, praticamente una conquista dell’ingegneria meccanica. Sembrava che avesse addosso due zeppelin degli anni Trenta tagliati a metà. La lieve cicatrice lucida a forma di mezzaluna che si intravedeva sopra alle sue mutande di un grigio altrettanto industriale sparì quando tirò su i pantaloni del tailleur.
Per lo meno, lei ne aveva una sola.
Una camicia di lino nascose il reggiseno che sembrava essere uscito da una macchina del tempo. «Che facciamo?».
Bella domanda. Logan si sedette sul letto e recuperò un paio di calzini puliti. «La solita cosa, suppongo». Poi indossò un paio di mutande di un rosso acceso, di quelle portafortuna, e i pantaloni del completo. «Ci cerchiamo perché ci sentiamo soli. E vogliamo un po’ di conforto e di calore umano… Che c’è?».
Lei lo stava fissando a bocca aperta. «Intendevo dire cosa facciamo stasera, non…», indicò loro due, «qualunque cosa sia questo».
«Oh. Certo». Una vampa di imbarazzato calore gli investì il collo, le guance e le orecchie. «Okay. Be’, se non torni a Glasgow, potremmo…».
«Cos’è, ti senti in colpa? È questo? Perché lei è in ospedale?».
Logan recuperò la prima camicia stirata nel guardaroba. «Già».
«Santo cielo…». Jackie prese la sua giacca. «Dove ho lasciato le scarpe?». Poi uscì a lunghi passi pesanti dalla camera da letto, facendo tremare il pavimento della roulotte.
Sì, perché ovviamente era tutta colpa sua, giusto? La seguì nel soggiorno, infilandosi la camicia. «Quindi tu non ti senti in colpa per aver tradito Bill?»
«Sono due anni che è in ospedale, Logan, pensi davvero che sia questo che lei vuole ? Che ti senta in colpa perché fai sesso tre o quattro volte l’anno?».
Un volto pieno di rughe li guardò severamente dalla tv. «…importante ricordare che queste persone aiutano la polizia nelle indagini. Aiutano ad arrestare gli assassini. E come possono continuare a fare il loro lavoro, se si continuano a cambiare i contratti?»
«Non hai risposto alla mia domanda».
«Io…». Jackie fece una smorfia, stringendo gli occhi, per poi girarsi e prendere un paio di stivali senza tacchi da sotto il tavolino. «Sono in ritardo».
Il tizio pieno di rughe sullo schermo fu rimpiazzato da una donna con una brutta camicetta addosso. «E torniamo ad Aberdeen, dove la Grampian Police ha fatto avere nuove informazioni riguardo ad Agnes Garfield e a dove potrebbe trovarsi…».
«Jackie, è…».
«Ma certo che mi sento in colpa, dannazione! Okay? E non dovrei, perché lui non se lo merita: è un bastardo egoista e incurante, che neanche mi vede più. Anche quando torna a casa, è come se non ci fossi».
«…qualsiasi informazione, è possibile chiamare il numero dedicato o contattare la stazione di polizia più vicina…».
Jackie si lasciò cadere sul divano e si infilò gli stivali. «Ma l’ho lasciato? Nooooo, ci sono rimasta insieme per il bene di Rory, giusto? Perché avere una vita felice, quando puoi piangerti addosso tutto il tempo?»
«E allora lascialo».
«E Rory?»
«Dei posti di blocco sono stati istituiti sulla A96, tra Kintore e Blackburn…».
Logan si sedette sul divano accanto a lei. «Cosa sarà meglio per lui e per la sua vita? Avere una madre felice o disperata?»
«…testimoni, dopo la scoperta di quello che sembrerebbe un omicidio a sfondo satanista, ispirato al bestseller Witchfire, domenica sera…».
Lei fissò lo schermo. «Non è così semplice».
«Non lo è mai».
«Abbiamo parlato con due delle attrici del film, Nichole Fyfe e Morgan Mitchell». Sullo schermo, la donna dalla camicia orribile fu sostituita dalla solita inquadratura di Nichole e Morgan con alle spalle dei manifesti di Witchfire.
«Cosa devo fare, Logan? Lasciare Bill e tornare con te? Io, te e Rory nella roulotte della tua ragazza?».
Oh, santo Dio… Non dire nulla. Non respirare neanche!
Jackie si alzò in piedi. «È questo che ho pensato».
Nichole si piegò in avanti. «Prima di tutto, e a nome di tutto lo staff che sta lavorando al film, voglio dire che i nostri cuori sono con le famiglie delle vittime».
Morgan annuì. «Sì, è così. È terribile ciò che è accaduto a queste persone…».
«Non posso. Non c’è…».
«Allora cosa farai? Te ne starai immobile qui, come un insetto intrappolato nell’ambra finché lei non tornerà?»
