capitolo 39

Rowan entra nella stanza. Di solito quel luogo scintilla di giallo e azzurro chiaro: le auree leggere delle persone anziane. Qualche breve voluta beige per i sogni dimenticati. Sprazzi di grigio per i cari estinti.

Ma oggi, la stanza è vuota.

Qualcuno ha sgombrato i tavoli e svuotato gli scaffali.

L’unico rumore che si sente proviene dalla radio: un dj che fa sapere quanto sarà bello il tempo a Londra nel prossimo weekend.

Le molle idrauliche fanno richiudere dolcemente la porta dietro di lei.

Un tonfo sordo.

Dove sono tutti?

Il respiro le si blocca in gola. C’è qualcosa che non va. Ma ha detto che ci sarebbero stati il tè e la torta… era una menzogna.

E poi il rumore, proprio alle sue spalle… un piccolo altoparlante che diffonde una versione metallica di quella canzone de Il mago di Oz, quella dello spaventapasseri senza cervello. Una suoneria.

La voce di un uomo le arriva così vicina da poter quasi sentire il suo fiato sul collo: «Dannazione…».

La musica si interrompe bruscamente.

Lei non si gira, non ne ha bisogno. «Ispettore McRae».

L’uomo che potrebbe essere un Angelo o la Mano della Morte.

Volute nere le si avviluppano intorno alle gambe e al petto.

La Kirk è il mio scudo e la mia spada. La Kirk è il mio scudo e la mia spada.

Il sangue le martella in gola, ogni respiro crepita in fondo ai suoi polmoni.

scappa.

Avanza di un passo, e una poliziotta scivola fuori da dietro un tavolo. Crepitanti tentacoli azzurri e rossi si espandono intorno a lei.

Rowan si blocca.

L’Angelo della Morte si schiarisce la voce. «Va tutto bene, Agnes. Ora sei al sicuro». E dal tono sembra che ci creda davvero.

Al sicuro? Come potrebbe mai essere al sicuro?

La porta sul retro della stanza dà sul vicolo dietro ai negozi. Deve soltanto raggiungerla.

Ciò che faccio al suo servizio accende un fuoco nel nome di Dio.

Un altro passo.

Due mani si posano sulle sue spalle. Un tocco gentile che brucia come una manciata di ghiaccio.

«Andrà tutto bene, sarai…».

Rowan spinge indietro un gomito, colpendolo con violenza allo stomaco, e un respiro caldo le esplode nell’orecchio. Tutto si muove al rallentatore. Lui la lascia andare e ricade all’indietro, piegandosi su se stesso e sibilando di dolore.

Dogma secondo: “Conosci il tuo nemico, perché la conoscenza è potere, e il potere è vittoria”.

L’ha osservato dalla finestra della sua camera da letto, con un asciugamano avvolto intorno alla vita e ventisei piccole cicatrici chiare che creano una costellazione sul suo stomaco. Le vecchie ferite da coltello non spariscono mai.

Rowan sta già correndo, mentre lui crolla a terra. Salta sul tavolo più vicino e continua a muoversi, estraendo il pugnale dalla tasca della felpa e sguainandone la lama da venti centimetri.

La poliziotta si gira, con i capelli che montano come un’onda nera alle sue spalle. Un piccolo contenitore le scintilla in mano. Lo stivale di Rowan scatta avanti, colpendole le nocche e facendo volare via l’oggetto. Rotea su se stesso, in aria, in un modo meravigliosamente lento e delicato.

Continua a muoversi.

Un uomo esce da dietro una pila di scatoloni, vicino alla porta sul retro. I suoi occhialetti rotondi sono vuoti, la barbetta tesa intorno alla bocca aperta. «No!».

Qualcosa le afferra una caviglia. Il suo ginocchio si piega, e il tavolo rapido la raggiunge. Si abbassa, rotola su se stessa, scalcia…

Un grugnito, e la poliziotta cade a terra nella direzione opposta, agitando le braccia e con un rivolo di sangue che le scivola fuori dalla bocca.

E Rowan è di nuovo in piedi.