«…fondamentale evitare che accada a chiunque altro. Ed è per questo che faremo tutto il possibile per aiutare».
«Io non sono intrappolato nell’ambra».
«ma guardati! Sono passati due anni, e sei ancora qui. Perché non hai finito di ristrutturare l’appartamento? Te lo dico io: perché non riesci ad andare avanti. Sei sempre lo stesso, dannazione!». Si girò e uscì a passi rabbiosi dalla stanza.
«Jackie!».
In corridoio.
«Jackie, aspetta».
Si era rifugiata in camera da letto, e aveva raccolto il borsone dal pavimento. «Vuoi un segno, Logan? Eccotelo». Strappò via il foglio di carta fissato con il nastro adesivo sullo specchio dell’armadio, lo appallottolò e glielo tirò contro. «Ecco cosa c’è che non va in te».
Lo oltrepassò, spingendolo via, aprì la porta d’ingresso e la sbatté così forte, uscendo, da far tintinnare le tazze in cucina.
«…chiediamo a chiunque abbia visto qualcosa o sappia qualcosa riguardo a questi terribili omicidi, di farsi avanti e testimoniare».
«Infatti, dovete chiamare la polizia prima che possa accadere ancora».
Era un po’ troppo tardi per questo.
Logan si piegò a raccogliere il foglio di carta. Lo spiegò contro il muro, passandovi sopra le mani. che ti piaccia o no, sei ancora vivo era la scritta che vi si leggeva, in grandi lettere nere.
«E ora torniamo a Russell, con le previsioni del tempo».
«Grazie, Steve. Be’, saranno due giorni non molto piacevoli…».
Il campanello fece sentire il suo lungo e lamentoso suono.
Logan fece per aprire, poi si fermò. Il manico dell’accetta aspettava pazientemente, appoggiato nell’angolo. Lo impugnò e guardò dallo spioncino.
Jackie lo guardava da fuori, il volto corrucciato e distorto dalla lente ricurva.
Aprì la porta. «Hai già avuto l’ultima parola».
Gli occhi di lei passarono dal suo volto all’accetta. «Non credevo fossi così sensibile». Poi accennò con il pollice dietro di sé, a un giovane snello e dai capelli verdi appoggiato alla fiat di Logan. Era uno degli uomini di Wee Hamish Mowat, e portava una borsa a tracolla. «Hai visite».
Il giovane gli rivolse un sogghigno, mentre Jackie si allontanava rombando nella sua Audi. «Colto in flagrante, eh? McRae, vecchio volpone…». Aveva il volto butterato dall’acne, i cui segni scomparivano sotto alle ispide basette. Gli occhi nascosti dietro a un paio di occhiali da sole. I capelli, di un verde lime, lunghi fino alle spalle, erano pettinati all’indietro, lasciandogli scoperta la fronte. «Anche se c’è da chiedersi come fai a rimorchiare con questo rottame sfasciato…». Batté le nocche sul cofano della Punto.
Le dannate gazze si erano di nuovo appollaiate sulla macchina, sporcandola di guano bianco e grigio e facendo finire dei rametti in mezzo ai tergicristalli. Logan appoggiò il manico dell’accetta su una spalla. «Cosa vuoi, Jamie?»
«Di sicuro non essere sveglio già a quest’ora. È brutale, amico». Accennò alla roulotte. «Non mi fai entrare?»
«Come sta il tuo amico Reuben?»
«Be’…». Jamie mostrò la punta della lingua pallida tra i denti. «Ho sentito che avete avuto un diverbio, tu e lui. Che posso dire? Il Rubester è un tipo passionale». Tirò giù gli occhiali da sole, facendoseli scivolare sulla punta del naso, e ammiccò con un occhio arrossato. «Ma, giusto per essere chiari, se ci fosse un cambio di gestione, o cose del genere, io non avrei problemi a lavorare con la nuova amministrazione. Detto tra noi».
«Che… diavolo… vuoi?».
Jamie infilò una mano nella borsa e ne trasse una grossa busta marrone. «Ho controllato i tuoi cinesi massacrati per Mr Mowat. Non ho la minima idea di chi sia l’altra parte in causa, ma quelli che prendono a martellate la gente sono sicuramente i fratelli McLeod».
Niente di nuovo.
Jamie abbassò la voce a un sussurro. «Sto solo dicendo che se dovesse succedere, puoi contare su di noi. Il Reubinator è forte e tutto il resto, ma certe volte avere a che fare con lui è come ballare il valzer in un campo minato».
«Io non prenderò in mano il business e non ucciderò Reuben».
«Ahhh… d’accordo. Soltanto un piccolo coma o qualche leggero danno cerebrale. Ho capito. Comunque, Mr Mowat ha detto che secondo lui questa storia della guerra della cannabis finirà presto. A quanto pare, Creepy e Simon McLeod andranno contro chiunque ritengano stia cercando di espandersi sul loro mercato, e prima romperanno gambe e poi faranno le domande».
«Niente coma, né danni cerebrali».
Jamie si strinse nelle spalle. «Ne parleremo più avanti. Nel frattempo», tese la busta a Logan, «ho trovato un paio di indirizzi per le piantagioni di cannabis dei McLeod: Blackburn e Westhill. Magari vuoi mandare i tuoi uomini a dare un’occhiata?».
Logan non si mosse. «Ma stai facendo sul serio? Mi vuoi consegnare una busta in piena luce, in un luogo pubblico? Hai fatto nascondere qualcuno nei cespugli per scattare delle foto?».
Il giovane sospirò, spingendo nuovamente indietro gli occhiali da sole. «Amico, sei veramente cinico». Fece scivolare la busta sotto a uno dei tergicristalli della fiat, facendo rotolare sul cofano una piccola valanga di erba e rametti. «Non sono affari miei, amico. Ma se non sistemerai la faccenda…». Serrò i denti, scoprendoli, e risucchiò rumorosamente aria. «Le cose si metteranno male».
«Lo fanno sempre».
«A più tardi, okay?». Jamie arretrò, sogghignando. «E guarda che parlavo sul serio, quando dicevo di Reuben».
«…scioperi in tutti i settori della polizia scozzese. Abbiamo parlato con il commissario capo della Grampian Police, Denis Irvin…».
Logan abbassò il volume della radio, spostando il cellulare da un orecchio all’altro, e scalando in terza nelle vicinanze della rotatoria di Mounthooly, un’ampia gobba di erba e alberi, grande quasi quanto un campo di calcio, come un’isola nel flusso del traffico. «Senti, quanto può essere difficile? Voglio semplicemente la fedina penale completa di Anthony Chung a partire da San Francisco».
Dall’altra parte, l’agente Guthrie mugugnò. «Sa quanto è complicato ottenere qualcosa dagli Yankee».
«…inconcepibile che possano fare qualcosa di così controproducente e folle come uno sciopero generale…».
«Qualcuno deve avere un collegamento con il dipartimento di Giustizia americano: prova con la squadra del crimine organizzato».
«Ma quelli sono anche peggio dei dannati americani…».
Vero.
«…assicuro ai cittadini del Nord-Est che la Grampian Police non permetterà che questa situazione abbia delle ripercussioni sulla sicurezza pubblica o sulle azioni volte ad assicurare i criminali alla giustizia…».
Gli stop di un taxi si accesero all’ingresso della rotatoria, poi il veicolo si fermò di colpo, evitando per un soffio di essere travolto da un camion carico di tubature per piattaforme petrolifere. Quell’idiota avrebbe dovuto fare più attenzione alla strada. Logan si spostò sulla corsia esterna. «Se ti danno anche il minimo ascolto, di’ che crediamo che Chung sia collegato a un’organizzazione di terroristi».
«È così?»
«No, ma per lo meno gli toglierà la scopa dal culo».
«…passiamo a un’altra notizia: per celebrare la settimana nazionale del sandwich, un gruppo di alunni della scuola Ellon ha deciso di realizzare il panino con patatine fritte…».
Era ormai all’incrocio. Mise il piede sul freno. «Assicurati soltanto di dire che la notizia viene da “fonti non confermate”…». La macchina non rallentò.
Tentò ancora. Niente.
Ancora una volta, schiacciando il pedale fino in fondo.
La vecchia Punto continuò a procedere.
«…il cielo resterà coperto, con possibili rovesci pomeridiani…».
Il freno a mano! Logan lo tirò e le ruote posteriori si bloccarono, stridendo sull’asfalto e spostando la parte posteriore della macchina verso destra, in un’acre nuvola di gomma bruciata. Serrò i denti, stringendo gli occhi in due fessure, con le braccia tese davanti a sé e le dita che stringevano il volante al punto da sbiancargli le nocche. Stava finendo dritto nella traiettoria di una dozzina di veicoli.
«ferma quel dannato ammasso di ruggine!».
Un pullman frenò di colpo mentre lui gli si fermava slittando proprio di fronte. Il conducente fece urlare furiosamente il clacson nell’aria del primo mattino, il volto paonazzo e le labbra che componevano oscenità dietro al parabrezza.
«…per restare in tema con la giornata: questi sono gli Eurythmics, con Here Comes the Rain Again».
Logan chiuse gli occhi, posando la fronte contro il volante. Si sentì svuotare dentro, come se qualcuno gli avesse tolto il tappo. Nonostante tutto, non era finito maciullato in un ammasso di lamiere arrugginite.