L’uomo ha un pizzetto da caprone, ma in realtà è una pecora. Afferra una sedia e la spinge davanti a sé, come un domatore di leoni. Ma lei non è un leone, è una delle Dita.

Lo carica a testa bassa, spingendolo con violenza indietro, contro la porta.

Il suo pugno si muove al rallentatore nell’aria densa come melassa, diretto al volto della ragazza. Lei lo devia con la sinistra e poi lo colpisce nelle costole con la destra. Qualcosa si spezza sotto le sue nocche, e gli occhi dell’uomo si sgranano, sporgendo dalle orbite.

Rowan ritrae la mano. La lunga lama del pugnale gocciola di rosso.

E bang… di colpo, tutto torna a velocità normale.

L’uomo apre e chiude più volte la bocca, emettendo un suono acuto e lamentoso che diventa poco dopo un vero e proprio urlo. Lei scatta indietro, e la sedia piomba sul pavimento.

Una macchia rossa gli si allarga sul petto. «No, no, no, oh Gesù…». Lascia una macchia sul muro mentre scivola lateralmente al suolo.

Ciò che faccio al suo servizio accende un fuoco nel nome di Dio.

Apre la porta sul retro, esce sul vicolo e la richiude alle sue spalle.

È ora di correre.

Logan si girò sulla schiena, buttando fuori il fiato tra i denti serrati. Carboni ardenti si erano accesi nel suo stomaco e si facevano strada fino alla sua spina dorsale, riempiendogli i polmoni di scintille brucianti e cenere soffocante.

Santo Dio, faceva male.

La porta sul retro si chiuse di colpo.

L’ispettore si sollevò faticosamente in ginocchio, appoggiando la fronte contro la ruvida moquette beige.

Su. Tirati su. Inseguila. non lasciare che scappi.

Il pavimento ondeggiò sotto i suoi piedi, mentre si rialzava a fatica, e una miriade di aghi gli si piantava nello stomaco.

La piccola fabbrica di falsi di Ma era nel caos più totale: tavoli e sedie rovesciati, una macchia di sangue sulla parete posteriore… Dildo era disteso a terra accanto alla porta, con le ginocchia strette al petto e una pozza di sangue che si allargava sul pavimento sotto di lui. «No, no, no, no, no: non voglio morire, non voglio morire!».

L’agente Sim si liberò di una sedia e lottò per tornare in piedi. Aveva le labbra coperte di sangue, con due rivoli scarlatti che le scendevano sul davanti del giubbotto antiproiettile. «Gagh…». Sputò una boccata di saliva schiumosa e rossastra. «Mi sono morsa la lingua». Poi fissò Dildo. «Caspiterina. Dovremmo…».

«Non startene lì impalata: inseguila!».

La Sim sbatté un paio di volte le palpebre, annuì e corse alla porta, spalancandola e sparendo nel vicolo.

Logan si avvicinò zoppicando a Dildo e si accasciò accanto a lui. «Tim, starai bene. Ti rimetteranno in sesto, non preoccuparti. Va tutto bene. Tutto bene».

Delle bollicine sanguigne scoppiavano all’angolo della sua bocca. «Non voglio morire…».

Logan prese il suo cellulare traditore. «Ho bisogno di un’ambulanza e di rinforzi all’agenzia di scommesse J. Stewart and Son, sulla Mastrick».

«Un attimo, devo…».

«Non provare a mettermi in attesa, cazzo! Ho qui un agente degli Standard Commerciali con ferite da arma da taglio al torace, Agnes Garfield è scappata e l’agente Sim la sta inseguendo a piedi».

«Non voglio morire…».

«Non morirai, Tim, ora calmati, okay? L’ambulanza sta arrivando».

«A tutte le unità, qui Centrale, sospetto armato a piede libero, femmina bianca: Agnes Garfield…».

Dildo lo guardò dal basso, con il volto del colore del latte scremato, le labbra sottili e violacee. «Oh, Dio, mi hai chiamato “Tim”, vuol dire che sto morendo davvero».

«Non fare l’idiota, non stai morendo». Tornò al telefono. «Dov’è questa dannata ambulanza?».