Altri clacson si unirono a quello furioso del pullman.
Si raddrizzò, sbatté le palpebre e abbassò il finestrino.
L’odore acre dei gas di scarico e della gomma bruciata non gli era mai sembrato così dolce.
Il conducente del pullman gli stava ancora imprecando contro da dietro il vetro, con le vene del collo gonfie come serpenti infuriati.
Logan sollevò una mano e riaccese il motore, ingranando la retromarcia e riportandosi lentamente su Causeway End. I freni erano completamente andati, perciò usò di nuovo il freno a mano.
Cristo, ci era andato dannatamente vicino…
«Ta-daaa…». La dottoressa Graham tirò via il panno che copriva una testa di argilla: naso largo, zigomi alti, una bocca piccola infossata tra due profonde rughe. La posò sulla scrivania della Steel. «Ovviamente, mi sono dovuta prendere un po’ di licenza artistica con le rughe, ma tutto sommato posso ritenermi piuttosto soddisfatta».
La Steel socchiuse gli occhi, sporgendosi in avanti sulla sedia per osservare meglio la ricostruzione. «Non ho la minima idea di chi possa essere. E tu?».
Logan si strinse nelle spalle. «Una vecchia signora a caso».
«Nah… se so una cosa riguardo ai pazzi, Laz, è che non fanno mai niente a caso. Non è una scelta casuale, deve essere una persona speciale. È solo che ancora non sappiamo perché».
La dottoressa Graham spostò leggermente il peso da un piede all’altro. «Per caso avete trovato un altro corpo che ha bisogno di una ricostruzione facciale? Forse un altro scheletro?».
La Steel si appoggiò nuovamente allo schienale della sedia e prese un tiro dalla sigaretta elettronica. «Laz, fai avere delle foto della vecchietta all’ufficio stampa: voglio che vada in onda sui notiziari per l’ora di pranzo, e su tutti i giornali, e così via». Lo fissò. «Prima che moriamo tutti di vecchiaia, se possibile. E cerca di sorridere, d’accordo? Non ti ucciderà».
«Grazie. Molto divertente. Ho rischiato di morire, okay?»
«Ti sta bene, così impari a fare il tirchio e a comprare vecchi rottami rugginosi».
«Molto…». Logan serrò i denti, i muscoli che guizzavano sulla sua mascella. «Bene». Prese la testa, che era sorprendentemente pesante, quasi quanto una testa vera, e uscì a lunghi passi rabbiosi, sbattendo la porta dell’ufficio.
La voce della Steel si udì attraverso il legno del battente. «Permaloso… Allora, dottoressa, riguardo alla sua parcella…».
La Casetta riecheggiava di risate che si spensero all’istante non appena Logan entrò. Rischio Biologico Bob e tre agenti si schiarirono la gola, il primo ficcandosi qualcosa in tasca mentre gli altri si allontanavano dalla stanza, rossi in volto e senza osare guardarlo negli occhi.
Logan chiuse la porta con un colpo di tacco. «Devo sapere qualcosa? E soprattutto, voglio saperlo?»
«Probabilmente no». Bob si lasciò cadere sulla sua sedia. «Bella testa mozzata, a proposito: ti dona».
Le altre scrivanie erano coperte di mucchi di moduli e scatole di fascicoli; soltanto una era pulita e ordinata: quella del sergente Chalmers. «Dov’è la nuova?»
«Non ne ho la minima idea…». Bob si accigliò. «Rennie ha ragione, adesso è la tua favorita, non è così?».
Logan lo fissò negli occhi. Se Rischio Biologico voleva giocare ai favoriti, lo avrebbe accontentato. «Sai cosa? Forse sto davvero facendo fare troppe cose al sergente Chalmers. Quindi…». Posò con forza la ricostruzione della testa sulla sua scrivania. «Chi è questa donna? tv, giornali, manifesti. Sai cosa devi fare».
«Nooooo». Bob si coprì il volto con le mani. «Non può occuparsene qualcun altro?»
«Sei tu quello che si sente trascurato». Indicò la testa. «La Steel vuole che sia fatto al più presto. Se non sarà sul notiziario dell’ora di pranzo, sai cosa ti succederà».
Bob mugugnò e si alzò in piedi. Poi raccolse la testa. «Andiamo, bellezza». Si fermò sulla soglia. «Una cosa. La Chalmers potrà anche essere la nuova, qui in giro, ma c’è un fatto di cui non devi dimenticarti mai…». Chiuse un occhio, si piegò a sinistra e si allontanò rapidamente, chiudendosi la porta alle spalle.
L’odore che si era lasciato dietro non era molto diverso da quello delle armi chimiche.