Logan si tolse la camicia e la gettò nel lavandino del bagno. Tentacoli scarlatti si sollevarono dal tessuto, disperdendosi nell’acqua fredda. La immerse completamente, poi vi gettò dentro anche calzini e pantaloni. Schiacciò tutto finché l’acqua non diventò quasi del tutto rossa, poi vuotò il lavandino e riaprì il rubinetto. Lasciò a bagno i vestiti mentre si infilava nella doccia.

Il getto bollente gli si riversò sulla schiena, lavando via il sangue di Dildo. Calmando il bruciore nello stomaco.

Mentre si stava asciugando con un telo, dal cellulare venne la suoneria di Rennie. Lui lo raccolse rapidamente e premette il pulsante di risposta. «Si sa niente?»

«È ancora sotto i ferri, capo. I medici hanno detto che è stato fortunato a uscirne con un polmone perforato: poco più in alto e l’avrebbe colpito al cuore».

Era qualcosa, almeno. Prese una camicia pulita, il cui tessuto gli si incollò alla schiena ancora umida. «Hanno trovato Agnes Garfield?».

Silenzio. Poi Rennie si schiarì la gola. «Ha un appuntamento con gli Standard di Comportamento Professionale a mezzogiorno. E quelli di Strathclyde faranno il rapporto indipendente sul caso, visto che sono già qui».

«E la Steel non poteva dirmelo di persona, vero?»

«Lei… è piuttosto arrabbiata, al momento. L’ultima volta che sono passato davanti al suo ufficio, sembrava che stesse prendendo tutto a picconate, all’interno».

Fantastico. Perché quella giornata non era stata già abbastanza brutta.

«Non che sia stata colpa sua, è ovvio. Lei ha dovuto fare quello che poteva con i mezzi che aveva e con il poco tempo a disposizione. L’unica altra opzione era lasciarla andare… ehm… più o meno. Comunque, abbiamo un mandato di arresto per Agnes Garfield».

Logan prese il taccuino lasciato sul comodino e lo sfogliò fino all’ultima pagina, dove aveva inserito il numero di cellulare di Agnes che gli aveva dato Mamma Stewart. «Fai fare subito una ricerca gsm di questo numero. Probabilmente l’ha gettato via, ma vale comunque la pena di tentare».

«Sì, subito». Una pausa. «Dildo ce la farà. Non è stata colpa sua».

«Lascia perdere e vieni subito qui, ho bisogno di un passaggio per tornare alla stazione». A quel punto, attaccò, posando sul tavolo il telefono e il taccuino. Si lasciò cadere sul bordo del letto e fissò il foglio spiegazzato attaccato allo specchio dell’armadio.

che ti piaccia o no, sei ancora vivo.

Il cellulare ricominciò a squillare e vibrare.

Non riuscivano a lasciarlo in pace neanche per cinque minuti…

«Pronto?»

«Mr McRae? Sì, salve, è la Kwik Fit, ci ha lasciato una macchina al garage, stamattina?».

Sì, portandola lentamente e con cautela fuori dall’enorme rotatoria di Mounthooly e stringendo tra le dita il freno a mano.

Fissò il soffitto. «Quanto mi costerà?»

«Be’, avrà bisogno di due nuovi tubi freno e di sostituire completamente il liquido. I dischi delle ruote posteriori sono consumati, le sospensioni anteriori dal lato del passeggero sono quasi completamente arrugginite, le gomme posteriori sono lisce, il tubo di scappamento è…».

«I freni. Quanto mi costerà riparare i freni?»

«Oh, sì, mi scusi». Sentì qualche movimento e fruscio. «Sa, è fortunato che non si siano rotti mentre era sull’autostrada o a un incrocio, o qualcosa del genere. Le hanno fatto davvero una cosa orribile… Comunque, solo per i freni le costerà…».

«Un momento… Mi hanno fatto una cosa orribile?»

«Be’, sì. Le hanno tagliato i tubi freno. Un gesto quanto mai irresponsabile. E anche terribile, perché non si rischia soltanto che il guidatore si faccia male, ma anche…».

«Qualcuno mi ha tagliato i tubi freno?».